Bianco, rosso e Verdone (1981), di Carlo Verdone

di Roberta Lamonica

Sulla scia del successo di Un sacco bello, nel 1981 Sergio Leone decise di produrre il secondo film – anch’esso ad episodi – di Carlo Verdone, Bianco, rosso e Verdone. Non avrebbe dovuto avere questo titolo, dato che un film precedente con protagonista Sophia Loren, Bianco, Rosso e… era andato malissimo e nel mondo del cinema la scaramanzia gioca da sempre un ruolo significativo. Ma alla fine Verdone la spuntò e questo fu il titolo depositato per il suo film. Anche la locandina fu oggetto di dibattito: Verdone non avrebbe voluto la Sora Lella e Milena Vukotic nella posa sguaiata in cui sono ritratte. Fu lo scotto da pagare a un certo gusto trash che ancora aveva strascichi ed epigoni agli inizi degli anni ‘80.

Mimmo, Furio e Pasquale

Bianco, rosso e Verdone è il racconto di un viaggio ‘elettorale’: tre personaggi, tre modi diversi di incarnare lo specifico italico, tre colori della bandiera italiana, tre strade che portano a Casa, dove il viaggio e la strada percorsa saranno molto più importanti delle schede infilate nell’urna alla fine del film giacché porteranno i tre protagonisti, stereotipi dell’italiano medio, ridicoli e risibili, a perdere ognuno un qualcosa di caro: Mimmo la nonna, Furio la moglie e Pasquale l’iconica Alfasud rossa.

Bianco, rosso e Verdone, un po’ per la natura tripartita e un po’ per l’insistenza sulle gag comiche un po’ ‘sbracate’, presenta dei limiti per ciò che riguarda la fluidità narrativa e il ritmo, e oggi presenta un po’ i segni del tempo, come fosse il vecchio cantore di una società italiana ormai scomparsa. Eppure, non si può non restare ancor oggi affascinati dal retrogusto amaro dietro le battute ormai entrate di diritto nella storia del cinema italiano, dal mood latentemente malinconico che permea il film e dalla perfetta caratterizzazione dei personaggi.

Verdone riporta sullo schermo lo svagato e poetico personaggio di Leo di Un sacco bello: qui diventa Mimmo, nipote ingenuo e maldestro di una esilarante Sora Lella (Nastro d’argento per la sua interpretazione e fortemente voluta da Verdone dopo averla ascoltata in trasmissione radiofonica su Radio Lazio) che compie un tragicomico viaggio di formazione sulle autostrade italiane, alla scoperta delle ‘cose della vita’, ma soprattutto del senso della vita stessa. Indimenticabile la scena al cimitero, ode alla dignità della morte a all’importanza del ricordo: poesia assoluta che colpì, tra gli altri, Sergio Citti per la profonda umanità che da essa trasudava.

Mimmo e la nonna

Così come profondamente umano è il personaggio della prostituita interpretato da Milena Vukotic, disperata di una disperazione percettibile e tragicomica. Luca Verdone, secondo aiuto regista del film e fratello di Carlo, racconta che per la famosa scena del pube dietro la boccia di vetro per pesci furono fatti addirittura dei provini a delle ragazze di vita per scegliere quelle ‘mutande’ che avrebbero dovuto scioccare Mimmo fino alla fuga tra le braccia della nonna. La battuta di Sora Lella prima di recarsi a votare, relativa alla storia della prostituita, è rimasta nella storia della commedia italiana.

Milena Vukotic

A Mimmo si aggiungono Furio e il mitico Pasquale Amitrano.

Furio è un personaggio logorroico e insopportabile, talmente nevrotico e autoreferenziale da non vedere quanto la moglie e i figli lo odino per la sua mania di controllare e giudicare tutto. Pedante, pignolo e incessante, Furio era detestato platealmente da Sergio Leone. Il produttore non era convinto che il personaggio sarebbe piaciuto al pubblico e per tastare il terreno organizzò una proiezione privata alla quale invitò Sordi e la Vitti. L’entusiasmo di Sordi alla fine fu tale da dissipare in Leone tutti i timori e a consegnare un personaggio indimenticabile alla storia del nostro cinema.

Irina Sanpiter

Sua moglie Magda, malinconico sguardo azzurro (la compianta Irina Sanpiter, doppiata dalla grande Solvejg D’Assunta) e il suo ‘Non ce la faccio più!’ sono diventati metafora dello sfinimento psicofisico derivanti da un rapporto soffocante, l’unica via di uscita dal quale è la fuga… magari con il bel tenebroso Raoul (ottimo e in parte Angelo Infanti), latin lover nostrano che sembra andar ramengo per l’Autostrada del Sole come un cavaliere errante per concupire dame insoddisfatte e fragili come la morigerata e castigata Magda.

Angelo Infanti

Ma l’episodio di Pasquale Amitrano, l’emigrante che torna dalla Germania per votare a Matera, sua città d’origine, è quello che incornicia il film e che ne racchiude forse il senso più malinconico e profondo. Durante il viaggio da Monaco di Baviera viene ripetutamente derubato e sembra essere invisibile a tutti quelli che incontra. Pasquale non dice una parola per l’intera durata del film, salvo poi esplodere in un lungo sfogo di fronte agli scrutatori al seggio elettorale.

Pasquale Amitrano

Verdone ebbe a dire sulla genesi del personaggio di Amitrano: “L’ idea di fare un personaggio muto fu molto coraggiosa. Non sapevo se sarei riuscito ad interpretare la rabbia, lo stupore e la sconfitta solo col corpo e l’espressione del viso. Ho recitato d’istinto, non ho mai provato questo personaggio. Avevo in mente quello che doveva essere la sua personalità, la sua anima sperduta ed ingenua. Mi sono buttato. E il corpo si muoveva da solo. È stata una sorpresa”.

Pasquale a Monaco con la moglie

La vicenda di Pasquale si delinea un po’ come la trama allegorica delle rappresentazioni e delle identità di tutti gli emigranti che tornano a casa. Il suo silenzio ostinato diventa metafora di tante storie di migrazione sottaciute: non è tanto Pasquale che non parla, la verità è che nessuno ha voglia di ascoltarlo.

E il filo comune di tutto il film, sostenuto dalla colonna sonora a tratti grottesca ma a tratti malinconica del M.o Ennio Morricone, è una certa tendenza all’emarginazione, all’isolamento – anche da parte dello Stato – di tutti questi eroi moderni, senza più scudi né spade che, nonostante le nevrosi, l’infantilismo e lo spaesamento, ancora sono disposti a mettersi in ‘viaggio’, spinti dal nostos che li conduce verso la loro mai dimenticata e sempre amata ‘Itaca’. Un film a cui essere affezionati, personaggi a cui essere affezionati, portatori sani di un’umanità di cui oggi si sente tanto la mancanza.

Pasquale al seggio

2 risposte a "Bianco, rosso e Verdone (1981), di Carlo Verdone"

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