di Laura Pozzi

“Felici insieme” ipotizza Wong Kar-wai nella pellicola che precede di tre anni quello che viene considerato unanimemente il suo capolavoro: In the mood for love. Happy together cantano i Turtles nella celeberrima canzone (coverizzata da Danny Chung) che chiude una logorante e malconcia storia d’amore popolata da due angeli perduti, Lai Yui-fi (Tony Leung) e Ho Po-wing (Leslie Cheung) che dalla natia Hong Kong si concedono l’ennesima chance, regalandosi un voluto e tormentato esilio amoroso nella elegiaca e suadente Argentina. Una lampada con sopra dipinta l’immagine catartica delle cascate di Iguazù, si trasforma nel folle invito ad andare verso quell’assordante fragore verso quell’impeto furente che la Cuccurrucucu Paloma di Caetano Veloso riveste di sublime kantiano. Un’elegante e vertiginosa sinfonia cromatica orchestrata dall’inseparabile Christopher Doyle solletica lo sguardo attraverso un college visivo che da un seducente bianco e nero vira verso colori falsati e tinte pastose di immagini sature di emozioni contrastanti, impazienti di fondersi nella celeste nostalgia di quell’astruso territorio dove finisce il mondo, dove si accumulano tonnellate di tristezza pronte ad essere gettate via nello sconfinato e ventoso cielo di Ushuaia la città più a sud del mondo, a pochi passi dal Polo.

Ispirato a The Buenos Aires Affair di Manuel Puig, la sesta pellicola di Wong Kar-wai si presenta così dopo gli interessanti e convincenti Hong Kong express e Angeli perduti. Si porta a casa un prestigioso e meritatissimo premio alla regia al festival di Cannes 1997 e in Italia, chissà perché, viene inspiegabilmente vietato ai minori di diciotto anni. Eppure il regista cinese è decisamente poco interessato alla tematica gay, che ovviamente riguarda da vicino i due protagonisti, ma passa in secondo piano rispetto ad un tema a lui caro e particolarmente spinoso in quel periodo: la solitudine. Tuttavia il film inizia proprio con una scena di sesso molto esplicita, ma che resterà unica in tutta la storia come a voler sottolineare un’urgenza fisica prossima alla fine. Le poche informazioni sui due giovani amanti le riceviamo da Lai Yui-fi che in una sorta di confessione privata con lo spettatore racconta e rievoca i suoi tormenti interiori. Una storia indissolubilmente legata ad una parolina magica ad un fatale “ricominciamo” che Ho Po-wing al pari di una diabolica femme fatale dagli occhi a mandorla impone con evidente disinvoltura al disperato amante incastrato in quello snervante e torbido “né con te né senza di te”. E Lai Yui-fi non può fare a meno di cadere nella trappola, nell’inganno, nell’abissale solitudine che l’infantile compagno elargisce con indifferente spietatezza. “Quando si sentono sole le persone, sono tutte uguali”. Questa l’amara lezione imparata da Lai Yui-fi che nel momento di massimo sconforto getterà la maschera, svelando una natura non troppo dissimile da quella del discutibile e vampiresco compagno.

Una solitudine che non si limita alla sola sfera affettiva, ma macina chilometri lontano da casa, scavando solchi profondissimi nell’anima. Lai Yui-fi vuole credere ancora e nonostante tutto a quel legame impossibile, tenuto in piedi da laceranti umiliazioni, da promesse mancate, da compiaciuto cinismo. Ho Po-wing del resto rappresenta il suo unico appiglio, la magra consolazione all’incapacità di difendersi, a smarcarsi da una vita ostaggio di una distruttiva routine. Un circolo vizioso spezzato e impreziosito dalla presenza di Chang (Chang Chen) un giovane taiwanese a corto di soldi finito a fare il lavapiatti insieme Lai Yui-fi. Grazie alla sua purezza e al suo formidabile udito “le orecchie sono più importanti degli occhi. Molte cose sono più facili da sentire che da vedere. Per esempio se uno è infelice e fa finta di non esserlo lo si può capire dalla voce”, Chang regalerà al suo amico sconsolato, attimi di leggerezza, registratori terapeutici e una tregua emotiva dal valore inestimabile necessaria a rimettere insieme i pezzi di un’identità dispersa, capovolta, in attesa di “tornare”. La visione di Happy together è un’esperienza totalizzante non solo dal punto di vista emotivo, ma soprattutto visivo. L’assoluta libertà narrativa con cui il regista costruisce la storia cela in sé qualcosa di prodigioso. Gli spazi chiusi, la claustrofobia emotiva dei personaggi, i campi lunghi come distanza non solo fisica, il decentramento della scena, gli specchi, le tende, le vetrine sono tratti distintivi del suo cinema che in questo film sono liberi di circolare grazie a un montaggio sregolato capace di perdersi nella sontuosità di immagini di rara perfezione.

La narrazione procede a strappi, cambia ritmo, colore, rallenta, accellera, confonde e continua incredibilmente a sfuggire ad ogni nuova visione. Ma arrivati ad Iguazú, anche l’indomabile Wong Kar-wai deve inchinarsi e fermarsi a contemplare dall’alto la straziante meraviglia del creato. Una sequenza di rara potenza emotiva che stravolge i sensi, creando una vertigine visiva difficile da sostenere. Immagini di sconvolgente bellezza, rese struggenti dalle parole di Lai Yu-fi che arrivato sotto le cascate non può che provare una profonda tristezza per un luogo tanto agognato dove far calare definitivamente il sipario sul suo tormento amoroso. Ma tutto il film è una festa per lo sguardo e una dolce melodia per l’udito. Oltre a Caetano Veloso, troviamo Frank Zappa, Astor Piazzolla e la magia inebriante del tango argentino. Una terra remota e affascinante alla quale il regista non risparmia comunque qualche frecciatina, come la difficoltà di trovare lavoro o l’eccessivo costo della vita. Delle piccole frustrazioni comprensibili per chi ha davvero vissuto la traumatica esperienza di un esilio forzato. Menzione speciale merita il cast: a parte il già noto e magnifico Tony Leung, è importante sottolineare la straniante performance di Leslie Cheung, morto suicida nel 2003, già attore per Wong Kar-wai e indimenticabile interprete di Addio mia concubina di Chen Kaige. E il giovanissimo e promettente Chang Cheng che alcuni ricorderanno ne La tigre e il dragone di Ang Lee e in Soffio del compianto Kim Ki-duk.

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