di Simone Lorenzati

“Non importa avere grande talento ma saper sognare in grande”
Siamo nella New York del 1944, e l’ereditiera Florence Foster Jenkins è una gran signora ben inserita nei salotti dell’alta società della City.
Amante dell’arte, soprattutto innamorata della musica, con il marito e manager St Clair Bayfield, organizza performance canore a cui è invitata l’élite cittadina. E di cui lei è ovviamente la protagonista.
Ma quello che per lei è puro piacere, per gli altri è solo divertimento: Florence è infatti incredibilmente stonata senza, peraltro, accorgersi di esserlo. All’ombra del marito, la grottesca situazione rimane sotto controllo fin quando la donna non decide di esibirsi in pubblico in un live alla Carnegie Hall, insomma in un concerto senza invitati controllati.

E’ divertente pensare a come Meryl Streep si sia nel tempo perfettamente distinta in ruoli in cui ha cantato alla perfezione – da Mamma mia a Into the woods – mentre qui si dimostri altrettanto credibile nei panni dell’improbabile Florence Foster Jenkins, dando ancora una volta prova di essere davvero una grandissima attrice.
Il fascino di Florence, tuttavia, è subito evidente, una mecenate megalomane quanto generosa, ma, in primis, vittima di una società accondiscendente per motivi puramente venali.
Da Arturo Toscanini al direttore della Metropolitan Opera, infatti, tutti vanno in pellegrinaggio dalla signora Jenkins a renderle omaggio per la sua voce, mentre possono così chiedere un contributo economico per la propria musica.

Ed anche il marito per interesse, interpretato da un credibilissimo Hugh Grant – anch’egli con velleità artistiche ma, parimenti, con scarso talento – non è troppo lontano dalla medesima prospettiva.
Eppure, proprio nel corso del film, si passa dalla mera finzione del ruolo di vicinanza a Florence per convenienza ad un supporto sentito e reale per questa passione (si veda, appunto, il marito, ma anche il pianista che accompagna Florence nelle sue performance).

Così lentamente Florence, da film che racconta un fatto al limite del grottesco, passa ad essere un film sulla malattia – Florence ha contratto la sifilide in età giovanile – con colpi di scena, sentimentali e non. E sarà, infine, il contenuto della borsa che Florence porta sempre con sé a rivelare la consapevolezza della sua fragilità.

Insomma un film, basato su di una storia vera – quella del soprano statunitense priva di doti canore che aveva ispirato anche Marguerite di Xavier Giannoli – decisamente ambivalente. Una pellicola in cui ciò che pare ridicolo e venale nasconde, in realtà, delicatezza e autenticità e dove i personaggi, non necessariamente solo i protagonisti, hanno modo di poter ripensare alle proprie opinioni.
un film molto bello
e secondo me il marito la amava veramente, anche se solo di un amore reso platonico e quindi scisso dalla vita sessuale/matrimoniale
"Mi piace""Mi piace"