di Paola Salvati
Si accende la radio, si gira la manopola per sintonizzarsi sul programma più seguito del momento. ‘On air’ parte ‘Rock around the Clock’ ed è subito California, anno 1962.
Sta per tramontare il sole sul parcheggio di Mel, il drive-in ritrovo dei giovani, dove tra l’andirivieni delle cameriere sui pattini stanno per incontrarsi, come di consueto, quattro amici.
Hanno terminato gli studi e due di loro, Curt e Steve, partiranno l’indomani per il college… O almeno così dovrebbe essere.
Questa è la loro ultima sera in città.
L’atmosfera è ancora quella del decennio precedente, con un’America tranquilla e inconsapevole di ciò che sta per accadere. Gli anni Sessanta, per come sono passati alla storia, devono ancora esplodere.
Con vena nostalgica si guarda a come si viveva prima delle rivoluzioni culturali e dei gravi avvenimenti che cambieranno profondamente e per sempre le coscienze.
È questo un momento sospeso delle vite dei protagonisti, alla ricerca delle loro strade sul finire di un percorso scolastico. La netta sensazione che un minuto dopo si scavalcherà il muro, senza possibilità di ritorno. Quel momento in cui, sopraffatti dall’insicurezza, ci si aggrappa all’adolescenza che si sta per abbandonare, prima di iniziare la vita da adulti.
Sta per tramontare il sole sulla loro adolescenza e sull’adolescenza di un’intera nazione.
La radio è il filo conduttore che pervade tutta la pellicola, attraverso il programma del dj Lupo Solitario, la cui voce urlante, stridula e burlona riecheggia in ogni angolo di una cittadina di provincia, collegando tra loro ogni auto, ogni locale, ogni ragazzo, sulle note di una strepitosa colonna sonora.
Notte di musica, dunque, tanta musica, soprattutto musica: una carrellata ininterrotta di brani famosi delle top-hit di quegli anni, dai Beach Boys ai Platters, da Chuck Berry a Fats Domino, che hanno reso indimenticabile questo capolavoro.
Notte vissuta lungo le strade di Modesto, dove tutti conoscono tutti. Gli abbordaggi, i saluti, gli scherzi e le chiacchiere si fanno parlandosi da un finestrino all’altro di Cadillac, Chevrolet, Thunderbird, in modo totalmente spensierato.
In questo clima si intrecceranno le avventure dei nostri ‘bravi ragazzi’, tanto diversi quanto tipici.
Steve (Ron Howard) è il fidanzato modello, deciso però a partire per allontanarsi dalla piccola città e dalla sua ragazza Laurie, che gli impediscono, a suo dire, di spiegare le ali (Howard sarà Richie Cunningham nella fortunata serie ‘Happy days’, figlia di questo film cult).
Terry detto ‘Toad il rospo’ (Charles Martin Smith) è l’imbranato, cosa evidente fin dall’inizio con il modo goffo di parcheggiare la sua Vespa. Riuscirà a rimorchiare Debbie, bambolina bionda, a cui racconterà un mucchio di bugie per rendersi interessante.
C’è il bello e corteggiato John Miller (Paul Le Mat), gelatina sui capelli e un’auto gialla da lui truccata per le gare, sempre pronto per le sfide e a caccia di ragazze. Si ritroverà sul sedile affianco una minorenne rompiscatole, che manderà in fumo la sua serata.
E in ultimo l’indeciso Curt (un Richard Dreyfuss in piena ascesa), non più tanto convinto di voler frequentare il college. Inseguirà tutta la notte una bionda sexy, cercando di conoscerla, passando attraverso le ‘prove’ richieste dai Pharaons, banda di teppistelli. Terminerà la sua corsa ritrovandosi alle cinque del mattino nella stazione della radio pirata del mitico dj, il quale, dopo aver scambiato due parole col giovane fingendo di essere qualcun altro, quasi come un padre lo incoraggerà così – Se Lupo fosse qui ti direbbe ‘alza le chiappe e vai con Dio!’ – parole di cui aveva bisogno per dare una svolta alla sua vita.
Non poteva mancare, in questo contesto, il ballo scolastico, tradizione americana irrinunciabile, con il classico lento del miglior alunno, Steve, e della capo cheerleaders, Laurie, sulle note di ‘Smoke gets in your eyes’.
E la gara di auto all’alba tra Miller e lo sfidante sbruffone Bob Falfa (un giovanissimo Harrison Ford), che radunerà in Paradise road tutti gli amici. Citazione di Gioventù bruciata, epilogo evocativo per la fine di un’epoca.
5 candidature agli Oscar e due Golden Globe vinti come miglior film musicale e per il miglior attore esordiente (Paul La Mat). Con George Lucas a dirigere un cast di giovani promesse, alla sua seconda prova di regia (unica in questo genere) prima di avviarsi verso la fortunata saga di Star Wars. Con un certo Francis Ford Coppola come produttore e i 40 grandi successi della sua superba colonna sonora.
Tutto questo è American Graffiti, un film insuperato dopo quasi un cinquantennio, che conserva intatta la memoria di quegli anni lontani come delle incisioni indelebili, del graffiti appunto: memoria di un’America serena e leggera che fu.
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