di Laura Pozzi

Presentato in concorso lo scorso gennaio al Trieste Film Festival, dove si è aggiudicato il premio del pubblico, arriva nei cinema italiani dal 21 aprile distribuito da A_Lab in collaborazione con Lo Scrittoio, Darkling, thriller psicologico diretto dal Dušan Milić regista serbo popolarissimo in patria per la serie The Folk e già noto in Italia per Jagoda – fragole al supermarket (prodotto da Emir Kusturica) e Gucha passato alla Berlinale nel 2007. Il film, tratto da una storia vera, ci conduce con eccezionale tempismo nell’ennesimo teatro di guerra non molto dissimile da quello che viviamo seppur indirettamente da quasi due mesi, evidenziando con lucida precisione le dinamiche psicologiche celate dietro ogni conflitto armato. A dispetto del bombardamento mediatico e della pioggia di fake news che caratterizza ogni guerra la pellicola di Milić invita a spegnere la televisione, recarsi al cinema, accomodarsi in poltrona e lasciarsi inghiottire dal buio della sala per condividere quell’oscurità di cui si ciba la pellicola. Oscurità (come recita il titolo originale Mrak) che avvolge i protagonisti non solo fisicamente, quanto mentalmente costringendoli a sprofondare in un abisso di oppressione e paura. Siamo in Kosovo all’indomani della guerra dei Balcani dove le minoranze serbe sono assediate da un costante clima di tensione.

Nel marzo del 2004 gli estremisti albanesi li hanno cacciati dal paese, bruciando case e chiese cristiano- ortodosse. Oltre alle vittime, risulta a tutt’oggi un numero imprecisato di dispersi di cui probabilmente non si saprà mai nulla. La dodicenne Milica sopravvive insieme alla madre e al nonno all’interno di una fatiscente casa di legno circondata da una foresta cupa e minacciosa, apparentemente posseduta da entità maligne in grado di sprigionare durante la notte oscure presenze delegate a sgozzare bestiame e distruggere recinzioni domestiche. Per far fronte all’invisibile minaccia che si materializza attraverso suoni e rumori indistinti, la famiglia si barrica in casa nella più totale oscurità. Al sorgere del sole, la tensione accumulata nelle ore notturne viene mitigata dalla presenza dei militari italiani della KFOR, (forza internazionale NATO per ristabilire ordine e pace in Kosovo) che oltre a garantire protezione ai civili ha il compito di ricreare una parvenza di normalità scortando ogni mattina con il loro blindato Milica e altri ragazzini in un monastero ortodosso adibito a scuola. Una classe composta da appena sei alunni, costretti a restare in quel territorio ostile, ma con la speranza di riuscire a fuggire il prima possibile.

Il rapporto tra i soldati e le popolazioni locali sono improntati sulla distensione, su lampi di leggerezza (l’ascolto a tutto volume nel blindato di Vagabondo di Gianni Morandi) e su un formale rispetto che deflagrerà definitivamente quando gli italiani verranno sostituiti dai più muscolari e meno empatici americani. Ma il problema di Milica e sua madre è dovuto essenzialmente alla cocciutaggine del nonno che nonostante le “invasioni” notturne si rifiuta di lasciare la casa e perdere definitivamente la speranza di riabbracciare il figlio e il cognato misteriosamente scomparsi. Ma siamo sicuri che ciò che vediamo non sia frutto di un’esacerbata immaginazione figlia delle nefandezze della guerra? Su questo inquietante interrogativo (che verrà in parte svelato nel finale) Milić costruisce un impressionante e stratificato thriller psicologico sfiorando a più riprese inevitabili suggestioni horror. Come in Jagoda conferma il suo talento nel miscelare generi diversi, ma in questo caso l’horror non si riduce a un genere più o meno consono alla vicenda narrata in quanto la guerra è già orrore di per se. Attraverso una narrazione visiva sinistra e penetrante, forgiata da un accurato e pregevole lavoro sul suono, tutti gli elementi della storia finiscono per assumere significati diversi, tramutandosi in minacce incombenti.

La storia vive costantemente sul filo della tensione emotiva, l’oscurità prosciuga volti e corpi, il buio attanaglia la mente, ma Milica non “smorza” i pensieri:”Egregio Signor Presidente, sono seduta sotto il tavolo, è buio pesto e sono terrorizzata. Anche accendendo una candela, non ci sarebbe abbastanza luce. Tutto resterebbe nell’oscurità. Così potente è questa nostra oscurità”. Il confine tra realtà e immaginazione è labile sopratutto quando a farne le spese è un’infanzia violata. Lo aveva magistralmente descritto Andrej Tarkovskij ne L’infanzia di Ivan e lo ribadisce con uno splendido omaggio Milić quando rincorre oniricamente la piccola Milica nel bosco, rapita dai suoni della natura. Nel rievocare il folgorante incipit tarkovskiano assistiamo ancora una volta all’illusione di un’infanzia deturpata da una guerra che nulla può contro il potere dei sogni. Ma a differenza di Ivan, i sogni di Milica sono incubi ad occhi aperti, riscaldati dal labile chiarore di un fiammifero, in attesa di un incandescente finale che finirà per “guardarci dentro” attraverso gli occhi lucidi e smarriti della strepitosa esordiente Miona Ilov.

Ma tutto il cast, a partire dal veterano Slavko Stimac, che alcuni ricorderanno ne La croce di ferro di Sam Peckinpah contribuisce ad esasperare un’opera claustrofobica, asfissiante, capace di destabilizzare senza l’ausilio di effetti speciali, ma grazie a una suspense calibrata dal sapore hitchcockiano e ad un ritmo ieratico che comprimono come una morsa. Un film di atmosfere raggelanti, conflitti irrisolvibili (lasciare o no la propria terra), visioni, tormenti, squarciato da un’oscurità tristemente illuminante.
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