di Margherita Loglio
“È tutto registrato. È tutto un nastro. È solo un’illusione.”

A Hollywood, città delle stelle dove si creano film ed illusioni, accompagnata da una coppia di anziani dall’identità sconosciuta, arriva Betty, una ragazza dall’aria ingenua con il sogno di diventare un giorno una brillante attrice. Quando però mette piede nell’appartamento lasciatole dalla zia capisce di non essere sola; vi trova infatti una donna spaventata, rifugiatasi all’interno della casa reduce da un fatale incidente avvenuto la sera prima sulla curva di MulHolland Drive. Questo però lei non lo sa, poiché completamente incapace di ricordare qualsiasi cosa, compreso il suo nome, che prenderà in prestito da un poster di Rita Hayworth appeso ad un muro.
Durante il tentativo di ricostruire la persa identità di quest’ultima, Betty comincerà a riscuotere successo ottenendo la sua prima parte e progressivamente le due, avvicinate dalla collezione di indizi sul passato di Rita, che sembra riacquistare piccoli stralci di memoria come il nome Diane Selwyn, diventeranno amanti. Nel corso di tutta la storia però aleggia un’angosciante sensazione, non tanto dovuta alle musiche sinistre o ai personaggi inquietanti ma all’impressione che quello che stiamo guardando sembra inspiegabilmente innaturale.

Sarà durante la visita al cabaret Silencio che per lo spettatore, con le parole del direttore di orchestra che avverte i presenti che tutto quello che stanno ascoltando è in realtà registrato e non c’è una vera orchestra, non vi è nulla di reale, l’apparentemente confusa narrativa acquisterà un senso.
È solo con lo scoperchiamento del vaso di Pandora, una cubica scatola blu che le due aprono con una chiave di cui Rita era in possesso, che i ruoli vengono riassegnati e siamo risvegliati da tutto ciò a cui avevamo assistito precedentemente: un sogno.
I primi quattro quinti di MulHolland Drive infatti non sono altro che frutto del subconscio di Diane Selwyn, una sfortunata attrice ancora innamorata della collega nonché ex amante Camilla Rhodes di cui invidia morbosamente il successo personale e professionale. Sarà quando Camilla annuncerà il suo fidanzamento con il regista Adam Kesher che Diane in preda all’ira commissionerà ad un sicario l’assassinio della donna.
Diane in preda ai sensi di colpa, incapace di conciliare la coscienza dell’atto che ha appena compiuto e la depressione dovuta al suo fallimento come attrice, cadrà in un sogno modellato dalle sue paure, preoccupazioni e desideri, nel quale rimmagina completamente gli eventi della sua vita. Betty rappresenta l’idealizzazione della stessa Diane, una ragazza dalle grandi ambizioni e dagli occhi brillanti che eccellerà immediatamente nei casting, colpita da un successo che nella realtà a lei è stato portato via da Camilla, ovvero Rita, sopravvissuta agli uomini che desideravano ucciderla, segno che una piccola parte di Diane in fondo desiderava che l’assassinio non fosse stato portato a termine, ma colpita da un’amnesia che la rende vulnerabile e dipendente, priva di una vita o desideri al di fuori della sua relazione con Betty, la sua amante e salvatrice.

Un sogno che non ci viene soltanto descritto ma fatto vivere contemporaneamente alle protagoniste, con annesse anomalie del mondo onirico e rimandi ad immagini ed esperienze realmente vissute. Chiunque si trova nel sogno infatti è stato parte della vita di Diane anche per un solo momento, ma si ritrova a recitare una parte diversa da quella assunta nella realtà.
È riprovata inoltre la realtà universale che ognuno nei nostri sogni non è altro che una rappresentazione di noi stessi, poiché interpretiamo il mondo proiettando noi stessi sugli altri. Betty non è infatti l’unica personificazione di Diane, che interpreta il ruolo di tutti gli altri personaggi sui quali vengono scaricate le sue insicurezze e delusioni. Una prova è Adam Kesher, il regista di successo che sposa Camilla, che nel sogno si trova in bancarotta, è cacciato da casa propria dall’amante della moglie e perde le redini del suo stesso film. Sarà costretto infatti a scegliere un’attrice prestabilita per lui, esattamente come nel subconscio di Diane il processo di casting non è altro che una violenta cospirazione poiché convinta che il sistema sia truccato contro di lei e che sia questa la ragione del suo fallimento.

Un altro esempio è anche il senzatetto, che incarna tutto ciò di cattivo che Diane teme di essere diventata, motivo per il quale, l’uomo che vediamo seduto al bar confida al suo amico di essere tormentato dall’immagine di un uomo spaventoso, proprio il senzatetto, di cui è terrorizzato e che non vuole dover incontrare all’infuori dei suoi sogni.
Una fantasia che si dovrà interrompere prima che Rita scopra la verità e risolva il mistero attorno alla sua identità, perché il colpevole di cui è alla ricerca e che si cela dietro il suo tentato assassinio è proprio la stessa Betty/Diane e l’intero sogno è costruito attorno a questa negazione di coscienza.
Diane quindi sarà costretta a svegliarsi e incapace di accettare l’avvilente realtà, tormentata da terrificanti allucinazioni e presumibilmente trovata dalla polizia le cui lampeggianti luci blu si riflettono all’interno della casa nell’ultima scena, si toglierà la vita con un colpo di pistola.

“Ehi, bella ragazza… È ora di svegliarsi.”
MulHolland Drive sfugge, come molti lavori di Lynch, ad ogni tipo di categorizzazione e inizialmente non era nemmeno stato pensato come film ma come serie tv sulla scia di Twin Peaks. Ritornano i due principali temi che ricorrono nei film di Lynch: i disturbanti sogni che celano le risposte alle nostre domande, talvolta più piacevoli delle realtà monotone che ci hanno deluso e i personaggi che scoprono il lato oscuro che si cela dietro al quotidiano.
Nonostante Lynch nei suoi film tragga spunto più dalla pittura che da altri registi, tanto che il suo cinema è spesso ricondotto alla corrente del surrealismo; MulHolland Drive condivide degli elementi con la pellicola di Hitchcock, Vertigo. Innanzitutto la suddivisione della storia in due parti nettamente distinte, una dimensione onirica e una reale nel caso di MulHolland Drive, e un prima e un dopo in Vertigo, inoltre i due protagonisti Scottie e Diane condividono una frustrazione amorosa e l’ossessione per la colpa di non aver potuto o non aver scelto di salvare la persona che si ama. Comune alle due pellicole è anche la figura di fantasma, come fantasma del proprio desiderio del quale Scottie è alla ricerca, mentre per MulHolland Drive si parla di un fantasma della colpevolezza dal quale Diane è tormentata.

Un film per cui Lynch non si è mai dilungato in articolate spiegazioni lasciando agli spettatori libertà d’interpretazione, all’infuori degli enigmatici dieci indizi per risolvere il mistero, forniti nelle primissime edizioni home video.
Un labirinto dal quale uscire che alla fine non si rivela poi così intricato ma al termine del quale ci aspetta un finale amaro, difficile da accettare, demoralizzati dalla deprimente realtà di Diane. Come quando ci risvegliamo da un sogno che non avremmo mai voluto finisse.
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