‘Il grande cielo’ (Usa/1952), di Howard Hawks

di Girolamo Di Noto

Se recitare un film significa comunicare il flusso delle emozioni attraverso sguardi magnetici, intensità gestuali e parole efficaci che mirano al cuore, Kirk Douglas può essere considerato certamente uno dei divi di Hollywood che saputo celebrare, in un susseguirsi di film affascinanti, la bellezza del cinema, la maestosità di un’ arte che non smetterà mai di stupirci. Tre nomination all’Oscar, che poi vincerà solo nel 1996 per la carriera, Douglas ha interpretato quasi 90 film legando la sua fama a titoli ormai divenuti classici della storia del cinema. La sua versatilità, il suo essere ‘eroe multiforme’ come Ulisse che ha interpretato, hanno fatto sì che fosse ora un pugile che non sa accettare la sconfitta (Il grande campione), ora un giornalista senza scrupoli alla ricerca di scoop( L’asso nella manica), lo schiavo Spartacus di Kubrick, Van Gogh in Brama di vivere, l’implacabile Doc in Sfida all’ O.K. Corral, l’ufficiale che attraversa le trincee di Orizzonti di gloria ed altri mille ruoli. Sguardo duro e beffardo, ma anche romantico e capace di far innamorare tante donne nei suoi film,

Douglas ebbe l’opportunità non solo di ricoprire ruoli diversi in film di genere diversi, ma anche all’interno di uno stesso film ha saputo dar mostra, a seconda delle scene, di essere dolce e vendicativo, spietato, cinico, ma anche capace di sentimenti più delicati. Ne Il grande cielo di Hawks è certamente aiutato ad esprimere le sue doti dallo stile del regista americano, il cui tocco inconfondibile è sempre stato quello di riuscire a fondere non solo gli archetipi del genere con l’introspezione psicologica dei personaggi, ma anche di unire temi seri, in questo caso l’amicizia virile, il gusto della vita, il viaggio con elementi di commedia, con un senso di umorismo che attenua i toni drammatici degli eventi. Il grande cielo ( unico western di Hawks senza John Wayne) è una splendida storia d’avventura che ricorda molto i racconti di Mark Twain.

Kentucky, 1832. I cacciatori Jim Deakins( Douglas ) e Boone Caudill( Dewey Martin ) si imbarcano con il vecchio Zeb Calloway sul Mandan del capitano francese Jourdonnais per risalire il Missouri fino al Montana per raggiungere la terra dei Piedi Neri alla ricerca di pellicce, senza sottostare ai voleri delle compagnie. Con loro viaggia la principessa indiana Occhio d’Anatra( la bellissima modella nativa Elizabeth Threatt, qui al suo unico film) che farà breccia nel cuore di entrambi i cacciatori. Il viaggio riserverà molti ostacoli, ma ciò che a Hawks interessa è raccontare il contatto intimo dell’uomo con l’ignoto, rappresentato da una natura incontaminata, da un paesaggio definito dall’ assenza: assenza di alberi, case, in cui si è esposti a tutto, dove non ci sono posti dove nascondersi, ma nello stesso tempo è questa assenza a sua volta a costituire anche il suo fascino magnetico. Douglas si muove in questi spazi con disinvoltura, con l’espressione di chi la sa lunga, con il desiderio di dominare l’ambiente circostante, ma anche con la consapevolezza che ciò non è possibile.

Douglas è stato uno degli attori che più ha contribuito, assieme a Gary Cooper, Burt Lancaster, James Stewart alla maturazione del western, facendolo uscire dagli stereotipi del genere. Sul suo volto segnato dall’inconfondibile fossetta sono passati amicizia, odio,amore. Sin da quando entra in scena, sbucando dalla foresta, con il suo cappello triangolare, esprime un carattere forte e tenace, perennemente in fuga, alla ricerca di se stesso. È un uomo della frontiera, turbolento, che si allontana dall’ Est per sperimentare l’avventura in un ambiente ostile e selvaggio, che alcuni momenti prima canta, leggermente ubriaco ” Whisky leave me alone” e subito dopo si fa coinvolgere in una rissa che termina quando gli picchiano in testa un vassoio di metallo. Lo stile eterogeneo del film, che – come ha precisato Mereghetti- è ” come l’andamento del fiume che i protagonisti percorrono”, si richiama soprattutto ad una delle scene più famose del film, quella dell’amputazione del dito di Douglas. Già ai tempi della realizzazione de Il fiume rosso, Hawks voleva inserire una scena in cui John Wayne si sfracellava un dito, impigliato in una cinghia della sella e i cow boy dovevano farlo ubriacare e amputarglielo. Wayne ne fu costernato, chiese a Hawks che scena fosse quella e quando il regista gli rispose che doveva essere comica obiettò che non gli sembrava comica per niente. “Bene”, rispose il regista, ” la farò quando avrò trovato un attore migliore di te”. Ne Il grande cielo, con Douglas, Hawks trovò l’attore in questione. E la scena fu memorabile, con Douglas che passa dall’ubriachezza totale ad un’angoscia infantile e fruga nella polvere balbettando:” Il mio dito…Dov’è il mio dito?”. Wayne quando poi vide la scena telefonò al regista dicendo:” Qualunque cosa vorrai fare la prossima volta lo farò “.

In questo film Douglas ha dato una delle sue interpretazioni migliori, anche perché ha saputo esprimere un’assoluta determinazione nel perseguire la propria meta, nonostante sia consapevole del mondo che sta cambiando: il denaro dei bianchi, l’avidità delle Compagnie delle pellicce, lo stanziamento avranno maggiore forza sulla libertà degli indiani e la vita nomade e avventurosa di Jim.

Come personaggio di western, Douglas, più di ogni altro attore, ha saputo meglio raccontare la parabola discendente dell’eroe del West. La scena in cui Jim si chiede, alla vista di Saint Louis, “come faccia la gente a vivere ammassata come mosche”, dimostrando la propria estraneità al fascino della città, ricorda il bellissimo e crepuscolare western Solo sotto le stelle di David Miller, in cui l’inattuale cow boy John, interpretato da Douglas, in lotta contro il filo spinato e gli elicotteri cerca e sogna ancora disperatamente l’Ovest e l’avventura, là dove ormai c’è solo asfalto e segnaletica che predetermina il cammino.

Kirk Douglas è stata una leggenda del cinema, un combattente che è riuscito, nonostante invidie, incomprensioni e ingratitudine, proprie di un mondo non del tutto stellato come è Hollywood, a perseguire la propria meta ed è per questo che sarà ricordato per sempre, istrione dallo sguardo duro e sornione, che continuerà ad ispirare quelli che verranno dopo di lui.

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