La festa silenziosa, di Diego Fried (ARG 2020)

di Andrea Lilli –

Un vecchio aforisma, maschilista e allo stesso tempo offensivo per l’intelligenza maschile, “Una donna che pensa, fa paura. Una donna che fa quello che pensa, terrorizza“, può diventare una spiegazione (attenuante) facile quanto pretestuosa per tentare di giustificare le violenze sulle donne terrificanti che osino comportarsi liberamente, ribellarsi ai soprusi, farsi giustizia da sé, senza aspettare i ‘tutori’ istituzionali (padri, mariti, fratelli, giudici, avvocati). La festa silenziosa è un thrilling argentino incardinato su questo tipo di terrore. Una donna che pensa di vendicarsi per un grave torto subito, e agisce vendicandosi con le proprie mani. Il film inoltre rispolvera una serie di questioni collaterali che tale situazione – non nuova – pone: la soggezione ‘per default’ della donna all’uomo (padre, marito, etc.) in ambiente familiare o altrove, la viltà del branco, l’uso diffuso delle armi. Senza risolvere nulla, già riproporre questi temi scomodi e sempre più attuali è un merito.

Trama (NO SPOILER). La storia si svolge nell’arco di un solo giorno; la protagonista è Laura (Jazmín Stuart). Alla vigilia della celebrazione del suo matrimonio nella tenuta di campagna del padre, giorno già carico di attriti col fidanzato paranoico (Esteban Bigliardi) e con l’invadente papà (Gerardo Romano), Laura cerca di rilassarsi iniziando una passeggiata solitaria nei dintorni.

Viene attirata dai rumori di una festa insolita – un silent party – in pieno svolgimento nel giardino di una villa vicina. Gli anfitrioni la invitano a partecipare. La musica tecno in cuffia, l’alcol, l’euforia dei giovani che la circondano danzando distraggono Laura dai suoi pensieri; si allontanano le tensioni per i preparativi di nozze e le nubi sul futuro coniugale appena intraviste all’orizzonte. Laura si lascia andare alle good vibrations e flirta con un ragazzo. La situazione potrebbe evolversi in un’imprevista, piacevole festa di addio al nubilato, ma non tutto è sotto controllo.

La serata precipiterà in tragedia, la vita di Laura cambierà. Da promessa sposa inquieta, Laura diventa una vittima della peggior violenza per lei immaginabile in quel giorno, e immediatamente dopo una vendicatrice spietata. In più deve combattere contro le lentezze del fidanzato e il protagonismo machista del padre. Sola contro tutti gli uomini, Laura adotta tuttavia un comportamento violento tipicamente maschile, aggiungendosi come personaggio a quelli dei film di un genere intermedio tra Revenge movie e Girls with guns. E qui ci riallacciamo all’aforisma iniziale: Una donna che pensa, fa paura. Una donna che fa quello che pensa, terrorizza, con alcune domande:

Una donna che pensa, deve per forza pensare come un maschio? Abbracciarne gli schemi mentali, i criteri di analisi, la scelta delle soluzioni? O una donna potrebbe disporre di altri schemi mentali, di criteri analitici differenti, di altre soluzioni? Una regista donna, avrebbe impostato il film diversamente? Nell’antica Grecia le divinità della giustizia, Nemesi e Dike, erano femminili così come quelle della vendetta, le Erinni. Non avevano sempre armi in mano, e quando le avevano non le usavano solo per ucciderli, i colpevoli.

Jazmín Stuart, militante del collettivo femminista Actrices Argentinas, ha dichiarato: «Questo film presenta un modello di donna che non si rassegna di fronte alla violenza e apre un dibattito su questa trasformazione che si rende necessaria a livello mondiale. Penso che il film affronti un tema caldo e di stringente attualità: Può una donna cercare giustizia di propria mano? Oppure la violenza e la giustizia sono dominio dell’uomo? C’è qualcosa nel sistema che non permette a una donna arrabbiata di esprimere rabbia e di fare violenza, come se questa fosse prerogativa unica degli uomini».

Il problema è che Laura avrebbe potuto e dovuto non rassegnarsi, già molto tempo prima, ad altre due forme di invadenza maschile: quella di un padre troppo avvolgente, soffocante nel caricarsi l’intera organizzazione del matrimonio della figlia, nell’insegnare alla figlia il modo di impugnare una pistola, nell’imporsi in generale come suo ‘gestore’; e quella di un fidanzato troppo noioso, asfissiante, miope, petulante, insomma inadeguato. Perché Laura si accanisce solo (ma giustamente) su sconosciuti ragazzi violenti, mentre tollera parenti molesti, che comunque le guastano la vita? Che strano tipo di femminismo opportunista la fa (non) agire?

La pellicola è per fortuna priva di effetti speciali truculenti, affidata invece ad un solido montaggio che usa i flashback per la narrazione ad inserti diacronici, che rappresentano meglio lo shock di Laura. Sono ben dosate le alternanze tra le riprese in movimento con camera a spalla, i campi lunghi, le riprese dall’alto, i piani sequenza ravvicinati. La colonna sonora è sempre adeguata e contribuisce alla suspense senza rallentamenti né martellamenti eccessivi.

Dopo aver conseguito un riscontro positivo nei festival in cui è stato presentato, in particolare in quelli latinoamericani, il film è uscito in Italia ieri, 25 novembre, in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.


  • in sala dal 25 novembre

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