Cinema, streghe e demoni

Il cinema demoniaco dagli inizi ai giorni nostri, esaminando i titoli più significativi sul tema. Un viaggio tra demoni e streghe, attraversando anche alcune sette diaboliche.


di Fabrizio Spurio

Già dal principio della sua storia, il cinema ha suscitato spavento nel pubblico – ancora digiuno di immagini che potessero in qualche modo impressionarlo. Non essendo ancora un mezzo espressivo diffuso, era logico che gli spettatori, ignoranti del mezzo, provassero terrore per certe proiezioni. Del resto anche i pionieri del cinema, i primi registi, iniziavano allora a scoprire le meraviglie di quei rudimentali effetti ottici che consentirono a questi artisti di creare i primi effetti speciali. Naturale conseguenza di queste scoperte illusionistiche fu la creazione di pellicole surreali, di cui Georges Méliès fu il precursore. Spesso in queste pellicole si vedono entrare in scena fantasmi, demoni e streghe, tutti intenti a spaventare, ma anche a divertire in alcuni casi, i protagonisti delle scenette che venivano riprese.

Nel 1922 il regista svedese Benjamin Christensen diresse La stregoneria attraverso i secoli (Häxan). In questo film, della durata di 105 minuti, vediamo alternarsi un montaggio di sequenze di stampo documentaristico sulla stregoneria, sul diavolo e le streghe, e alcune parti di fiction che ci mostrano le streghe intente nella creazione delle loro pozioni, e un convento di suore che viene preso di mira da un osceno demone fornicatore. Tematiche queste che sembrano alquanto licenziose per l’epoca. Spesso vediamo primi piani del demonio dalla classica iconografia, con tanto di corna sulla fronte, mostrare la lingua in modo provocatorio nei confronti di suore scioccate da tale osceno comportamento.

Per ritrovare un demone capace di terrorizzare il pubblico, dovremo attendere fino al 1956 con il classico La notte del demonio di Jacques Tourneur. Il film è tratto da un racconto di Montague Rhodes James dal titolo ‘L’incantesimo delle rune’. Narra la vicenda di uno scienziato americano, John Holden (interpretato da Dana Andrews) che giunto in Inghilterra incrocia con il suo scetticismo la strada del dottor Karswell (l’attore Niall MacGinnis), studioso di occultismo e sedicente stregone. Karswell, con uno stratagemma, lega ad una maledizione Holden, destinandolo a un incontro fatale con una creatura demoniaca che lo ucciderà brutalmente. L’unica speranza per Holden è rispedire al mittente la maledizione. Il film è un capolavoro di tensione che rende quasi palpabile la sensazione di minaccia continua in cui vive il protagonista. Anche l’apparizione del demone nelle due scene chiave del film, che sulla carta poteva sembrare ridicola, almeno se si pensa ai mezzi e agli effetti a disposizione dell’epoca, risulta invece evocativa di un forte senso di minaccia immanente e inevitabile.

Il film è stato apertamente omaggiato da Sam Raimi, quando nel 2009 presentò Drag me to hell, interpretato da Alison Lohman. Qui, rispetto al film originale, la situazione è declinata al femminile, e il movente è del tutto diverso. Non ci troviamo più in un ambiente colto di letterati e professori, ma al centro di uno scontro tra un’anziana zingara e una ragazza impiegata in un istituto di credito, e il tutto prende il via solo da una cattiva azione dell’impiegata. Nel film, in alcuni momenti, ci sono delle forti punte di umorismo che comunque non infastidiscono: il film scorre disinvolto tra terrori e sorrisi verso un finale originale.

Il cambio di rotta si avrà alla fine degli anni ’60, quando Roman Polanski porta al cinema Rosemary’s Baby (1968), tratto dall’omonimo romanzo di Ira Levin. Il film crea uno spartiacque con la produzione precedente in quanto spazza via tutto l’armamentario gotico dei film prodotti fino a quel momento, portando l’orrore del demonio nell’era moderna. Rosemary (Mia Farrow) è una donna semplice, moglie di un attore, che viene ingravidata dal diavolo. La novità è tutta nel contesto. La setta satanica che governa da quel momento la vita della donna è (con)fusa nella società moderna, tra la gente comune medio-borghese che la circonda, che entra nella sua vita discretamente, ma che già da tempo controlla la ragazza, dirigendone le azioni e le scelte. Rosemary sarà spinta a partorire il figlio del demonio, e l’unico momento in cui le viene concessa libertà di scelta è nel finale, quando le viene chiesto se accettare la sua condizione di madre o abbandonare il bambino alle cure della setta. In quel momento Rosemary vede cadere il suo orrore, la sua determinazione a distruggere il male, nel momento in cui osserva per la prima volta il bambino nella culla. L’istinto materno è troppo forte in lei, e questo la porterà ad accettare l’orrore. La costruzione del film è lineare, la setta crea intorno all’inconsapevole Rosemary una rete di inganni e tradimenti, sfruttamenti e manipolazioni, il tutto velato dalla maschera della banalità e dell’innocente cortesia. I due vecchi vicini, invadenti e fatui, sono in realtà due persone crudeli che non esitano a spingere al suicidio (o addirittura ad uccidere, non verrà mai chiarito) la nipote, pur di portare avanti il loro piano di ricerca del potere e dell’affermazione. Un film insinuante che destabilizza il pubblico, abituato a storie più classiche dove il confronto tra bene e male era netto, non confuso nella quotidianità. Il male quindi si insinua nelle famiglie, nelle case medio borghesi.

Così come farà anni dopo L’esorcista (1973), film capolavoro e caposaldo del genere, diretto da William Friedkin. Anche questo regista sceglie la strada del realismo, dedicando tutta la prima parte della pellicola ad analisi cliniche e psichiatriche, portando quindi lo spettatore a credere a quello che succede: nel momento in cui è disposto a credere alla storia, trascinato dalla verosimiglianza di tutto quello che viene prima rappresentato, Friedkin lo precipita nell’incubo dell’esorcismo vero e proprio. Una sfida all’ultimo sangue con la creatura diabolica in cui è trasformata la povera Regan (Linda Blair, all’epoca dodicenne). Max Von Sydow è padre Merrin, il prete incaricato dell’esorcismo: un prete che già da tempo ha colto la sfida contro il demone che insidia la bambina. La possessione è resa ancor più oscena, dal fatto che il corpo violato è quello di una bambina, classico simbolo di purezza e innocenza. Le azioni violente cui è costretta dal demone, assumono così una valenza ancor più disturbante.

Il film avrà tre seguiti, uno dei quali sarà un prequel che ci racconta la storia di padre Merrin (interpretato da Stellan Skarsgard) in piena crisi mistica, deciso a lasciare l’abito talare. Sarà qui che avrà il primo incontro con la sua nemesi. La particolarità di questa pellicola sta nel fatto che è stato girato due volte: nella prima il regista era Paul Schrader, e il primo titolo del film fu Dominion – Prequel to the Exorcist (il film sarà distribuito in dvd nel 2005, edizione speciale in cofanetto), ma fu giudicato dalla produzione troppo sofisticato. Si preferì quindi riaffidare la regia a Renny Harlin, che confezionò così il film L’esorcista – La genesi (2004), molto più violento, commercialmente più appetibile per la casa di distribuzione. Naturalmente, a seguito del successo del film originale, esplose su tutti gli schermi un’invasione di film con donne possedute intente a vomitare oscenità assortite. Prodotti di questo tipo, anche di pregevole fattura, sono alcuni film di questo periodo che si sollevano dalla media.

L’anticristo (1974) di Alberto Martino, ibrido tra L’esorcista e Rosemary’s Baby, con una donna, Ippolita (interpretata da Carla Gravina), posseduta e ingravidata dal demonio. Chi sei? (pure questo del 1974) di Ovidio G. Assonitis risulta un buon prodotto, anche se evidentemente con un budget minore. Ma almeno la storia ha un minimo di originalità, con il prete che è tenuto in scacco da un demonio che lo costringe a trovare una donna che possa partorire l’ennesimo anticristo.

Il diavolo torna in grande stile nel 1976 con il film Il presagio di Richard Donner, produzione di lusso interpretata da Gregory Peck, che narra la vicenda della nascita dell’autentico anticristo, figlio di uno sciacallo, sostituito nella culla al posto di un bambino nato morto. La strada di Damien è cosparsa del sangue di tutti coloro che scoprono la sua sulfurea verità e vengono quindi eliminati dai seguaci del demonio. Le scene di morte sono particolarmente spettacolari e curate, le interpretazioni eccellenti e la tensione, complice una colonna sonora composta da Gerry Goldsmith e premiata con l’Oscar, è sempre ad alti livelli. Anche questo film avrà dei sequel che ci mostreranno la crescita di Damien fino alla maturità e al suo destino di bestia dell’Apocalisse. Nel 2006 il regista John Moore ha diretto un remake: Omen – Il presagio, una pellicola dignitosa ma che nulla aggiunge rispetto al film originale.

Un altro film di ottima fattura è Holocaust 2000 (1977) di Alberto Martino, con protagonista Kirk Douglas. La vicenda è simile a quella de Il presagio, con la differenza che in questo caso il padre dell’anticristo, Douglas, è consapevole del diabolico potere del figlio, già adulto e pronto a prendere il suo posto da creatore dell’Apocalisse, come il suo osceno padre aveva prestabilito.

Nel 1974 esce anche una sorta di versione italiana di Rosemary’ babyIl profumo della signora in nero, di Francesco Barilli, interpretato da Mimsy Farmer. La vicenda ruota intorno a Silvia Hacherman, giovane donna che rimane impressionata da un racconto sulle sette dell’Africa, e che da quel momento inizia a vivere delle vicende inquietanti e sanguinose, fino ad un drammatico e inatteso finale. Anche qui abbiamo il tema della setta manipolatrice che si chiude intorno alla donna, ma non si respira mai quel senso di copia del film di Polanski. Anzi, la vicenda affascina ed incuriosisce, e l’ambientazione del film, nel quartiere romano del Coppedé, si sposa alla perfezione con il senso fantastico e gotico della vicenda.

Arriviamo al 1977, che segna per il cinema italiano un traguardo importante. Esce nelle sale Suspiria, di Dario Argento, primo capitolo di una trilogia che spazia dal diabolico allo stregonesco fino ad arrivare all’alchemico. Suspiria narra la vicenda di una ragazza, Susy Banner (Jessica Harper), iscritta ad una famosa scuola di danza a Friburgo, che si trova suo malgrado al centro delle efferatezze compiute da una diabolica setta di streghe. Il film è un perfetto concentrato di terrore e isterismo. Tutto verte ad un universo fantastico, dalle ambientazioni alla fotografia fino alle splendide ed irripetibili musiche. Suspiria è un viaggio nello stregonesco puro, un cinema che esiste solamente per spaventare lo spettatore.

La storia proseguirà con un secondo capitolo nel 1980: Inferno. Qui Argento sposta il centro della trama sull’alchimia, sfornando una pellicola costellata di enigmi, moltissimi dei quali rimangono insoluti anche dopo il termine della vicenda. Il film è un claustrofobico gioco al massacro, dove chiunque si avvicini alla verità viene eliminato. Una verità che deve rimanere nascosta, per evitare che il male una volta svelato faccia dilagare la follia e la violenza sulla Terra. Lo svelamento finale su chi sia veramente “l’assassino” è geniale, mai prima d’ora si era trovato in un film un colpevole tanto importante. Qui ci troviamo davanti a una trama che va perfino oltre l’idea del demonio o della stregoneria.


to be continued…

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