di Carla Nanni

Lui è un avvocato di bella presenza, sposato e padre di famiglia; lei, grintosa bionda e femme fatale, sensuale e senza inibizioni. Si incontrano per caso ad una festa e scocca la scintilla al primo sguardo. Può capitare, succede.
Un’attrazione fatale è quella condizione che si verifica quando, nonostante il cervello dica con tutte le forze che non è proprio il caso, tutto il resto, tralasciando il cuore che non ha voce in capitolo, preme per il contrario. Cosi Dan, il nostro avvocato dalla vita tranquilla e probabilmente piuttosto noiosa, cede alle avances della tigre bionda, passando un week end di fuoco nella sua casa e nel suo letto, senza rendersi conto di stare per entrare in un tunnel pericoloso, letale.

Adrian Lyne firma, dopo cult come Flashdance e 9 settimane e mezzo, un altro campione di incassi con ben 6 candidature all’Oscar, tra cui miglior regia.
Glenn Close, attrice dal volto inconfondibile, diviene con questo film l’icona della stalker più amata d’America (volle a tutti i costi questa parte, cosi dicono i rumors) e Michael Douglas, che dopo qualche anno avrà il ruolo come attore protagonista in Basic Instinct, sarà ricordato per l’acconciatura maschile più cotonata che si possa immaginare. La storia ha più facce e più punti di vista, anche se è inevitabile, di primo acchito, puntare gli occhi sulla passione che scaturisce tra i due, sul magnetismo che si innesca subito, nell’istante in cui i loro occhi si incontrano e quelli di lei sono gli occhi di un drago.

Adrian Lyne usa un fotogramma o poco più per aprire la strada ad una tensione palpabile, a qualcosa che sta per avvenire, inevitabile come l’attrazione tra due persone: lo sguardo che lei lancia al povero Dan, durante la festa del venerdi sera è la scintilla che fa incendiare ogni cosa. Accade, Alex vuole Dan, lo vuole e si impegna, nonostante sappia che è sposato e non disponibile sul mercato. Attrazione, c’è e si chiama chimica, qualcosa che produce reazione in un corpo con un solo, indefinibile sguardo.

Lyne è bravissimo in questo, ne ha già dato prova in altre pellicole di uguale successo che la cura nei dettagli rende comprensibile e intuibile la particolarità di certe emozioni, come una rete su cui si poggia l’intera struttura e che dà la spiegazione e individua il focus della storia. Qui non si smentisce, già dalle prime battute si nota che la quotidianità di Dan (Michael Douglas) non è poi cosi felice come può sembrare. Certo ha una moglie bellissima, una figlia dolcissima, una carriera sulla cresta dell’onda, eppure si sente dalle prime scene come quella routine gli stia stretta: la moglie che si prepara in bagno, la figlia che lascia i giocattoli in giro e su cui lui inciampa, il cane da portar fuori, la casa di campagna che la moglie vorrebbe acquistare, per stare vicino ai suoi, ma che lui proprio non riesce a mandar giù; senza contare le volte in cui il desiderio che ha per la moglie viene bruscamente interrotto e sospeso, dalle mille impegnative situazioni che gli capitano.

Quindi è prevedibile che lui cada in tentazione appena si presenta l’occasione. E l’occasione si presenta con la bionda e forte Alex, che non ci mette molto ad accoglierlo tra le braccia (sul lavello della cucina). Alex però non è tanto forte, dietro una maschera di tigre si nasconde un’ anima fragile che si spezza all’abbandono e al rifiuto di Dan di continuare la storia. Dan non è intenzionato a lasciare la sua tranquilla vita familiare, ma Alex non ci sta, prima dichiarando di essere incinta per incastrarlo(?), poi arriva a tentare il suicidio, per avere la sua attenzione. Non ci riesce, il buon Dan ha proprio intenzione di non avere a che fare con lei, cosi la sua personalità disturbata la convince a prendere la strada della violenza, delle imboscate e degli inganni.

Per Alex inizia un viaggio nella cupa ossessione, ed è l’incredibile talento di Glenn Close che riesce ad esprimere ogni sfumatura e variazione nel carattere di Alex, fino al culmine della follia, quando rapisce la figlia e tenta di uccidere Dan e la moglie, interpretazione che anche a lei valse la candidatura all’Oscar come attrice protagonista, oltre all’inserimento del personaggio di Alex la stalker tra i cinquanta cattivi più cattivi nei film (stabile al 7 posto, nella classifica del 2003 scelti dall’American Film Institute).
Viene da sé che Attrazione Fatale rientri a pieno titolo tra le pellicole più iconiche degli anni Ottanta, chiarissima è la lezione morale impartita al povero Dan che si ritrova perseguitato dopo aver commesso una leggerezza nei confronti della bella moglie e della famiglia (o quella che lui crede sia una leggerezza perdonabile), chiaro l’intento di vedere nella stabilità della famiglia, per quanto la quotidianità possa essere noiosa, un porto sicuro e solido su cui costruire il futuro.

Di contro, guardandolo a distanza di anni e distogliendosi da quella peculiare maschera di integrità e rettitudine che vuole la puritana società americana, possiamo spezzare una lancia per la povera Alex, sedotta e abbandonata, fragile di cuore e nei sentimenti, tanto da sfociare nella follia distruttiva che un abbandono può causare. È certo che potremmo benissimo parteggiare per lei, non fosse per quel coltello affilato, che spesso si ripropone sulla scena e che in definitiva, un po’ di inquietudine ce la crea.