di Laura Pozzi

In un tardo pomeriggio di fine estate, all’interno di una palestra buia e fatiscente vengono convocati d’urgenza i genitori di tre studenti di terza media. I motivi non si conoscono, ma la preside da cui è partita la chiamata ne sollecita la presenza per comunicazioni importanti. Tuttavia la donna è in ritardo e ciò consente ai quattro (non troppo) sconosciuti di “rompere il ghiaccio” e interrogarsi sul motivo dell’improvviso raduno. I quattro apparentemente diversi per estrazione sociale e stile di vita sono Franco (Claudio Santamaria) agente immobiliare cinico, sprezzante e padre di Cristian, Carmen (Raffaella Rea) sua amante e mamma di Giordano e i coniugi Aldo (Sergio Rubini) impiegato al pronto soccorso e Rossella casalinga (Angela Finocchiaro) genitori adottivi di Arsen un ragazzino di origini africane. Tra insofferenza curiosità e una punta di disagio i tre “ammazzano” il tempo lanciandosi in ipotesi fantasiose, ignorando completamente l’orrore che sta per travolgerli.

L’arrivo della preside Diana Peruggia (Giovanna Mezzogiorno) mette fine ad ogni congettura, svelando il motivo del loro incontro: non si tratta di una mera questione economica, ( come partecipare all’acquisto e al restyle della palestra) ma di una sporca faccenda che coinvolge i loro figli in prima persona. I tre ragazzi dopo l’ora di educazione fisica si sono resi protagonisti di un stupro (replicato qualche giorno dopo) ai danni di una compagna di classe. La vittima sconvolta e disorientata confessa tutto alla preside che prima di chiamare la polizia decide di convocare i genitori per informarli sull’accaduto. La palestra si trasforma di colpo in un girone dantesco, un amorale aula di tribunale dove tutti vogliono imporre le proprie ragioni. Nonostante un video attesti l’orrore e la veridicità del fatto, i “grandi” rigettano furiosamente quell’accusa ai loro occhi infamante e oltraggiosa e tentano in tutti i modi di corrompere la preside affinchè tenga la bocca chiusa, ma la sua tenacia e determinazione porteranno all’ennesima tragedia.

Per il suo secondo film Stefano Cipani (già apprezzato regista del commovente e poetico Mio fratello rincorre i dinosauri) trova ispirazione ne La palestra, piéce teatrale scritta da Giorgio Scianna e portata in tour nel 2011 con la regia di Veronica Cruciani. Dopo un’attenta lettura, il regista ne coglie da subito le enormi potenzialità cinematografiche e decide di trarne un film o meglio un Kammerspiel plasmandolo su un’idea di cinema classico molto vicino alle sue corde, ma distante dalle produzioni nostrane. La sua mente vola a classici come La parola ai giurati di Sidney Lumet o JFK di Oliver Stone, ma anche ai cartoni animati di Ralph Bakshi, al punk e al cinema di Bunuel. Un mix esplosivo che decide di affidare alle turbolenti penne dei fratelli D’Innocenzo. Un rischio calcolato perchè come è facile intuire ne viene fuori l’ennesima “favolaccia”, sordida e moralmente ripugnante caratterizzata dal degrado esistenziale di genitori/branco pronti a tutto pur di salvaguardare il focolare domestico. E poco importa se c’è di mezzo una ragazza violata ed emotivamente compromessa: i ragazzi vanno difesi, sono ancora bambini e la vittima non brilla certo per integrità. “Non ha gridato” puntualizzano in coro, lasciando intuire un tacito assenso in grado di alleggerire la posizione dei “pargoli”. Cipani torna nuovamente a confrontarsi con adolescenti in via di formazione, ma a differenza del film precedente stavolta gli nega la scena, confinandoli a bordo campo, obbligandoli a palleggiare fuori dallo schermo per riflettere la loro storia nei gesti, negli sguardi e nelle reazioni di una manipolazione parentale volta a garantire una mostruosa sopravvivenza.

Una scelta drammaturgica che blinda l’azione all’interno di un luogo divenuto (come nel miglior horror che si rispetti) metafora del male. I luoghi per Cipani sono elementi imprescindibili della storia, in particolare i parcheggi veri e propri confessionali dove prendere decisioni importanti. Il suo film d’esordio si apriva su parcheggio di un supermercato dove un’allegra famigliola si riuniva per comunicare un lieto evento, qui il parcheggio della scuola diviene l’unico esterno giorno di una decadenza morale che non riguarda unicamente la palestra (ricostruita a Cinecittà), ma il genere umano. A cadere a pezzi infatti sono proprio loro uomini, donne e bambini accomunati dalla stessa indescrivibile ferocia. Per questo la non accettazione, il continuo ribattere e deformare la verità, indignano, ma non sorprendono, la favolaccia è all’ordine del giorno facilmente rintracciabile nelle notizie di cronaca. Una realtà che neppure il cinema sembra voler trasfigurare, tutto quello che viene mostrato è realmente senza speranza e forse proprio per quest’assenza di empatia la pellicola ha raccolto giudizi poco lusinghieri. Tuttavia è innegabile che il film coinvolga e incuriosisca al punto tale da chiedersi se la decisione finale presa dai quattro sarà realmente rispettata oppure i colpevoli (in questo caso genitori e figli) verranno assicurati alla giustizia. L’ingombrante presenza di Damiano e Fabio D’Innocenzo si fa inevitabilmente sentire, ma non riesce fino in fondo a prendersi la scena grazie allo sguardo e abilità di un regista capace di tenersi e padroneggiare il suo film, creando un punto di rottura o meglio una crepa profonda fra le righe di quella sceneggiatura così sfrontatamente disumana. “C’è una crepa in ogni cosa, ed è da lì che entra la luce” diceva Leonard Cohen e forse non è un caso che Cipiani in una della scene più brutali del film (la scoperta del video) lasci la parola al cantautore canadese e alla sua splendida Dance Me to the End of Love.
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