Animal House, di John Landis (1978)

Di A.C.

Anni ’60. La rivalità tra due confraternite di un college americano sfocia in rappresaglie sempre più grottesche.
Da una parte la “Omega”, composta da studenti snob e di alta estrazione sociale, dall’altra la “Delta”, composta da soggetti sgangherati, le cui tendenze festaiole non hanno alcun freno inibitore, e per questo sono malvisti dal rettore che cerca in ogni modo di liberarsene.
Titolo cult della commedia americana che di fatto consacrò John Landis e rivelò il talento comico del prematuramente scomparso John Belushi.

Difficile dire quanta produzione di commedia americana dell’ultimo trentennio (almeno) sia discendente di questo film, autentico capofila del genere “college-comedy”, ma per questo generatore involontario di una lunga serie di epigoni di bassissima fattura lontani anni luce dal loro apripista.
Ancora oggi “Animal House”, infatti, risulta un prodotto esilarante all’insegna dell’anarchia, in cui Landis da libero sfogo a una comicità “lercia”, distruttiva, senza mezzi termini, e che non nasconde certo una irridente satira verso la società americana dell’epoca.

Un mare di scatenatissime gag, sovversive di ogni norma di politically correct, la cui dissacrazione travolge indistintamente tutti: tra le intestine lotte di classe del corpo studentesco, un rettore dispotico, un docente disamorato e trasgressivo (un memorabile Donald Sutherland), tutti elementi rappresentativi di un microcosmo sociale che fa ironicamente il verso all’America degli anni ’60.
Diverse le scene impresse nella memoria come lo scherzo del cavallo o il folle toga-party. Tuttavia, in perfetta aderenza alle regole del climax, il meglio dell’opera, e il peggio dei suoi personaggi, viene lasciato per ultimo in quella sequenza finale della parata: uno spettacolo di puro delirio anarchico con tanto di amara ironia sulle sorti didascaliche dei protagonisti.

Un film ripartito in un’ottima coralità generale degli interpreti, su cui però non può fare a meno di svettare l’animalesco John Belushi, lasciato totalmente senza guinzaglio ma proprio per questo l’elemento più spassoso e devastante di tutto lo scenario (non mancò, infatti, Landis di rendergliene personalmente merito).
Inevitabili alcuni riferimenti, pur in chiave parodica, ad “American Graffiti” di Lucas, ma non è passato molto tempo prima che il film di Landis diventasse solido punto di riferimento di decine di emuli a venire, ma le cui vette di dissacrazione non sono mai state lontanamente toccate di nuovo.


“Io penso che questa situazione richieda che qualcuno faccia un’azione assolutamente futile e stupida. Si tratta solo di stabilire quale.”

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