Vice – L ‘uomo nell’ombra, di Adam McKay (2018) con Christian Bale, Amy Adams, Steve Carrel e Sam Rockwell.
Adam McKay, dopo la “Grande scommessa”, continua imperterrito ad incalzare il popolo americano. Lo spinge forte contro lo specchio e lo constringe a riflettere su quanto sia manipolato e manipolabile il concetto di libertà, secondo il quale tra NY e LA sembra che alberghi la più grande democrazia del pianeta.
Proprio di fronte a quello specchio, al ritmo lento dei passi di un corpulento Dick Cheney, ogni americano avrà potuto riflettere sulla vacuità e l’ambiguità del sostenere di essere liberi più che sentirsi tali.
Prima di ogni altra cosa “Vice” è un film sul potere, quello vero, quello assoluto, totale, quello che nell’occidente non esiste più da tempo e si limita ormai a presidiare qualche poltrona qui e lì o a distribuirne.
In questa pellicola il potere si manifesta in tutta la sua enormità, approfittando del periodo di maggiore “ingenuità” della storia americana.
Adam Mc Kay, partendo dagli anni ‘70 e passando attraverso Nixon e Kissinger, arriva fino agli anni della subdola “reggenza” di Dick Cheney, proprio all’inizio del nuovo secolo.
Gli anni della presidenza di George W. Bush, eletto per una manciata di voti su Al Gore in Florida.
Proprio in quel periodo si consuma il piano diabolico di Dick Cheney che reinventa il ruolo di “Vice”, trasformandolo da comprimaria presenza da palco a sovrano assoluto, interpretando a suo modo la costituzione e avvalendosi di alchimie governative come quella celebre dell’ “esecutivo unitario”.
Nel film traspare netta la calma degli eventi, il muoversi sornione dei protagonisti, come a sottolineare che il potere non ha né fretta e né paura, nemmeno quando devi affrontare un 11 settembre che non sarà uguale a nessun altro 11 settembre della storia.
Impressionante l’interpretazione di Christian Bale, uno dei pochi portabandiera del metodo Stanislavskji nel cinema contemporaneo, che, in un corpo non suo, detta i tempi lenti dell’intero film, stringendo le sue manone come tenesse stretta in pugno l’America.
In tutta la vita di Dick aleggia la figura dell’ambiziosissima moglie, interpretata da Amy Adams, donna forte e spietata, che di fatto guiderà tutte le scelte del coniuge. Una coppia di ferro che vacillerà solo per l’omosessualità della secondogenita Mary, figlia amatissima e la cui vicenda rischierà di influenzare negativamente il mondo liberal sostenitore del potente genitore.
Il resto del cast è di grande livello, a partire da uno straordinario Steve Carrel, candidato agli Oscar per l’interpretazione di Donald Rumsfeld, altro grande personaggio degli anni bui del partito repubblicano americano, attraversando la guerra in Vietnam, il Watergate, le torri gemelle.
Poi il premio Oscar Sam Rockwell che dà vita ad un macchiettistico George W. Bush, un’interpretazione che illumina lo spettatore su quanto siano più pericolosi dei passaggi della storia dell’umanità se gestiti da protagonisti improbabili.
Quello di McKay, infatti, è anche un film satirico. Attraverso i personaggi del film si muove il mondo famelico della parte oltranzista dell’anima repubblicana del paese, quella del machismo, dei guerrafondai, del sangue ad ogni costo.
I Rumsfeld e i George W. Bush del film potrebbero tranquillamente essere personaggi del mondo guzzantiano, e proprio in quella chiave McKay chiede ai suoi attori di interpretarli.
Chi varcherà la soglia dei cinema per accomodarsi di fronte a “Vice”, lo faccia conscio della spietatezza, lenta e pacata, con la quale, in modo definitivo, gli verrà descritto come tutto cominciò e come tutto si svolse negli anni che fecero vacillare il mondo.
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