Bagdad Cafè, di Percy Adlon (Out of Rosenheim / GER 1987)

di Andrea Lilli –

Tatooine_i due soli

Nel deserto del Mojave, in un silenzio assordante come quello della vicina Death Valley di Zabriskie Point, mentre avanziamo in un futuro incerto ma libero lungo l’infinita e ipnotica striscia d’asfalto della Route 66, tra la polvere sollevata dal vento e dalle martellate del sole, anzi di due soli, come se fossimo sul pianeta Tatooine di Star Wars piuttosto che davanti a un parelio, sembra un miraggio, la fatiscente stazione di servizio che appare improvvisa.loca

E invece è Bagdad, California. È tutta qui: una pompa di benzina, col suo bar e motel scalcagnati. Come oasi fa pena: non ha licenza per vendere alcolici e la macchina del caffè è in riparazione. Non il posto migliore in cui rifugiarsi, dopo aver mandato al diavolo un marito e soprattutto l’automobile. Ma è proprio questo che qualche chilometro prima ha fatto Frau Jasmin Münchgstettner (Marianne Sägebrecht), turista sudatissima e lontanissima dalla sua Germania, dalla sua Baviera, dalla sua Rosenheim.
È lei la figura improbabile vestita nel Tracht tradizionale – cappellino piumato compreso – che avanza trascinando la valigia verso gli occhi sbigottiti di Brenda, padrona della pompa di benzina e regina di Bagdad.

Irascibile di carattere, Brenda (CCH Pounder) era già preda di pensieri turbolenti prima della comparsa della marziana: anche per lei, fatalità, un marito appena dileguato. “Vuole una stanza? Proprio qui? È sicura? Le chiamo un taxi?” No. La misteriosa Frau Cognomeimpossibile ha deciso così.

le due_incontro

Quando il gioco si fa duro in America le dure cominciano a giocare, e Jasmin non nasconde una certa determinazione teutonica sotto l’apparenza di europea timida e inadeguata. Inoltre la sua corporatura è ragguardevole. La piccola e magra Brenda s’arrende, diffidente, intuendo che sarà la prima di una lunga serie di battaglie perse. Ma alla fine la guerra sarà vinta da entrambe, in questo scontro/incontro di civiltà. Non a caso è scritto, sceneggiato e prodotto anche da una donna, Eleonore Adlon, e il fatto che sia pure moglie del regista è trascurabile: non fa sconti ai maschi che non li meritano.

i dueRaggiunta l’isola della salvezza, la naufragata Jasmin inizia ad imparare i costumi locali, da una parte, e a trasformarla dall’altra. Tanto per cominciare, senza nemmeno volerlo conquista il cuore tenero dell’artista Rudi Cox (un Jack Palance sorprendente), vecchio hippy galantuomo che vive solitario in roulotte.

Poi, fraternizza con tutti gli altri componenti di quella bizzarra famiglia: il barista filosofo, e i due figli di Brenda: Salomo e Phyllis. Lui, ragazzo padre e pianista, incessante esecutore di preludi e fughe, con Johann Sebastian Bach copre le urla del figlio infante e riempie i silenzi del bar. Lei, pure musicodipendente, non riesce a togliersi le cuffie dalle orecchie né a negarsi a qualunque amico e ammiratore. L’unica con cui la crucca non riesce a legare è l’introversa Debbie, che a un’attività di tatuatrice affianca quella di benefattrice di camionisti.

Tuttavia anche Debbie – in questo film giocoso e giocato sul tema del Cambiamento, che è poi anche un omaggio a tre grandi espressioni artistiche: musica, pittura e illusionismo – dimostra una sua necessità spirituale, quando fra un tatuaggio e un trucker la vediamo leggere ‘Morte a Venezia’ di Thomas Mann.

Mentre Jasmin trova e fa trovare nuovi equilibri, reinventandosi come cameriera, prestigiatrice e babysitter, sul palcoscenico vediamo altri personaggi muoversi: lo sceriffo dal look eccentrico ma saggio e irreprensibile nell’esercizio delle sue funzioni, il ragazzo esperto di boomerang (una delle tante magie di cui si nutre la storia), i vari camionisti, il debole ma tenace marito di Brenda che come un gufo osserva il tutto da lontano, in attesa del ritorno all’ovile.

auto Sal

Interrotta dal necessario rinnovo del visto turistico, l’armonia del gruppo si rinnova e Jasmin consolida definitivamente i rapporti. Seguendo i passi biografici del regista Percy Adlon anche lei lascia la Baviera e si stabilisce in California, preferendo la libertà semplice e multietnica della West Coast alle rassicuranti tradizioni bavaresi. L’intero film è in effetti anche il diario autoironico di un tedesco nato e cresciuto a Monaco, ma poi innamoratosi della California. In questa luce, esemplare la sequenza spassosa all’inizio del film, in cui il gretto coniuge di Jasmin, arrivando prima di lei alla stazione di servizio, non riesce ad accorgersi di nulla di ciò che gli sta vicino, nemmeno di quel thermos per il caffè che rappresenta un oggetto simbolico, perché innovativo e decisivo per il resto dei protagonisti della storia. Il tedesco invece sembra impermeabile al cambiamento, vittima della bolla percettiva autoisolante in cui si è chiuso.

Va anche notato l’uso sapiente delle musiche: dalle note fuori luogo della Blasmusik da Oktoberfest alla splendida Calling You, che si meritò una nomination per gli Oscar, passando per il paradosso degli esercizi su Bach contestati dal bimbo e da Brenda, con l’esecuzione ispirata del Preludio n. 1 in Do maggiore. Curiosità: lo stesso attore (Darron Flagg) ne è l’effettivo esecutore. Il tutto incorniciato da inquadrature spesso diagonali, sghembe che seguono le tensioni della scena, e colorato da una fotografia impostata su sfumature magiche e dense di quel blu, di quel golden brown al tramonto che solo negli altopiani desertici si può trovare.

nuvola tramonto

Ottant’anni prima che Paul Rudolf Parsifal “Percy” Adlon girasse Bagdad Cafe, suo bisnonno Lorenz apriva a Berlino quello che divenne il più prestigioso albergo tedesco, l’Hotel Adlon. Ogni camera era dotata di acqua corrente ed energia elettrica: un superlusso nel 1907. Mai avrebbe immaginato, l’ambizioso antenato, il clamoroso successo che un suo discendente, con minore sforzo e maggior divertimento, avrebbe avuto grazie a un decadente motel bar sperduto nel deserto del Mojave, lungo la Route 66.


insegna

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