
di Andrea Lilli
Dopo il blocco forzato degli ultimi sei mesi è finalmente iniziata la 77. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica. Era ora. Tuttavia in preapertura e fuori concorso Venezia si è fermata ancora un poco a rimirarsi davanti a uno specchio, questo di Andrea Segre. Si è guardata attenta riflettendo su se stessa per i 68 minuti di Molecole, che non è solo una fiction, un documentario, un diario personale. Non è solamente tutto ciò. È, soprattutto, oltre che un prezioso specchio veneziano, la commovente lettera di un figlio al padre amato.

In Molecole ci sono diverse Venezie. C’è quella solita, affollata, troppo, nelle sequenze girate prima del Covid-19. E quella mai vista, nuda e cruda: la Venezia vuota e silenziosa in cui si trova intrappolato il regista, sorpreso dal coprifuoco antivirus di marzo mentre stava lavorando su altri progetti. Ecco la fuga dei turisti, la scomparsa dei venditori ambulanti e dei camerieri, piazza San Marco una tabula rasa, le calli deserte, chiusi i musei, le chiese, le scuole, i bar, i negozi. Gondole, motoscafi e traghetti sono scomparsi, i semafori intimano a nessuna barca il rosso e il verde. Campane risuonano su un Canal Grande sgombro, campane a morto si direbbe. La laguna è incredibilmente piatta. Niente scafi, niente onde. “Non accadeva da almeno 50 anni”, dice un intervistato, “50” tanto per dare un numero grosso.

Molecole sono i rari passanti che girano da soli e in fretta, molecole disorientate sono i gabbiani che si lamentano, urlano affamati nella scenografia urbana più bella del mondo, resa ancora più fantastica dal silenzio, dall’assenza dell’uomo per mare, per terra e per cielo. In queste sequenze, invece di certe musiche dolenti di Teho Teardo reiterate in loop sarebbe stato meglio lasciar fare al silenzio frusciante, ai rari e rimbombanti rumori antropici, ai versi animali che rimbalzano incontrastati fra i palazzi storici.
C’è, infine, una Venezia del secondo Novecento ripresa in Super8. Alle immagini del regista si sovrappongono quelle amatoriali girate da suo padre per la città o in famiglia, rinvenute insieme a vecchie lettere dai cassetti di una casa affollata di parenti rinchiusi dal lockdown. La voce fuori campo di Andrea ci informa che Ulderico Segre era uno scienziato veneziano con l’hobby dei video e delle foto fin da ragazzo. Chimico e fisico, studiava i movimenti delle particelle elementari in interazione tra loro. In particolare voleva capire le dinamiche dei radicali liberi, molecole instabili cariche di elettroni solitari in cerca di altri elettroni, di altri legami, di nuovi lacci. Perché e come questi invisibili mattoncini Lego si incontrano, si contaminano tra loro determinando l’evoluzione del mondo, imponendosi in natura? L’Uomo da sempre pretende di controllarli. Non sempre ci riesce. Il padre si trasferì da Venezia a Padova per iscriversi alla facoltà di Fisica, Andrea nacque là sulla terraferma e non tra le meravigliose palafitte, ma l’acqua resta un elemento a lui caro, ricorre spesso nella sua filmografia e Venezia gli è sempre stata familiare seppure tabù, per una certa ritrosia dei genitori nel riparlarne.

A febbraio inizia a filmarla per due progetti incardinati sui problemi principali: il turismo eccessivo e l’acqua alta. Incontra esperti, intervista amici veneziani. Poi, il destino sposta l’obiettivo sugli effetti del virus nel paesaggio, nella vita sociale, in quella familiare, inducendo nel regista una riflessione serrata sulla figura del padre, scomparso da dieci anni per un attacco cardiaco, e sulla difficile comunicazione avuta con lui.
Il Fato diventa, col padre, il protagonista del film. Ulderico amava leggere Camus, che ne Lo straniero definisce il destino come una precondizione da rispettare, un percorso inevitabile, preparato da eventi che non possiamo controllare. “Ognuno nasce con un copione in parte già scritto, non resta che accettarlo”. Ulderico sapeva che prima o poi il congenito soffio al cuore gli sarebbe stato fatale.

Andrea Segre crede che da questa consapevolezza provenissero sia la scarsa disposizione al dialogo che l’impegno nella ricerca scientifica: visto che il Destino è inevitabile, non resta che comprenderne le regole. Peccato non aver comunicato meglio, di più, prima. Molecole è l’ultima lettera di un epistolario a senso unico. “Studiavi la materia, papà, convinto che di sola materia siamo fatti. Ma la nostra materia è fragile”.
Il dolore del figlio per il dialogo mancato è ancora acuto, confortato appena dalla scoperta postuma dei filmati in Super8, dalla rilettura delle vecchie lettere, dal riconoscimento dell’attività scientifica del padre. Una passione paziente, tenace e fiduciosa per le cose invisibili come quella di un pescatore, laconico e riservato ma sempre sorridente, fino all’ultimo. Viene citato più volte un detto cinese : “Chi si sposa è felice una settimana. Chi ammazza il maiale è felice un mese. Chi sa pescare è felice tutta la vita”.
- In sala dal 3 settembre (distribuzione: ZaLab in collaborazione con Lucky Red)
