Quando la moglie è in vacanza, di Billy Wilder (1955)

di Paola Salvati

La calda estate è iniziata e con essa l’esodo dalle città verso mete di mare o montagna dalle temperature più gradevoli.

È questo il momento in cui mogli e figli partono per le vacanze, lasciando gli uomini da soli in città, apparentemente presi da impegni di lavoro, ma in realtà finalmente liberi di potersi dedicare allo sport preferito: la caccia alle belle donne, per poter vivere avventure inebrianti. Succederà anche a Richard, un uomo tranquillo che lavora presso la Brady & co., casa editrice per la quale cura il lancio di saggi e libri di vario genere, ideando copertine con immagini piccanti per renderli più appetibili. Marito esemplare, egli deplora il comportamento degli altri uomini, etichettandoli ‘scapoli estivi’, ma poco dopo aver salutato i suoi cari alla stazione, si ritroverà lui stesso vittima degli impulsi più normali ed istintivi del genere maschile. Non appena rientrerà a casa e suonerà alla sua porta la nuova inquilina del piano superiore (Marylin Monroe), una modella che lavora in tv per gli spot pubblicitari, e gli apparirà davanti in tutto il suo splendore, crollerà ogni barriera e come chiunque altro proverà a giocarsi le carte della seduzione.

“Io no! Io no! Lavoro lavoro lavoro!” Si ripete Richard, cercando di distogliere i pensieri da quella fantastica tentatrice. Aumenterà il suo tormento il saggio di uno psicanalista che sta leggendo per lavoro, dove si metteno sotto il riflettore proprio questi comportamenti del maschio medio, chiamati ‘pruriti’ e manifestati più frequentemente durante il settimo anno di matrimonio. Richard, sposato proprio da sette anni, si convince sempre più di essere uno dei casi descritti.

Da lì partiranno una serie di visioni partorite dalla sua fervida immaginazione, che lo vedranno dialogare con l’ologramma di sua moglie, la quale si burla di lui e delle sue crisi.

Ma Richard si convince di aver un fluido magnetico irresistibile per le donne. E quando dal balcone della bella bionda cadrà un vaso di patate (pomodori, in realtà, ma nella traduzione italiana veniva meglio patate), decide di lanciarsi e di invitare la donna a casa sua per offrirle da bere. E lei, ‘la patata del piano di sopra’, come dirà entrando da lui, accetta subito: “Mi dia un momento, vado in cucina a mettermi qualcosa addosso”…”sì, perchè quando fa caldo l’intimo lo tengo in frigo”.

È lì che il nostro Richard ricomincia a fumare nervosamente e a bere, trasgredendo ai divieti della moglie Helen! Si immagina pianista famoso suonare il concerto n.2 di Rakmaninov in una elegante vestaglia e lei in abito lungo venire rapita dal suo fascino.

Effettivamente durante la serata suonerà il pianoforte, ma il brano sarà più frivolo, Chopstiks (un valzer svelto del 1877) tradotto nel più famoso ‘Tagliatelle’; lei si siederà accanto a lui per suonarla insieme allegramente. Anche se la ragazza si mostrerà disponibile, spiegando che “con gli sposati è molto meglio, perchè non si rischia di cadere nel serio”, tra i due non ci sarà nient’altro che qualche bacio, perchè Richard riprenderà la via della fedeltà.

Gioiellino di Billy Wilder, questo film ironizza con classe sul cliché più scontato che riguarda l’uomo sposato, il marito tipo della borghesia americana post bellica, apparentemente corretto e irreprensibile, in realtà pronto a trasgredire le regole e uscire dai binari di un sano matrimonio, quando la famiglia è lontana. Geniale l’idea di far discendere questo costume addirittura dagli indiani d’America (che la voce narrante nella prima sequenza ci dice essere nello specifico di una tribù di Manhattan) per trovare una atavica giustificazione ad un comportamento scorretto, soprattutto per la mentalità di quei tempi. La trama è semplice e leggera, basata sulla continua oscillazione tra il comportamento irreprensibile dell’uomo fedele e il desiderio irrefrenabile di tradire. Il genio di Wilder rende macchiettistica questa naturale propensione, mettendo in risalto l’aspetto della lotta interiore, ridicolizzandolo.

La trovata è tipicizzare al massimo i caratteri, rappresentati dai due protagonisti, che sarà la carta vincente di questo film e l’inizio di un genere di commedia americana, proprio del suo ideatore: Billy Wilder, appunto.

Egli sceneggiatore e regista, divenuto famoso per film di genere drammatico, uno su tutti Viale del tramonto, e già vincitore di Oscar, faticherà non poco ad aggirare la censura americana degli anni cinquanta, che mal tollerava il tema dell’adulterio. Nella trasposizione cinematografica di un successo teatrale di Brodway, ‘The Seven Year Itch’ (prurito del settimo anno) di George Axelrod, Wilder troverà questa formula ‘morbida’ per rappresentare l’argomento, senza essere troppo sfacciato, usando magistralmente l’ironia.

Sarà aiutato molto per la distribuzione della pellicola dalla 20th Century Fox, dopo aver lasciato la Paramount. Il produttore Darril Francis Zanuck chiederà di tenere come protagonista Tom Ewell, ma di inserire per il ruolo della protagonista femminile la Monroe.

Lei, all’apice della sua carriera dopo i film Niagara e Gli uomini preferiscono le bionde del ’53, sarà l’asso nella manica di questo riuscitissimo lavoro, che registrerà incassi notevoli al botteghino e frutterà nel 1956 un Golden Globe a Ewell come miglior attore protagonista di film commedia o musicale.

Nonostante il premio sia andato all’interpretazione perfetta di Tom Ewell, ciò che è entrato nell’immaginario collettivo come sex symbol è il personaggio de ‘la ragazza’, volutamente senza nome, più oggetto del desiderio che soggetto; consacrata definitivamente come icona della PopArt con l’indimenticabile scena in cui, appena usciti dal cinema, lei si ferma sulla griglia della metropolitana e al passaggio del treno lo spostamento d’aria le solleva il famosissimo abito bianco.

Una ventata d’aria fresca nel panorama hollywoodiano, che farà posto nel firmamento del cinema mondiale a una luminosissima stella, questa sì con un nome: Marylin Monroe.

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