Mare fuori (Serie tv di Carmine Elia, 2020)

di Girolamo Di Noto

Una delle magie che riesce a compiere una serie è di avvicinarci ai suoi personaggi, farceli vivere come familiari e accoglierci nel loro mondo come se fosse un po’ la nostra casa. Tutto ciò diventa ancora più sorprendente quando si ha a che fare con figure uniche, segnate da un destino avverso, che hanno poco da spartire con chi li guarda. Mare fuori, la serie tv nata per Rai 2 e poi approdata con maggiore successo su Netflix, riesce a meravigliarci perché i suoi personaggi non sono mai bidimensionali, non c’è mai una divisione netta tra Bene e Male e la loro violenza è in realtà un grido di dolore, una richiesta d’aiuto.

Ideata da Cristiana Farina e Maurizio Careddu, Mare fuori racconta le storie di una serie di ragazze e ragazzi finiti in un carcere minorile di Napoli, dalle cui sbarre vedono quel mare che, a seconda delle circostanze, può essere lontano o può rappresentare un luogo di speranza e di riscatto.

L’eccezionale sigla di apertura che apre ogni puntata, che nasce dalla collaborazione tra uno degli attori della serie, Matteo Paolillo( Edoardo ) e Lorenzo Gennaro, alias Lolloflow, racconta la verità senza mezzi termini, i facili guadagni che con “cu sta fatica mo’ c’attamm pur’ ‘a reggia ‘e Caserta”, descrive il ritratto di una generazione perduta “crisciut ‘ mmiez ‘a via”, di ragazzi cresciuti troppo in fretta perché “patm (il padre, ndr) sta carcerat’, so ‘ ll’ omm’ ‘e cas’ (sono l’uomo di casa, ndr), ma che alla fine lascia uno spiraglio, concede una speranza: “Nun te preoccupá ‘guaglio’, ce sta o’ mar’ for’, arret’ e sbarr, sott’ o’ ciel ‘ ce sta o’ mar ‘ for” ( Non ti preoccupare ragazzo ci sta il mare fuori, dietro le sbarre e sotto il cielo ci sta il mare fuori).

Fuori è l’aperto, la libertà, l’altrove. Quel mare che i ragazzi e le ragazze vedono è il futuro diverso, lo spazio infinito: riusciranno a varcarlo, a saperlo affrontare una volta espiate le loro colpe o si faranno inghiottire per sempre dall’oscurità delle scelte sbagliate? Uno dei temi che affronta la serie è il reinserimento nella società, la difficoltà di inculcare dei valori, dei sentimenti a chi è vissuto in un contesto dove crescere bene è stato impossibile. Tutti si sono ritrovati lì accomunati dalla violenza, tutti hanno una storia da raccontare e, attraverso i flashback che descrivono quel che è accaduto poche ore prima dell’arresto, scopriamo le motivazioni per cui hanno commesso certi errori e soprattutto ci rendiamo conto che non tutti hanno seguito il Male come scelta di vita, ma a volte anche la casualità, l’ingiustizia ci hanno messo lo zampino.

C’è Ciro ( Giacomo Giorgio ), ad esempio, che la vita criminale l’ha scelta, c’è Viola (Serena De Ferrari), algida e spietata che commette un delitto feroce e immotivato, c’è  ‘O Pirucchio (Nicolò Galassio) che ha scelto spontaneamente di intraprendere la strada della criminalità, ma ci sono anche Gianni Cardiotrap (Domenico Cuomo) che viene arrestato perché, dopo aver progettato un furto nella casa di un’anziana signora, si pente quando si accorge che è stata colpita da un malore, c’è Gemma (Serena Codato), vittima di violenza da parte del fidanzato, c’è Naditza (Valentina Romani), una rom che trova nel carcere un rifugio per non essere venduta in moglie dai suoi genitori e soprattutto ci sono i due protagonisti attorno a cui ruotano le vicende, Filippo e Carmine.

Filippo (Nicolas Maupas) è milanese, è un aspirante pianista, è a Napoli per una vacanza, è ricco, è colpevole di aver ucciso accidentalmente per una bravata un suo amico. È chiamato ‘O chiattillo ‘, il figlio di papà, è il bersaglio perfetto, dovrà adattarsi e imparare a come muoversi se vorrà sopravvivere. Carmine (Massimiliano Caiazzo), invece, ha la “colpa” di portare con sé un cognome ingombrante. È un Di Salvo, ma lui vorrebbe affrancarsi dalla famiglia camorrista, vuole diventare un parrucchiere, con la ragazza Nina (Greta Esposito) fa progetti, ma il destino è implacabile: ‘O piecuro, così è chiamato perché è l’unico della famiglia che vorrebbe condurre una vita onesta, sarà costretto ad uccidere. Per salvare la fidanzata da uno stupro uccide a colpi di forbici il figlio di un importante boss.

Le loro storie si intrecceranno con quelle degli altri personaggi. Incastrato ad una vita che non gli appartiene, Carmine aiuterà Filippo a non essere troppo spaesato in una realtà a lui estranea, ma a sua volta anche lui avrà bisogno di Filippo nei momenti più critici. Mare fuori è la narrazione cruda di un’adolescenza mostrata con tutte le sue paure e fragilità, è un viaggio introspettivo tra i corridoi contaminati dalla paura, un’analisi accurata tra i detenuti che in modi diversi manifestano un’umanità nascosta dietro la rabbia: ci sono sì violenze, soprusi, ma anche l’ansia di non uscire più, lo sgomento del vivere in un posto estraneo, lo sforzo di non disperdersi, di non abbandonarsi a se stessi.

Ci sono ragazzi inquieti, in condizioni di vita inquieta, persone alle prese con scelte sbagliate, senza una famiglia che ha promosso un’educazione psicologica. Vite indifese, esposte ai pericoli, ragazzi che, come dice il Comandante Massimo (Carmine Recano), uno degli educatori dell’istituto, “camminano su un filo, e basta niente per farli passare dalla parte sbagliata “.

La famiglia è la grande protagonista assente di questa serie: i padri sono in carcere, sono violenti, vendono per soldi i loro figli, chiedono obbedienza a tutti i costi, danno ordini insensati. Le madri tacciono, piangono, ubbidiscono, acconsentono, si vergognano. Di fronte allo sfascio di questa istituzione, gli unici punti di riferimento che possono avere i ragazzi sono gli adulti dell’istituto: insegnanti, educatori, il Comandante, la Direttrice, che gestiscono una quotidianità difficile con approcci differenti.

Rigida e imperiosa, inizialmente la Direttrice (Carolina Crescentini) richiamerà tutti alla responsabilità delle loro azioni, al peso delle conseguenze, poi pian piano stempererà il suo atteggiamento freddo e distaccato, senza però essere troppo permissiva ma capace di leggere le loro emozioni. Sarà però Massimo, il Comandante, ad avere un sentimento più paterno, un rapporto più umano: comprende meglio i ragazzi perché anche lui proveniva dalla strada, rivede in Carmine se stesso da ragazzo perché anche lui aveva avuto la possibilità di scegliere da che parte stare, optando per quella giusta.

Allontanandosi dal suo amico di infanzia che poi è diventato un boss – il suo personaggio ricorda quello di Felice, interpretato da Pierfrancesco Favino in Nostalgia di Martone – Massimo è mosso dalla comprensione verso gli atteggiamenti devianti dei ragazzi, li corregge anche con le maniere forti ma non li abbandona, cerca di rimettere in ordine la loro vita, mettendo in atto quel principio secondo cui la detenzione non diventi solo sottrazione del tempo di vita, ma anche rieducazione.

Se c’è un alone di meraviglia estetica ed etica attorno alle vicende di questi ragazzi, questo è riposto nella speranza di una loro trasformazione verso un possibile reinserimento, un cambiamento emotivo che possa non far perdere la forza di sognare, che metta da parte i gesti di prevaricazione sull’altro, che dia la forza di sopportare “‘O munno indifferente/ ca guarda e sse nne va”, che dia importanza al mare che è là fuori, un vero e proprio cuore che dischiude la vita.

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