Cléo dalle 5 alle 7, di Agnès Varda (Francia/1962)

di Girolamo Di Noto

“Noi non sappiamo quale sortiremo/ domani, oscuro o lieto”. Eugenio Montale

Agnes Varda

Non c’è niente di più ammirevole di un’intelligenza nutrita di sensibilità. Sguardo sereno, inconfondibile nel suo caschetto bicolore, Agnės Varda, nella sua carriera cinematografica, ha saputo realizzare film totalmente personali, quasi sempre al di fuori delle regole del cinema dominante. Ancora oggi non sono pochi gli ambienti lavorativi in cui la componente femminile è minoritaria e la regia è certamente uno di questi. Ebbene, la Varda non solo è riuscita a ritagliarsi un posto di tutto rispetto tra gli autori della Nouvelle Vague, al fianco di mostri sacri come Truffaut, Godard, Rohmer, ma è anche stata capace di offrire allo spettatore un’opera che ha sprizzato freschezza e giovinezza, filmando il mondo con un piacere deliziosamente contagioso. Prima regista donna a ricevere l’Oscar alla carriera, fotografa, artista visual, Agnės Varda è passata con disinvoltura dal documentario alla finzione e talvolta contaminandoli insieme in un’unica forma di sguardo rivolto al mondo, ai suoi dolori e ai suoi piaceri. Un cinema in prima persona, fatto di luoghi, strade, attese, che parte dalla dimensione autobiografica per andare a vedere e a raccontare gli altri. Un cinema di volti, soprattutto femminili, che trova forse la migliore definizione nelle parole del critico francese Pierre Billard: “Una sbrigliata poesia, edificata sulle solide fondamenta di un realismo intransigente”.

Corinne Marchand

La storia di Cléo dalle 5 alle 7 richiama fortemente questo pensiero: c’è poesia ovunque, libera, scatenata, senza freni, c’è Parigi come sfondo, la bellezza delle immagini e soprattutto quella della protagonista, un’incantevole Corinne Marchand, ma è anche presente una realtà che lascia poco spazio a compromessi, spietata sotto certi aspetti, vestita nelle forme della paura e dell’ angoscia.

Florence, in arte Cléo, è una giovane e bella donna, cantante, che si è sottoposta ad alcuni esami clinici di cui sta attendendo i risultati, in un crescendo di ansia e timore. Ha paura di avere un cancro. Nell’attesa del temuto responso, nelle due ore che la separano dall’incontro con il medico, Cléo si aggira per Parigi, senza meta, si guarda intorno, rivede la sua vita, ora si riconcilia con essa, ora si lascia prendere dallo smarrimento. Cléo è una donna splendida, civettuola, capricciosa: all’inizio si cura solo della propria immagine, è costantemente preoccupata dello sguardo altrui, attraverso la paura di morire Cléo cambia.

Il pensiero della morte è una cosa così sorprendente che la spiazza del tutto. Mette in dubbio qualsiasi cosa : la sua esistenza, il suo amante che va di fretta e non ha tempo di ascoltare le sue angosce, la sua governante, i suoi musicisti che non capiscono la sua ansia. Vagando per Parigi, in mezzo a orologi che segnano il trascorrere del tempo, Cléo è inquieta. Le vetrine che rispecchiano il suo giovane corpo e la riconciliano con la sua femminilità, d’altro canto le offrono la riflessione spietata sulla fragilità della bellezza, l’amara consapevolezza del degradarsi di quel che pareva inalterabile.

Il film è il racconto delle sensazioni e delle emozioni generate da tale paura. Agnės Varda è abile a seguire il personaggio mostrandolo nella sua evoluzione: da ragazza viziata ed egoista, convinta che “essere brutte è come essere morte”, Cléo pian piano comincia a prendere coscienza di sé.

Se un tempo era lei ad essere sempre notata, ora è lei a posare il suo sguardo sugli altri. Con occhi nuovi vede persone sconosciute, ascolta le loro storie, non è più indifferente alle notizie di guerra ascoltate in radio provenienti dall’Algeria, trova l’amica di sempre che si guadagna da vivere come modella d’arte, infine incontra in un parco Antoine, un giovane soldato in partenza per l’Algeria, non meno preoccupato di lei per il destino che lo attende, ma comunque più fiducioso.

Cléo dalle 5 alle 7 è il ritratto di una donna colta nell’ansia di un’attesa, l’attesa di un verdetto che comporterà tra le altre conseguenze anche quella dell’alterazione del suo sguardo. Cléo diventerà sensibile a tutto ciò che evoca la malattia, il sangue, la morte. A partire dall’incontro con la cartomante, turbato dal futuro poco promettente nascosto nella carta dell’impiccato, diversi fotogrammi suggeriscono angoscia nella donna: maschere, il mangiatore di rane, il saltimbanco che si perfora il braccio, ma anche le parole di una sua celebre canzone, Senza di te :

“Bellezza sprecata/nuda nel freddo dell’inverno, solo un corpo bramoso/senza di te”, rivelano sensazioni poco piacevoli. La sua percezione delle cose che vede, delle persone che incontra è modificata dall’angoscia che l’attanaglia.

I suoi occhi sono uno specchio soggettivo che non riuscendo a riflettere l’azzurro del cielo, riflette il fango del pantano. Del resto capita anche quando si è innamorati: un particolare di una strada d’infimo ordine acquista un altro valore, lo si vede con occhi diversi. Al contrario, se si è presi dall’angoscia, da un pensiero che ci tormenta, anche Parigi smette di essere Parigi. Cléo è sospesa in un limbo, camminando lungo le strade parigine è al crocevia tra la vita e la morte, tra un futuro ancora pieno di sorprese e sentieri da percorrere e, come scrisse in modo sublime Sofocle nell’ Edipo re, “la selva cupa al fondo del dirupo”.

È un film sulla paura della morte, paura che arriva a ondate, che va e viene e che talvolta lascia spazi di noncuranza e allegria. L’incontro con il soldato è uno dei pochi momenti a darle conforto. Nonostante i due siano accomunati da un momento pericoloso nelle loro vite, avranno modo di parlare d’amore, fiducia, speranza.

Cléo dalle 5 alle 7 è un film da recuperare, è un racconto delicato dal tono malinconico sul tempo che passa, un’opera che sa raccontare le emozioni e che non nasconde, al di là di tutto, la gioia di vivere la vita fino in fondo, ‘fino all’ultimo respiro’.

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