di Andrea Lilli
Ciechi e poeti vedono al buio più degli altri, disse un poeta divenuto cieco, Jorge Luis Borges. Ma come sognano, cosa sognano quelli che sono nati ciechi? Indagini scientifiche, tra cui quelle pubblicate dal 2003 da H. Bértolo, ricercatore dell’Università di Lisbona, sostengono che i ciechi sognano come i vedenti: la produzione di immagini e colori è simile. Sicché le visioni oniriche non dipenderebbero esclusivamente dalla funzionalità della vista, ma possono essere create da altre percezioni, memorie, connessioni neuronali. Per restare in campo cinematografico, già Silvio Soldini ci aveva suggerito come i non vedenti possano conoscere Il colore nascosto delle cose (2017). Partendo da questo assunto, Emiliano Aiello ha avuto l’idea di comporre in chiave poetica un docu-film con i sogni raccontati da cinque non vedenti, ciechi dalla nascita, associati idealmente a cinque figure omeriche dell’Odissea. Gabriele Battaglia, che col cellulare filma i luoghi in cui viaggia, alla scoperta del mondo e di sé come Odisseo; Daniela Floriduz, professoressa liceale che ama il cinema, saggia come Penelope, e ascoltando i film ‘vede’ in sala come nel sonno; Domenico Ietto, Poseidone subacqueo che ha realizzato il sogno di accarezzare i fondali marini; Rosa Squeo, scrittrice e scultrice di sogni amorosi, dolce come Nausicaa; Fabio De Dominicis, informatico e fisarmonicista, chiaroveggente Tiresia.
I racconti dei sogni e le riflessioni in prima persona si intrecciano a suoni e inquadrature suggestive in un percorso narrativo anch’esso onirico, immaginifico. Come in una cena al buio, la voce fuori campo di Gabriele-Odisseo prende per mano noi vedenti e ci accompagna in un viaggio nella dimensione sensoriale di chi non ha mai potuto scorgere figure e colori, ma che ugualmente ne può comporre dormendo. Il sognare diventa così un’esperienza comune, un luogo inconsistente ma reale condiviso tra noi e loro, tanto necessario quanto il dormire, il mangiare. Se non sognassimo non potremmo uscire dalle nostre gabbie mentali. Non cresceremmo, nell’impossibilità di immaginare cose mai viste, suoni inauditi, mondi inesistenti, situazioni (ancora) impossibili.
Che vita sarebbe senza sogni, senza la speranza di realizzarli? È Fabio a dirlo bene: “Non raccontare i tuoi sogni a chi non ti ama: farà di tutto per impedire che si avverino. Del resto, quelli che non ti amano non s’interessano nemmeno a ciò che sogni”. Chi non sogna rischia poco, o ha paura del mondo, esterno o interno che sia: una realtà che non vuole vedere nemmeno per sogno. Qui non ha paura Gabriele, che si è liberato del senso di inferiorità imposto alle persone disabili da chi le identifica con la loro patologia. Non ha paura di sognare Rosa, che scolpisce con la creta il corpo e gli occhi di un amore tanto desiderato. Non ha timore Daniela di sognare in sala, né Domenico mentre si fa avvolgere dal mare.
L’acqua, fin dalle prime sequenze è l’elemento che ricorre in queste cinque vite e nei loro sogni, così come domina i canti di Omero, il più rappresentativo dei poeti e visionari ciechi, esso stesso una figura leggendaria, favolosa, patrimonio della fantasia umana. Forse è solo il regista, Emiliano Aiello, ad essere stato troppo prudente. Dopo aver invocato il patrocinio dei mitici protagonisti dell’Odissea, li ha affiancati agli umani per troppo poco tempo e con qualche forzatura. Poteva osare di più in questa breve opera prima, peraltro a basso costo, finanziata grazie a una campagna di crowdfunding e supportata dal Centro Produzioni Audiovisivi dell’Università Roma Tre, realizzata dalla piccola società di produzione Tfilm.
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