di Marzia Procopio
And love dares you to care for/the people on the edge of the night
(e l’amore ti sfida a prenderti cura delle persone ai margini della notte)

Presentato alla Festa del Cinema di Roma a settembre, passato già a Cannes alla Semaine de la Critique, dal 6 gennaio sulla piattaforma streaming MUBI (e di nuovo in qualche sala, visto il successo che sta riscuotendo) è disponibile Aftersun, la magnifica opera prima della regista scozzese Charlotte Wells. Delicato, intenso, formalmente perfetto, questo film descrive la vacanza in Turchia di un giovane padre, il trentunenne Calum, e della sua undicenne figlia Sophie, con un racconto a struttura circolare, che inizia e finisce sul padre, in un aeroporto. Il racconto inizia con un video girato con una Handycam DV Sony degli anni ’90 da Sophie: la focalizzazione, il punto di vista, è su di lei, sia da undicenne sia da adulta; da un certo punto del girato, infatti, attraverso i flash sul viso di una donna che nel buio “scheggiano” e rallentano altre immagini di Calum sullo schermo, comprendiamo che Sophie, diventata grande, sta retrospettivamente ricostruendo i ricordi e soprattutto il vissuto di suo padre in quel periodo. L’uso frequente della camera, l’utilizzo dei riflessi e degli schermi, infine il bellissimo montaggio ci porteranno avanti e indietro nel tempo, mentre la Sophie ormai cresciuta, di cui sappiamo da una sola brevissima scena che ha una compagna e una figlia, ricostruisce il ritratto ideale di un padre che ha amato ma di cui ha solo intuito, senza mai averlo conosciuto pienamente, i limiti umani.

Durante la vacanza insieme, l’unico momento in cui Calum può stare da solo è di notte, quando esce a fumare una sigaretta e a ballare, ondeggiando a un ritmo impercettibile. È lì che comprendiamo – pur potendolo osservare solo di spalle, perché Wells ne vuole garantire l’inarrivabilità dell’anima – quale pozzo di disperazione stia sempre sul punto di inghiottirlo: un canto delle sirene depressivo che si percepisce lungo tutto il racconto e si esprime in immagini metaforiche molto dense, tutte legate all’acqua, ora minacciosa ora protettiva, disseminando di promesse di morte la narrazione, tanto lenta quanto percorsa da tensioni latenti enfatizzate dalla mediazione della videocamera di Sophie, che mette un filtro tra noi adulti, che guardiamo e vediamo Calum nella sua interezza di giovane uomo sopraffatto dai demoni e dalle paure, e lo sguardo di Sophie, che intuisce ma non vuole vedere, incapace di comprenderla fino in fondo, la realtà psichica di suo padre. La vacanza si srotola tra bagni, cene e conversazioni tranquille, dialoghi minimi, gesti quotidiani come mettere la crema protettiva prima di tuffarsi in piscina, e metterla dopo, in camera, di sera, l’uno all’altra, con quei piccoli gesti di cura e attenzione che fanno la quotidianità tra le persone che si amano: Aftersun, cioè protezione, cura, ma anche maschera e schermo. I due hanno un rapporto complice e giocoso, e il giovane padre è molto legato anche alla madre di Sophie, sebbene non vivano più insieme. Calum ha un lavoro precario, qualche incertezza economica; talvolta fa le mosse da Ninja (e anch’esse divengono linguaggio, in questo gioiello di film) e Sophie lo trova “strano”. Sophie osserva Calum molto attentamente – le riprese con la video camera sono per lo più le sue – e anche se non può sapere con certezza quali sentimenti ed emozioni attraversano suo padre durante il viaggio, ha una forte connessione emotiva con lui e una profonda, ancorché solo intuitiva, comprensione del mondo. Anche se vivono per lo più distanti, gli confida un giorno, guardando il cielo prova un senso di vicinanza con suo padre.

Il viaggio in Turchia non è significativo solo dal punto di vista del rapporto padre-figlia, ma anche perché è durante il viaggio che Sophie inizia a diventare grande. Mentre è in bagno, sente i ragazzi più grandi parlare di sesso, e si sente troppo grande per stare con le bambine in piscina, ma allo stesso tempo non appartiene al gruppo degli adolescenti, e li guarda con soggezione mentre di notte si baciano e fanno festa. Guardando questo nuovo mondo da vicino nel suo silenzio intelligente, la bambina sviluppa il desiderio di crescere e diventare indipendente, proprio come i giovani adulti che ha incontrato. Osserva tutto facendo poche domande, conosce un ragazzo della sua età e il suo primo bacio. È nel guado tra infanzia e adolescenza, prima dei turbamenti sessuali e degli esperimenti, e mentre è impegnata a capire le nuove emozioni che le nascono dentro, Calum lotta contro i suoi demoni, che a volte diventano difficili da controllare. Durante tutto il film, non sappiamo mai di cosa soffra esattamente, ma con i frammenti che il montaggio ci mostra possiamo farci un’idea approssimativa della causa della sua sofferenza. Quando Sophie, nei primi fotogrammi, chiede a Calum come avesse trascorso il suo undicesimo compleanno, il giovane uomo le risponde che nessuno della sua famiglia lo aveva ricordato e anzi, sua madre si era arrabbiata quando il bambino glielo aveva ricordato, costringendo suo padre a recarsi in un negozio di giocattoli per comprargli qualcosa. Catturando il riflesso di Calum sul televisore, Wells accenna alla complessità del personaggio e alla distanza che esiste tra lui e chi guarda (quindi anche Sophie). Trascurato durante la sua infanzia, l’uomo ha lasciato la sua città natale e non si è più sentito di appartenere a Edimburgo. Preferisce vivere a Londra e spera di affittare una casa lì con il suo socio in affari; sebbene non sia sicuro della sua impresa commerciale, trova conforto nel sogno di vivere con sua figlia in un appartamento fuori Londra dove Sophie possa avere la sua stanza e fargli visita più e più volte. Anche se è in difficoltà finanziarie, cerca di nascondere i suoi guai, ma Sophie ha capito le condizioni di suo padre e gli chiede scusa quando perde i costosi occhiali per andare sott’acqua. Calum ha sempre creduto di riuscire a nascondere i suoi problemi a sua figlia. Come padre, non vuole che Sophie soffra, ma quando è da solo piange per la disperazione. Cerca modi per affrontare il suo stato d’animo depressivo; durante il viaggio porta libri sulla meditazione e sul Tai Chi e pratica persino il Tai Chi ogni volta che trova il tempo o la tranquillità per farlo. Aftersun è anche il crepuscolo, il buio che pervade ogni genitore nel momento in cui, inesperto e solo, si chiude nel silenzio anziché manifestare a su* figli* la propria naturale, umana paura.

Una sera, Calum e Sophie hanno una discussione: una cosa banale, Sophie vuole cantare con lui al karaoke ma lui non si sente di salire sul palco. Più tardi, per riparare, Calum suggerisce a Sophie di prendere lezioni di musica per coltivare il suo interesse, ma Sophie lo rimprovera, frustrata, di fare sempre promesse su cose per le quali non ha i soldi. E se la reazione di Sophie si spiega con la delusione infantile, Calum resta evidentemente male e decide di andare nella loro stanza, mentre Sophie sceglie di rimanere nel parco dell’hotel per un po’. Calum allora va al mare per affogare la sua frustrazione e malinconia. Il mare ha una parte fondamentale, in questo film fatto di inquadrature delle piccole cose e degli oggetti che diventano un modo di leggere il protagonista o di eludere i tentativi di comprensione: c’è un insistere di Wells per le inquadrature subacquee, i bagni, i piccoli scambi tra i personaggi sulla capacità di stare in acqua, galleggiare nel silenzio e nel pericolo. Si intuisce che Calum torna in camera, quella notte, solo perché ad aspettarlo c’è Sophie, la sua ragione per non arrendersi del tutto. Quando Sophie gli confida di aver baciato un ragazzino la notte precedente, il padre la incoraggia a condividere sempre con lui i dettagli della sua vita personale, che si tratti dei ragazzi con cui sceglierà di uscire o delle droghe che si concederà di prendere. Anche se questa è una conversazione intima, visivamente restiamo lontani dai personaggi, quasi come se Wells concedesse ai due protagonisti un momento di intimità e di rispettosa privacy, le stesse che Calum promette a Sophie. Da questa conversazione, ci convinciamo che Calum possa aver avuto una vivace vita da giovane adulto, ma forse non ha mai avuto qualcuno a cui guardare, condividere i suoi errori o consigliarlo e aiutarlo a tornare sulla strada giusta; a maggior ragione, quindi, vuole diventare quella persona per Sophie, qualcuno di cui potersi affidare con tutti i suoi segreti, qualcuno che non la giudicherà e la aiuterà a prendere decisioni valide.
La distanza tra padre e figlia è racchiusa in un rave party in cui Sophie adulta intravede suo padre. Si avvicina a lui, ma il buio lo avvolge, la musica la martella, non riesce a vederlo nella sua interezza. Avrebbe molto da dire, motivi indefiniti per cui essere arrabbiata e il desiderio struggente di tenere suo padre ancora un po’, ma lui le è sfuggito. Sophie è in piedi, nella stanza buia, incapace di afferrare suo padre mentre lo guarda cadere. La stanza buia e rave rappresenta l’oscurità che ha sopraffatto suo padre. Le ultime scene sono di struggente intensità: a undici anni, non sa che Under pressure di Bowie/Queen sarà l’ultimo ballo. Senza dircelo, Wells ci dice che a Sophie, stretta e abbandonata tra le sue braccia, sembra di sentire ancora il calore dell’ultimo abbraccio prima di partire. Da adulta e madre, Sophie ora sa cosa significhi essere un genitore, si rende conto di quale buco nero possa essere, sentirsi incapaci di provvedere degnamente a qualcuno che dipende esclusivamente da noi, e vorrebbe poter tornare indietro, essere lì con lui ad aiutarlo: “e l’amore ti sfida a prenderti cura delle persone ai margini della notte, e l’amore ti sfida a cambiare il nostro modo di prenderci cura di noi stessi”, cantano Bowie e Freddie Mercury nella strofa finale. Nell’ultima scena, guardiamo Calum entrare in quella stanza dopo aver lasciato Sophie all’aeroporto, inghiottito da un futuro in cui Sophie allora sperava che suo padre avrebbe danzato allegramente lasciandosi portare dal ritmo.

Aftersun è uno di quei film che rimane a lungo dopo averlo visto. Frankie Curio è straordinaria nei panni della giovane Sophie, Paul Mescal sensibile, vibrante, disperato nell’interpretazione della complessità del personaggio di Calum. Nonostante alla sua uscita sia rimasto nelle sale molto poco, il film non smette di avere successo, perché il tema universale dell’inconoscibilità vi è compendiato in modo magistrale, per sottrazione, attraverso immagini in cui spesso i due protagonisti non vengono colti che di sguincio, perché ciascuno è misterioso a se stesso e comprendersi è lavoro di tutta una vita. La pressione di essere genitori, l’incertezza del passo successivo, il terrore di essere una delusione, sono tali che le vite dei genitori come individui restano a lungo perse, e noi, come figli, soltanto dopo essere cresciuti possiamo fare il salto, vedere l’altra faccia delle persone che abbiamo così tanto amato, da cui siamo dipesi per così tanto tempo. Impossibile ricerca del padre perduto, mosaico prezioso come le schegge di vetro che Wells ci mostra e i tappeti tra cui Calum si rifugia talvolta, Aftersun ci strazia parlandoci del dolore, del desiderio (condannato alla frustrazione) di comprendere chi abbiamo perdutamente amato senza averlo potuto salvare. Imperdibile.