di Laura Sabatino

Coda di Sian Heder si apre su un’imbarcazione da pesca nelle acque aperte di Gloucester, Massachusetts; due pescatori, padre e figlio, che lavorano ben coordinati e in silenzio; una ragazza che lavora sodo anche lei, però cantando sulle note di “Something’s gotta a hold on me” di Etta James.
I due uomini sono non udenti, si scoprirà a breve, mentre la ragazza, Ruby, è l’unica in famiglia ad avere l’udito e la voce. Una diversa in una famiglia accomunata dalla disabilità (Coda è l’acronimo inglese che sta per Child of Deaf Adult). Su questo rovesciamento si basava il film francese La famiglia Belier e si fonda anche Coda, che ne è il fedele remake americano.

La trama si dipana in maniera semplice: per tutta la sua vita Ruby ha fatto da interprete e tramite tra la sua allegra, invadente e disinibita famiglia e il resto del mondo, ma ora questo ruolo comincia a starle stretto. Il canto è la sua passione, si iscrive al coro della scuola, un nuovo insegnante di musica le fa intravedere la possibilità di una borsa di studio che la porterebbe in un prestigioso college lontano da casa, e a distrarla c’è anche un nuovo amore per il compagno di coro, Miles. Ruby si trova così dinanzi a un bivio: restare ad aiutare la sua famiglia, o cercare la propria strada nel mondo, che la realizzi al di là di quel che i suoi genitori ritengono sia giusto per lei e utile per loro.
Conflitti generazionali e genitori che non capiscono i figli alla soglia del college.

Si tratta di vicende già raccontate innumerevoli volte nei film e nelle serie tv americane (gli scenari di Gloucester riportano alla mente i teen-ager di Dawson’s Creek), sebbene qui a caricare ancora di più il peso della scelta di Ruby ci sia il fatto che la sua presenza nell’economia familiare è fondamentale, ancora di più in un momento di crisi economica per i pescatori del Massachusetts. E che non potendo sentire la musica, padre e madre non riescono ad apprezzare il talento della figlia, si trovano di fronte a una nuova, quasi insormontabile barriera.

Chi farà loro da interprete e aiutante se Ruby parte? Cosa succederà a Ruby lontano da casa se il suo talento non risulterà abbastanza per sopravvivere al college? Non è forse meglio per tutti che Ruby rimanga nel nido?
La risposta a queste domande è prevedibile, non c’è mai nessun dubbio su quale possa essere il destino di Ruby e il finale della storia.

Ruby viene messa di fronte a difficoltà ed ostacoli che in maniera semplice trovano una risoluzione nel momento più conveniente. Anche l’ostacolo più grande e interessante di tutti, la sopravvivenza senza Ruby di una famiglia che in pratica vive isolata dalla comunità appoggiandosi unicamente sulla figlia udente, avviene in maniera rapida, quasi del tutto fuori scena. D’un tratto in una sequenza di montaggio vediamo i Rossi che hanno trovato il modo di comunicare con i concittadini autonomamente e i concittadini che hanno deciso di andare loro incontro superando ogni difficoltà dovuta ad ignoranza e discriminazioni. Il film segue una formula, la formula non aspetta né richiede approfondimenti, e la formula inesorabilmente funziona.
Questo non significa che Coda sia privo di emozioni o che non riesca a toccare corde profonde.
Lo fa grazie alla recitazione, Troy Kotsur in particolare, meritato Oscar come migliore attore non protagonista nel ruolo del padre Frank Rossi. E soprattutto grazie alla musica.

Ogni volta che la musica entra in scena, dona al film spessore e calore, emozione e momenti felici che lo allontanano dal linguaggio televisivo e lo avvicinano al cinema.
Nel film francese era Michel Sardou e in particolare la sua splendida Je Vole.
Nella versione americana sono Etta James, Joni Mitchell e Kiki Dee.

Coda, prodotto dalla piattaforma AppleTv +, si muove sul confine, oramai sempre più labile, che divide cinema e televisione. Per lunghi tratti somiglia a un film tv.
Però il silenzio assoluto che avvolge genitori e fratello di Ruby mentre la ragazza si esibisce sul palco – il silenzio a cui è condannato chi non può udire – raccontato da una lunga panoramica circolare; gli sguardi curiosi con cui Frank, Jackie e Leo scrutano i sorrisi e la commozione di chi sta ascoltando Ruby in duetto con Miles; o anche la scena in cui il padre chiede alla figlia di fargli “sentire” ciò che ha cantato poco prima sul palco, di ricantarglielo guardandolo negli occhi e stringendogli le mani… sono tutti momenti da cinema, che verrebbero esaltati dalla visione sul grande schermo. E dunque finiscono per rendere l’Oscar come miglior film ottenuto da Coda lo scorso 27 marzo se non un premio giusto, almeno accettabile.

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