di Filippo Di Bella
“Forse la differenza tra me e gli altri è che io ho sempre preteso di più dal tramonto colori più spettacolari quando il sole arriva all’orizzonte.”
(Joe)

Nymphomaniac è un film del 2013 diretto da Lars Von Trier formato da due ‘volumi’ dalla durata complessiva di 4 ore. La pellicola si colloca come opera finale per la cosiddetta “trilogia della depressione” composta da Antichrist (2009) e Melancholia (2011).
“L’ inferno è la vita e non c’è modo di tornare indietro” – Lars Von Trie

Un film che ha come tema centrale la depressione e come cornice la dipendenza sessuale e la ninfomania.
La protagonista Joe viene trovata ferita e priva di sensi da un anziano signore, Seligman; questi porta a casa la donna per medicarla. Joe definendosi “un pessimo esemplare di essere umano” inizierà così a raccontare la propria vita all’uomo, curioso di sapere cosa l’abbia condotta a ridursi in quello stato.
Tutta l’esistenza di Joe è stata segnata da un incontrollabile ipererotismo che ha distrutto tutti i suoi rapporti sociali, familiari e lavorativi fino a portarla a commettere veri e propri reati.

Il tutto è narrato attraverso una serie di flashback suddivisi in 8 capitoli. Ogni capitolo descrive una particolare sfumatura della psicologia sofferente e malata della donna.
Questi racconti improbabili, se non addirittura irreali, portano l’ascoltatore a dubitare della loro veridicità e Seligman si chiede cosa sia effettivamente vero e cosa no. Seppur questo dettaglio alla fine sia irrilevante, le vicende narrate, in un contesto appunto di finzione cinematografica risultano addirittura più morbosamente seducenti.

La struttura narrativa è didascalica e utilizza degli schemi precisi. Gli stessi che poi verranno ripresi nel film “La casa di Jack”.
C’è infatti un personaggio negativo, marcio, “peccaminoso” affetto da dipendenza che si confessa, e si racconta. E dall’altra parte abbiamo un personaggio puro, dotto, razionale che compie digressioni, fa accostamenti di carattere artistico e culturale.
In una danza di parole e immagini il film quindi si arricchisce di contrapposizioni, il putrido e la lussuria, la letteratura e l’arte in una sinfonia di sottile complessità.

Come esempio esemplificativo di ciò, voglio ricordare il concetto di polifonia, che nel capitolo 5 viene contrapposto alla andromania di Joe: tre particolari amanti della donna vengono infatti paragonati alle 3 voci indipendenti nella polifonia di Bach; voci che insieme, pur avendo toni differenti formano un’armonia. Così come i 3 uomini.
Il film in tal senso è colmo di queste ambiguità che ci fanno interrogare sulla ambivalenza della natura umana, capace sia distruggere ed abbandonarsi in modo efferato alla passione (spirito dionisiaco), sia di creare e contemplare il creato (spirito apollineo).

Dunque in questo particolare stile narrativo il dialogo ha un ruolo fondamentale. Von Trier adatta la forma letteraria e filosofica del “dialogo classico” utilizzata da Platone e da Cicerone, in una forma cinematografica, per poter descrivere concetti complessi come la depressione e la dipendenza (in questo caso sessuale). Questo dona alla pellicola un carattere espressivo didattico e saggistico. Inoltre lo stesso schema narrativo offre un punto di vista tripartito: il primo è quello del personaggio negativo, che viene compatito ma anche condannato. Il secondo è il punto di vista moraleggiante del personaggio dotto che dona la propria riflessione di carattere razionale.
Se pur entrambi questi giudizi possano essere condivisibili è il 3 quello del regista il più importante.

Infatti i primi due sono incompleti, vuoti, mancano di un tassello. E questa componente è il Caos, una forma di imprevedibilità della vita che obbliga ad adattarsi ad essa. Il Caos visto come elemento artistico necessario, che plasma e inghiotte tutta la nostra razionalità e irrazionalità rendendoci inermi di fronte ad esso. I nostri giudizi sono nulla.
Questa, in soldoni, ‘la filosofia della “provocazione” e dello “sdegno” di Lars Von Trier.

Alla fine non importa quanto una cosa sia giusta o sbagliata o quanto sia immorale e riprovevole, tutto ciò che conta è l’uomo. E l’arte. Perciò, la componente sessuale all’interno del film si limita soltanto ad essere provocatrice e “ludica” in un contesto prettamente visivo. In poche parole il sesso vuole essere oggetto di scandalo, il fulcro centrale però della riflessione è la depressione.
Depressione che genera dipendenza, che distrugge tutti rapporti umani, che conduce al baratro; una disseminata strada di errori colma di ossa e di rimpianti.

La protagonista si definisce “un pessimo esemplare di essere umano” anche se Seligman non accetta questa definizione,
poiché è la natura stessa e il mondo circostante che recitano la parte dei carnefici. Lei è una vittima, che però è anche colpevole. Colpevole di essersi lasciata abbattere dalla vita.
Questo é il vero messaggio del film, un inno alla vita; una lotta caotica contro tutti e contro se stessi. Una lotta impari. Una lotta da combattere da soli poiché anche la persona che crediamo piu amica è pronta a tradirci.
E come ci suggerisce il finale del film quando questo accade non dobbiamo esitare a premere il grilletto.

Per questo “l’ albero dell’anima” di Joe è raffigurato come un tronco curvo, spazzato via dal vento. Pronto a rompersi in qualsiasi momento ma che comunque lotta per rimanere in piedi.
Questa pellicola è la conclusione perfetta per la trilogia della depressione. È un film che infatti dona speranza e porta a una via di uscita.
L’arte e il Caos come luce e fonte di salvezza nell’oscurità degli abissi della propria anima.
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