Persona, di Ingmar Bergman (1966)

di Loredana Castellana

Persona è un film del 1966 ed è tra i più belli ed enigmatici del regista titano Ingmar Bergman. Opera dark, difficile e non necessariamente „comoda“, enigmatica e sperimentale, ma abbandonando un giudizio sintetico a tutti i costi, potremmo constatare che questo capolavoro cinematografico parla ad ognuno di noi, ai nostri pensieri strani o tristi e all’incapacità di chiarirli e definirli. Persona è capace di diventare più personale di ciò che ci aspettiamo.

Un lavoro che rappresenta quasi una rottura col passato, un approccio più radicale al suo modo di filmare, Bergman non aveva neppure finito di scriverlo tutto: dirà poi di essere stato in ospedale per tre mesi – mentre invece si trattò di appena tre settimane: ma lui non raccontava mai la verità su accadimenti personali, poiché questo gli permetteva di giustificare le sue stranezze e le sue paure. O, se vogliamo, la sua genialità! Infatti la lavorazione di Persona inizia a Stoccolma e poi non ha uno continuum. Bergman decide allora di trasferire tutta la troupe sull’isola di Faro, la sua isola (sulla quale decise poi di passare il resto della sua vita), e finì per scrivere dopo il resto della pellicola.

Film difficile da capire intellettualmente ma più accessibile al mondo del sentire, in Persona Bergman ci racconta di dualità, solitudine, insanità in un modo ancora inesplorato e con estrema intensità a livello psicologico, filosofico e persino poetico. All’inizio del film un proiettore impazzito trasmette immagini apparentemente disconnesse ma con significati allusivi e simbolici, corpi su tavoli di obitorio, animali privati di budella, un ragazzino che accarezza i contorni sullo schermo di quelli che vedremo essere i volti delle due protagoniste, rappresentazioni cultuali (si vedono mani trafitte da enormi chiodi) e persino farsesche, ostentando, sia pure per frazioni di secondo, un enorme fallo, simbolo di desiderio e allo stesso tempo di invidia femminile del pene. La trama si sviluppa esattamente attorno al rapporto tra due donne, Elisabeth (Liv Ullman), un’affermata attrice e Alma (Bibi Andersson), la giovane infermiera incaricata di prendersi cura di lei.

Elisabeth, dal rettangolo sul quale recita la tragedia di Elettra, inizia improvvisamente a guardare dentro di sé, ai propri simili e alla realtà sociale, e si scopre piccola e fragile, in balia die propri tormenti e delle proprie angosce, in balia del dolore, gettata in un divenire incontrollabile in cui non pare trovare posto. Alla vana ricerca di un senso della vita e di un posto nella vastità degli universi possibili, scopre, tocca con mano, svela il suo lato oscuro (sofferente) ed inquietante e non può più ignorarlo né insabbiarlo. Si rifugia in un atteggiamento apparentemente rinunciatario, nichilista, eleva l’apatia a sistema di vita, inseguendo il suo sogno disperato: essere, non sembrare di essere.  Sovvertire un sistema di valori preordinato attraverso il mutismo. Una ribellione totale e radicale, la presa di distanza dalle parole, rendendo tuttavia il suono della propria voce come qualcosa di prezioso, da dover proteggere e risparmiare, difendere da qualunque esposizione. Poiché, come dirà la sua dottoressa, l’unica che comprende pienamente lo stato emozionale della Sig. Vogler, „ogni parola è menzogna, ogni gesto falsità, ogni sorriso una smorfia“.

Tu insegui un sogno disperato, questo è il tuo tormento: tu vuoi essere, non sembrare di essere

Elisabeth e Alma, come percorso terapeutico, andranno a vivere per una settimana in una casa in riva al mare, praticamente in simbiosi, in modo che dall’esperienza in comune possano entrambe trarre vantaggio. Ma l’equilibrio psicologico dell’infermiera verrà messo a dura prova dal tormentoso silenzio di Elisabeth, la sindrome di una persona rinchiusa, ma dalla coscienza intatta che consapevolmente decide che se proprio deve, comunicherà solo con quello che noi chiamiamo lo specchio dell’anima: gli occhi!

Il mutismo è legato all’ansia ed è questo lo stato d’animo che attraversa il film, una condizione di malessere latente che riemerge ogni volta che abbandoniamo le distrazioni e svestiamo la maschera delle convenzioni. Il titolo è la chiave! Infatti è proprio “maschera” il significato della parola “persona” in latino e di qui i temi di verità e finzione, identità ed esistenza e meditazione sulla moralità.

Man mano che avanza il tempo il rapporto tra le due donne si svela sempre più intenso, e al silenzio e all’incomprensibile di Elisabeth, Alma contrappone una loquacità eccessiva, un parlare incessante di sé: le sembra di potersi fidare della sua paziente e scavalca il limite imposto dalle sue mansioni. Reagisce alla frustrazione di trovarsi davanti a un muro invalicabile, con un eccesso di parole e proiezioni. Una scena potente e molto suggestiva è infatti quella in cui Alma compie un monologo di 7 minuti in cui racconta un amplesso a quattro con una sua amica e due ragazzi sconosciuti, avvenuto poco prima di sposarsi. È una scena altamente erotica, ci sembra quasi di vederla o addirittura di viverla noi stessi, immaginandone ogni sensazione. E tuttavia non vedremo mai alcun amplesso, né tanto meno corpi nudi. Monologo e riprese di un’enorme forza suggestiva. Sentendosi per un attimo libera, e metaforicamente svestendosi dei panni di brava ragazza, che vive la sua vita banalmente seguendo un iter morale e convenzionalmente coerente, Alma dirà inoltre che dopo quell’esperienza, il ritorno al sesso col futuro sposo fu bello come non mai. Ammette l’erotismo per quello che è, puro piacere, e non come scandalo o qualcosa di cui vergognarsi.

Insomma Alma si rivela sempre più irrimediabilmente come „Persona“ quella maschera esterna, artificiale, creata apposta per nascondere il vero sé e che si presterà man mano alla vergogna, al risentimento, persino alla violenza per le illusioni disattese. Si tratta di una narrativa anche sulla condizione femminile, donne costrette a decisioni difficili, sempre sottoposte al giudizio morale (Elisabeth abbandona alla famiglia un figlio nato disabile pur di non rinunciare alla propria carriera, Alma costretta ad un aborto dal fidanzato non pronto a quella responsabilità).

La trama si estende mostrando sempre più chiara ormai la dicotomia che i due caratteri condividono, le due figure cominciano a collidere, tant’è che nella scena del sogno (peraltro controversa, nel senso che non è pacifico che si tratti di un sogno) in cui il marito cieco di Elisabeth le fa visita, egli non sembra accorgersi neanche con gli altri sensi rimastigli, che sta abbracciando Alma e non sua moglie. Alma si presta all’esperimento paradossale di Elisabeth di smascherare le apparenze, la realtà illusoria, percepita, interpretata secondo ciò che ci consola, ma non veramente realtà. Rifugiarsi nell’illusione per lenire la fatica del far finta di vivere, confondere, come siamo abituati a fare, la realtà con la convenienza e l’utilità.

Le due donne si fondono fino a rappresentare due lati della stessa medaglia, la realtà interna ed esterna dell’essere, una che riserviamo a noi stessi, l’altra che condividiamo al di fuori di noi, „l’abisso che separa ciò che sei per gli altri da ciò che sei per te stessa“. Bergman, imprigionando i volti negli innumerevoli close-up che quasi penetrano la pelle, ci descrive la fisicità del volto e la nozione astratta di individualità, come vita intima e al tempo stesso esperienza alienante, attraverso la scena più perversa di tutto il film, in cui sovrappone e fonde i visi delle due protagoniste. Chi è la persona? E chi è Persona?

Infine Persona ci insegna forse che l’unico dovere morale dell’individuo è quello di muoversi sempre in direzione di se stessi e cercar possibili risposte all’atavico interrogativo esistenziale: chi sono? Cosa voglio davvero essere? Sono davvero quello che desidero per me o rispondo pedissequamente ai bisogni di chi mi sta intorno e si aspetta da me un ruolo che non mi rappresenta, che non mi trasmette alcun senso di appartenenza?

Persona è per un film estremamente autobiografico, Bergman stesso diceva di sé di essere molto irascibile, ansioso ed estremamente spaventato da quasi ogni cosa, da possibili catastrofi, dalla rabbia stessa, dalla pedanteria, dalla puntualità e dall’ordine. Esibisce i suoi demoni in modo da renderci partecipi alle sue riflessioni. Persona è un’esperienza acuta, intensa, penetrante ed intima ma assolutamente non deprimente perché arte pura!

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