Il padre di famiglia, di Nanni Loy (1967)

di Girolamo Di Noto

Il padre di famiglia appartiene ad un’epoca d’oro del cinema italiano, quando registi del calibro di Monicelli, Scola, De Sica rappresentavano il nostro paese con grande realismo, ironia e profondità. Il film di Nanni Loy rientra di diritto nel gruppo di coloro che partono da un’analisi attenta della realtà perché rimane ancora oggi uno strepitoso ritratto dell’istituzione familiare, un’amara riflessione sugli aspetti negativi del boom economico, una commedia che sfiora la tragedia.

Il film narra l’agitata vita sentimentale di Marco (Nino Manfredi) e Paola (Leslie Caron), due giovani studenti di Architettura che si incontrano durante una delle manifestazioni a favore della Repubblica nei giorni che precedono il referendum che determinerà la fine della Monarchia. I due si amano, si sposano, decisi a lottare per realizzare gli ideali professionali che hanno in comune. Lui idealista, lei donna in carriera, sposandosi e soprattutto ritrovandosi dopo pochi anni genitori di ben quattro figli, rinunceranno a ciò di cui tengono di più: lui la libertà, lei la carriera, dedicandosi alla famiglia.

Loy è straordinario nel seguire da vicino i mutamenti antropologici dell’italiano colpito da un benessere troppo improvviso, ma soprattutto è abile e coraggioso nel mettere in discussione ruoli familiari mai contestati e capace, con il suo proverbiale occhio realistico e caustico, di saper descrivere, con minuzia e ironia, l’amore che cambia forma, l’ideale che si scontra con la pratica, ponendo in primo piano la famiglia come un luogo dove le illusioni e le speranze svaniscono e si sacrificano. Marco e Paola sono affiatati e felici all’inizio della loro relazione: Paola è tranquilla, vive la vita con leggerezza, è presa da tanti progetti; Marco ha un carattere più burrascoso ma è allegro, è ottimista e vorrebbe dedicarsi a combattere l’eccessiva cementificazione di Roma.

L’affiatamento iniziale subirà delle trasformazioni, i figli stravolgeranno l’equilibrio, emergeranno frustrazioni, delusioni, tradimenti e tra turbinio di pianti, andirivieni di ospiti sgraditi, crisi emotive tutto sembra pensato per andare allo sfascio, ma Loy, grazie anche alla straordinaria capacità recitativa di Manfredi, riesce sempre a conservare quel sorriso, che seppur amaro, non distrugge del tutto quello che si è costruito ed è toccante quando, dopo che la moglie cadrà in depressione, Marco non saprà rispondere alla richiesta di un funzionario del censimento se sia lui il capofamiglia.

Nanni Loy, da questo punto di vista, sa ben costruire una commedia costellata di annotazioni pungenti, offre stoccate dappertutto, mette il coltello nella piaga ma sta attento anche a non affondarlo del tutto. C’è sempre una battuta che salva, un sorriso che sdrammatizza e protegge la situazione che si vuole contestare. Nel film, ad esempio, si parla di urbanistica (con i disastri del piano regolatore di Roma): Manfredi è straordinario ad interpretare un uomo che si sente schiacciato dalle battaglie perse sul posto di lavoro, che vede crescere a dismisura e non a misura d’uomo una città sempre più preda della speculazione edilizia, però la denuncia di Loy si stempera nell’ironia e nella battuta: “Qui, tra qualche anno le pecore le dovranno pascolare in terrazza”.

Racconta il delicato passaggio dalla Monarchia alla Repubblica con serietà ma sa anche divertire, come nella sequenza del bambino che al pranzo con le due famiglie conservatrici degli sposi canta a squarciagola Bandiera rossa mentre il nonno militare sparisce nell’indifferenza di tutti. Dà stoccate indimenticabili al metodo Montessori, da applicare agli irrequieti pargoli, mescola la riflessione amara con la risata, l’umorismo con lo sguardo malinconico se pensiamo alle maniglie delle porte e allo stroffino della doccia a misura di bambino. Si ride sulle battute di Manfredi, sulla confusione portata dallo strampalato Romeo (Ugo Tognazzi), un anarchico che vive di espedienti, ospite a sbafo e amico inseparabile dei bambini, che ha perso una mano perché gli è scoppiata una bomba e non fa che chiedere ossessivamente a chiunque incontri se sia un compagno o una compagna.

Allegria peraltro velata da malinconia se pensiamo che per quel ruolo era stato scelto inizialmente Totò, che riuscì a girare solo una scena del film (quella del funerale del padre di Paola) perché poi morirà due giorni dopo. Il film di Loy sa anche nascondere tra le pieghe della commedia una riflessione amarissima sulla condizione della donna: Leslie Caron è toccante nella sua interpretazione di donna lacerata, costretta a sacrificare i propri interessi personali, è efficace nel dar vita ad un personaggio stretto e soffocato dalle rinunce e dal vivere la maternità quasi come se fosse una missione primaria: “Ho nostalgia di essere incinta. Se no, a che servo?”

Con grande sapienza registica Loy riesce ad offrire uno spaccato di vent’anni di storia italiana grazie anchead uno stuolo di grandi caratteristi come Mario Carotenuto, Sergio Tofano e soprattutto grazie anche alla straordinaria interpretazione di Nino Manfredi, attore versatile, capace di dare umanità e profondità al personaggio di Marco, perfetto nel tratteggiare, in maniera composta ed efficace, il ritratto di un padre di famiglia dal sorriso schietto, fondamentalmente ottimista, con una dignità propria, inevitabilmente destinato alla sconfitta.

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