di Laura Pozzi

Entri in sala senza troppa convinzione pensando all’ennesima commedia made in Italy infarcita di buonismo, stereotipi e clichè. Il titolo in fondo, Romantiche, dice poco, anche se ad un’occhiata meno superficiale scorgi un sibillino “finchè non ci sbatti la testa” ed è probabilmente lì che si nasconde qualcosa. Tuttavia non ci badi più di tanto, ti aspetti il solito film ad episodi con protagoniste nevrotiche, frustrate, impegnate in sterili competizioni con l’altro sesso, quando ad un pronunciato scetticismo iniziale subentra un misterioso interesse, l’attenzione si ridesta, la percezione cambia e ti ritrovi a sorridere e poi a ridere come non ti capitava di fare da tempo di fronte a un film italiano. Cominci a empatizzare con l’attrice protagonista che anche sceneggiatrice e regista della pellicola , la trovi incisiva, vulcanica, dirompente, a volte un tantino esagerata, ma la sua vivacità mista ad una vaga somiglianza con Anne Hathaway te la rendono famigliare in modo del tutto inaspettato.

E di colpo scopri Pilar Fogliati, classe 1992, nata ad Alessandria, ma cresciuta a Mentana diplomata all’Accademia d’arte drammatica Silvio d’Amico e ora regista esordiente di un film scritto insieme a Giovanni Veronesi e Giovanni Nasta in cui può finalmente sprigionare il suo incontenibile talento comico plasmandolo su Eugenia, Uvetta, Michela e Tazia quattro eccentriche e strampalate creature, quattro sguardi poco allineati, quattro romantiche inside nate dalla sua mente, ma sopratutto da un’attenta e lucida osservazione della realtà, da ore e ore passate a captare i suoni di una Roma caotica e sfuggente nella sua vasta complessità. Figlie di una contemporaneità mordi e fuggi, calate nella realtà altalenante di contesti sociali distanti e variegati le quattro ragazze pur non conoscendosi sfiorano spesso la crisi di nervi, ma la presenza e l’alta professionalità della dottoressa Valeria Panizzi (una sorniona e divertita Barbora Bobulova) psicologa che di volta in volta le ospita nel suo studio riescono a contenere la turbolenza e irrequietezza delle quattro fanciulle accomunando e mantenendo in perfetto equilibrio i loro disastri amorosi e professionali.

E allora conosciamole meglio. Eugenia Praticò aspirante sceneggiatrice e autrice di Olio su mela, fugge da Palermo per cercare fortuna a Roma. Pedante e logorroica, ma anche teneramente ingenua trascorre le sue giornate tra il Pigneto e la speranza di poter piazzare la sceneggiatura nelle mani giuste. Non aspira al grande successo, il suo interesse è per quella nicchia di intenditori in grado di apprezzare il suo genio incompreso. Sembra trovarlo in Susanna Celeno (Diane Fleri) nota sceneggiatrice che sembra apprezzarla non solo artisticamente. Per Eugenia la delusione è tanta, ma lei non molla e lo grida a più non posso su un finale che si colloca tra i momenti migliori del film. Uvetta Budini di Raso, un’aristocratica fuori dal mondo, che tra un “tipo” e un “super” finisce sempre per innamorarsi di qualche parente. Fino a quando grazie a un forno di proprietà scopre la sua atavica passione per il pane. L’esperienza lavorativa la esalta a tal punto da consigliare il mondo del lavoro a tutti i suoi amici benestanti (battuta da incorniciare). Michela Trezza ragazza umile e di buoni sentimenti vive a Guidonia è in procinto di sposarsi quando nella sua vita piomba una vecchia conoscenza in grado di stravolgerle l’esistenza e di avvolgere noi spettatori tra le rime di un nostalgico Primo ottobre firmato da Francesco Nuti al quale è dedicato un tenero ringraziamento nei titoli di coda. E infine Tazia, la bad girl, la bulla pariolina che detta regole e imperativi su come declassare e tenere in pugno l’altro sesso. Peccato che alla fine dovrà rivedere i suoi dogmi non sempre prevedibili.

Non è un mistero che strutturalmente il film prende le mosse da Un Sacco bello e Bianco Rosso e Verdone, la regista lo ammette senza timore: l’ispiratore di questa incredibile avventura resta il Carlo nazionale, ma Pilar è scaltra nel non lasciarsi travolgere né intimidire dal suo illustre maestro. Nel tratteggiare le sue compagne di viaggio dribbla sapientemente omaggi e facili scorciatoie evitando spericolati confronti con personaggi da lei poco frequentati. Alla domanda sul perché nel film manchi la “coatta”, Pilar risponde candidamente che non ha avuto modo di “studiarla”, lasciando intendere come tutto ciò che viene mostrato sullo schermo sia frutto di un reale pienamente vissuto e toccato con mano. Non sorprende quindi il coinvolgimento di Giovanni Veronesi che seppur distante dal suo universo generazionale non ha esitato a scommettere sul suo talento cristallino. Dopo aver visionato alcuni sketches amatoriali, non ha avuto il minimo dubbio nel concedere alla spumeggiante “debuttante” la sua occasione. Il risultato gli ha dato ragione perché la ragazza oltre ad essere un’incredibile romantica è anche incredibilmente divertente. Nel film si ride parecchio e si ride di gusto, anche se a livello drammaturgico emergono fragilità del tutto comprensibili per un’esordiente.

Uvetta e Tazia danno vita ai momenti più esilaranti mostrando maggior solidità rispetto ad Eugenia e Michela. Tuttavia il talento di Fogliati è fuori discussione e si dirige con convinzione laddove molti presunti comici/registi inciampano nella macchietta. Proprio perché la comicità è una cosa seria, la regista non si limita ad esasperare e sovvertire i clichè delle sue ragazze, ma scende in profondità permeandole di malinconia e disillusione. Ognuna di loro vaga per la città lasciandosi dietro una scia di sottile amarezza. Ma quello che colpisce è anche la generosità con la quale vengono coinvolti e valorizzati tutti gli eccezionali comprimari dei quattro segmenti narrativi. Attraverso la già citata Diane Fleri, Giovanni Toscano, Giovanni Anzaldo, Rodolfo Laganà, Levante (nel ruolo di stessa), Edoardo Purgatori, il film trova la giusta misura e prende la giusta distanza dal trasformismo dilagante della regista, mostrando come la realizzazione di un film sia prima di tutto un lavoro di squadra. E anche in questo Pilar Fogliati vince la scommessa, rivelando oltre al talento, un’intelligenza fuori dal comune.
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