di Andrea Lilli
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Gin a body meet a body
Coming thro’ the rye,
Gin a body kiss a body
Need a body cry?
Se qualcuno incontra qualcuno
che viene attraverso la segale,
se qualcuno bacia qualcuno
qualcuno deve piangere?
(da Coming thro’ the rye, di Robert Burns.
Cfr. Il giovane Holden, di J.D. Salinger. Trad. giapponese: Murakami Haruki)
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Un classico triangolo lui-lei-l’altro s’accende, brucia e si spegne fra i negozi, le case e il traffico di una grossa città di provincia e la nebbiosa, umida campagna.
Jong-su è l’ingenuo, Hae-mi l’inquieta, Ben l’imperscrutabile.
Jong-su il povero sfortunato, Hae-mi l’impulsiva vulnerabile, Ben il ricco fortunato.
I primi due si ritrovano per caso dopo anni. Da bimbi erano vicini di casa in campagna, ora in città s’arrangiano come possono e sognano: lui di diventare scrittore, lei un mimo. Lui è incantato, lei prende l’iniziativa, si piacciono, fanno l’amore. Lei però parte per l’Africa, vuole capire meglio la fame e le sue variazioni: la fame di cibo e quella di conoscenza, e gli affida il gatto.
Lui come un baccalà, resta con le chiavi di casa della ragazza, i sogni in mano, e ogni giorno una scodella da riempire e una lettiera da pulire, per un gatto che si chiama Boiler e che non si vede mai.
Lei poi torna: con affascinanti racconti sui Boscimani, e col nuovo amico, che lei presenta a lui. Ben è tranquillo, gentile, disponibile, sorridente, affabile, elegante, mondano, ricco ma non tracotante nel lussuoso appartamento e nella Porsche ultimo modello.
Ben, agli occhi di Hae-mi, non può che apparire come un tipo perfetto. Il contrario di Jong-su, che è ansioso, insicuro, passivo, povero, ingenuo, solitario, introverso, inaffidabile nel suo furgone arrugginito. Hae-mi ondeggia e sbanda fra i due, finché scompare misteriosamente. La svolta della storia avviene durante una serata di confidenze reciproche nella casa di Jong-su, nella terra di confine tra Sud e Nord Corea. Fumano una canna, bevono vino, scrutano il cielo, e tanto basta per scatenare la danza liberatoria di Hae-mi , che con gestualità forse boscimane disegna il tramonto, mani alzate, braccia esili che cercano la libertà dal pozzo buio di una ragazza intrappolata tra due mondi maschili.
Poi crolla nel sonno, e allora Ben e Jong-su si scambiano confidenze. Jong-su confessa apertamente di essere innamorato di Hae-mi. Ben ricambia raccontando il suo hobby illecito, il rimedio da annoiato in cerca di adrenalina: bruciare serre abbandonate. Ma quando lei si risveglia, e riparte con Ben in Porsche, Jong-su rabbioso la insulta pesantemente. Poco tempo dopo Hae-mi scompare, senza lasciare traccia. Pieno di rimorso per il suo ottuso comportamento, Jong-su si mette alla disperata ricerca di Hae-mi.
Per capire che fine ha fatto, o per confermare i suoi sospetti segue di nascosto Ben. Il quale se ne accorge, ma non per questo diminuisce l’imperturbabile sorriso enigmatico. Poi, mentre la colonna sonora, suggestiva, incalza…
Poi non saremo così malvagi da raccontare la fine, ma antipatici sì: ecco dunque un consiglio, di quelli odiosi, non richiesti… Questo film andrebbe visto senza sapere chi sia Murakami Haruki, la cui sola firma illumina d’immensa luce riflessa ogni genere di supporto: sceneggiature, citazioni, spartiti, ricette, disegni, convegni di letteratura metafisica, film sudcoreani.
Solo chi non rischi di vederlo come un film di Murakami, può giudicarlo senza pregiudizi – anche nei suoi punti deboli, le smagliature, la larghezza e lunghezza delle sequenze, la discutibile recitazione di Yoo Ah-in (Jong-su).
Solo chi non sa che Burning si basa sul racconto Granai incendiati, a sua volta ispirato dall’omonimo racconto di William Faulkner, peraltro citato come il proprio idolo letterario da Jong-su (alias Murakami giovane traduttore di romanzieri americani, e aspirante scrittore); solo chi non abbia letto Norwegian wood e le altre storie piene di gatti e pozzi e incendi, che nella memoria dello spettatore vanno a sovrapporsi facilmente sul gatto pozzo incendio di questo film,può avere occhi puri e imparziali, rialzarsi dalla poltrona affascinato o deluso dal film in sé; solo chi non sa che il produttore principale di questo film è NHK, la maggiore emittente radiotv giapponese, che guarda caso detiene il copyright sulle uova d’oro di quella prolifica gallina che è Murakami.
Insomma, solo chi ignora il mondo del più popolare scrittore giapponese potrebbe parlare di questo film di Lee, l’acclamato regista di Poetry, per quel che è. Io no.
Premi e riconoscimenti:
2018 – Festival di Cannes – In Concorso
2018 – Festival di Cannes – Vulcan Award per la miglior scenografia a Shin Jum-hee
2018 – Festival di Cannes – FIPRESCI Award per il miglior film
2018 – National Board of Review per il miglior film straniero dell’anno
2018 – LA Film Critics Circle – miglior film, miglior attore non protagonista, miglior film straniero
2018 – Grand Bell Award per il miglior film
2018 – APSA Awards – Gran premio della giuria a Lee Chang-dong
2019 – Asian Film Award per il miglior regista
2019 – National Society of Film Critics Award per il miglior attore non protagonista (Steven Yeun)
2019 – Academy Award, tra i 9 finalisti per le nomination nella categoria Miglior film straniero
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