Il lungo addio, di Robert Altman (1973)

di Roberta Lamonica

The long food te original poster | re-movies
Locandina

Premessa: cenni sul cinema di Robert Altman

A partire da Mash (1970), Robert Altman ha continuato ad elaborare uno stile profondamente personale, lontano dalle logiche del mercato e dal clamore dei media, poco interessati al suo cinema anti spettacolare. La sua carica artistica e innovativa, anche a livello tecnico, rinvenibile nell’overlapping, nella coralità e nella mancanza solo apparente di un nucleo tematico, l’uso dello zoom come veicolo di emozioni che straniano lo spettatore dal personaggio, un uso sperimentale del montaggio, frammentato e sfilacciato, che vuole rappresentare la confusione e la distruzione della cultura americana, gli portarono riconoscimenti e successo nel periodo della New Hollywood, in cui la sua satira e la voglia di fustigare la società americana e i suoi costumi, trovava terreno ideale. Con il tempo la sua capacità di dipingere e raccontare il fallimento dei suoi personaggi si velerà di crepuscolarismo e sarcasmo.

Robert Altman | re-movies
Robert Altman

Il lungo addio e il contesto socio-culturale americano dei primi anni ‘70

Questa tendenza malinconica e intimista è già riscontrabile ne Il lungo addio, capolavoro di Robert Altman del 1973, con Elliot Gould e una serie di inaspettati comprimari: Sterling Hayden, nel ruolo di un irriconoscibile scrittore ‘hemingwayano’ corrotto e Nina van Pallandt, regina delle cronache mondane hollywoodiane dell’epoca; il regista Mark Rydell, nei panni del criminale Augustine e l’ex asso del baseball Jim Bouton; persino un giovanissimo Arnold Schwarzenegger, non accreditato, in un piccolo ruolo. Il lungo addio insieme a Mikey and Nicki di Elaine May (con Peter Falk e John Cassavetes), rappresenta una perla splendente nel tentativo della New Hollywood di creare un nuovo linguaggio cinematografico. È un’opera che di base condivide con tutta la produzione cinematografica americana degli anni ‘70 la tensione psicologica ed emotiva che gravava su una generazione devastata dalla guerra del Vietnam e disorientata dallo scandalo Watergate. Il lungo addio è anche il film più ‘metafisico’ del cinema americano degli anni ‘70 insieme ad Apocalypse Now. Solo che Il viaggio nel cuore di tenebra del ‘bravo giovane americano’ è finito. Quel giovane è tornato a casa ed è molto confuso.

Elliot Gould  as Philip Marlowe  in thè long goodbye | re-movies
Elliot Gould

Trama

Tratto dal romanzo di Raymond Chandler forse il più difficile da scrivere, prima che l’ombra della morte si allungasse su di lui, e sceneggiato dalla leggenda vivente di Hollywood, Leigh Brackett, Il lungo Addio segna il saluto definitivo del detective Marlowe, l’uomo duro, ironico, solitario, con una bottiglia di whisky sempre a portata di mano e una sigaretta sempre tra le labbra, al suo pubblico e alla sua Los Angeles.

Il detective e  il noir  - Il lungo addio | re-movies
Il detective Philip Marlowe

Il lungo addio è un film in cui il plot non è centrale né particolarmente avvincente: in definitiva è la storia di un uomo spaesato, alienato rispetto al contesto in cui si muove, che cerca il suo gatto… e lo cerca per tutto il film. Marlowe non è un eroe e non agisce o determina in modo particolare gli eventi che lo coinvolgono: il suo ‘amico’ Terry Lennox arriva nel suo appartamento a Los Angeles e gli chiede di portarlo in Messico. Marlowe acconsente ma poi scopre che Lennox ha ucciso sua moglie e in seguito viene a sapere che l’amico si è suicidato. Interrogato sul caso, viene poi avvicinato dalla bella signora Wade per investigare sulla scomparsa del marito, lo scrittore Roger Wade; nel frattempo il gangster Augustine minaccia Marlowe perché pensa che lui e Lennox siano complici nella sottrazione del denaro che Lennox trasportava in Messico per suo conto. E in tutto ciò Marlowe si muove a disagio e disorientato come il Vincent Vega di Pulp Fiction nell’appartamento di Marsellus Wallace.

Elliot Gould e il suo gatto nella scena di apertura de Il lungo addio | re-movies
Marlowe e il suo gatto

Marlowe e la sua Los Angeles

Quella del 1973, teatro degli eventi raccontati ne Il lungo addio, con le sue luci, le autostrade, gli edifici che si arrampicavano fino al cielo, la diversa umanità alla ricerca del successo personale e di una qualche visibilità, non avrebbe potuto avere il volto di Bogart, Montgonery, Michum, scelti per interpretare il detective nei classici del genere noir. Ma cosa succede se l’ambientazione del noir viene spostata da bui, torbidi vicoli e strade secondarie alla rigogliosa e ricca California? Per Altman, la nuova Los Angeles del 1973 è una ‘rovina’ moderna, in cui la sua visione plumbea dell’umanità poteva esprimersi divertita, indagando sulle ironie di un mondo vuoto, pieno di pretese materiali e povertà spirituale. E dalle rovine di una città tanto amata non poteva che nascere un ‘eroe nuovo’, un personaggio iconico sì, ma che abbandonasse i fasti di un passato patinato per incamminarsi traballante e dubbioso verso un futuro di grande incertezza.

The long goodbye - location | re-movies
Los Angeles – Location

Altman quindi decostruisce Philip Marlowe e mentre lo fa ci mostra la nuova Los Angeles. Se il vecchio Marlowe andava contro una città troppo spesso senza cuore senza alcun timore, questo Marlowe può solo scrollare le spalle a una nuova Los Angeles che è semplicemente senza nerbo, senza sangue ma soprattutto senza anima. È una città balbettante, il cui sole accecante impedisce l’individuazione di nuovi punti di riferimento.

Una scena die Il lungo addio | re-movies
Una scena del film

Marlowe e lo spaesamento dell’uomo moderno

Nel mondo di Altman, ogni singolo cittadino è un detenuto e la società è solo un modo per moltiplicare le infermità psicologiche e mentali dei suoi membri. Laddove i Marlowe degli anni ‘40 e ‘50 erano uomini d’azione, il Marlowe di Altman è un uomo di ‘reazione’, catapultato nella California degli anni ‘70, addormentato per gran parte del film, un sonnambulo in un luogo dove il sonnambulismo è preferito all’esistenza. Altman riprogramma Marlowe, sostituendo al detective dallo sguardo. glaciale, un tipo un po’ bislacco il cui vero scopo è testimoniare le stravaganze del mondo che lo circonda. Marlowe è una specie di bambino capriccioso che si nasconde nei cespugli, spiaccica il naso contro la finestra e corre dietro un’auto in corsa. Egli mantiene tutti i valori classici del personaggio che però cozzano completamente con quelli della società americana degli anni ‘70.

Philip Marlowe |re-movies
Philip Marlowe

Abbiamo detto che il detective chandleriano si muove come un alieno in un ambiente alieno. Ed è così fin dall’inizio del film. Marlowe si sveglia alle 3 perché il suo gatto vuole mangiare ma non ha il cibo per gatti che lui mangia di solito. Allora va al supermercato; lì vaga tra le corsie senza riuscire a ‘comprendere’ l’ambiente che lo circonda. Le sue vicine hippie sono cordiali ma la sensazione è che vivano mondi completamente differenti. In tutto il film le persone sembrano incontrarsi per caso e altrettanto per caso sembrano non capirsi. Marlowe sembra essere teletrasportato da un mondo con un codice di valori rigoroso, in cui non è contemplata l’amoralità e la promiscuità sessuale, a un mondo fatto di crimini alla luce del sole, tradimenti, connivenze e bugie. Marlowe funge da centro e fulcro agìto e interpretato da tutti secondo le proprie prospettive e interessi.

The long goodbye | re-movies
Con lo psichiatra avido

Eppure il fatto di essere legato al suo codice, di guidare una vecchia auto, di indossare abiti fuori moda e di seguire valori antichi, è ciò che lo salva dal collasso conseguente allo scontro tra etica e realizzazione (che Marlowe di conseguenza non può raggiungere). Il personaggio di Marlowe trasmette un’idea di solitudine, spaesamento. Discinto, sempre con la sigaretta, fumata schizofrenicamente in modo antitetico a quello dei suoi precedenti cinematografici, disincantato, ironico, egli smonta la grammatica del linguaggio del noir e soprattutto la caratterizzazione tipica del famoso detective chandleriano.

Il supermercato  - Il lungo addio  | re-movies
Il supermercato e il cibo per gatti

Marlowe e gli altri

Il Marlowe di Altman non giudica, non ha preconcetti di tipo moralistico, non ha verità preconfezionate e soprattutto non ha interlocutori: parla quasi sempre con se stesso. E quando non comprende ciò che lo circonda ripete la frase, “È ok per me”. Sembra vivere in una città di fantasmi, sembra non visto dalla gente che incontra, eppure riesce a riconoscere come i prodotti della cosiddetta civiltà siano di gran lunga più malati del più malato degli uomini: “Ho fatto un giro per la tua ‘riserva’, oggi. È il posto che è malato, non la gente”. Ironico e surreale, sembra non temere la morte e chi potrebbe causargliela: “Se mi stai seguendo, non dovrei accorgermene… Oh, Henry Henry, non sarai mai un gangster di classe!”

Noir heroes and femmes fatales  | re-movies
Humphrey Bogart e Lauren Bacall

Marlowe non è lucido, freddo, distaccato come l’eroe dei noir classico e la femme fatale, personaggio pivotale in ogni noir, qui perde decisamente tutta la sua carica sensuale e misteriosa ma ha le sembianze di una esile e fragile bionda californiana. È interessante notare come l’unica azione realmente violenta, tanto più insopportabile perché inaspettata, viene commessa ai danni di una donna. Che siano malmenate, scrutate, usate come merce di scambio, o incallite traditrici, le donne comunque ispirano in Marlowe un senso di protezione forse perché simbolicamente rappresentano la caduta di una cultura e di una città. “Io sono venuto a cercare la verità”, dice il detective nel suo secondo viaggio in Messico. La verità è fatta di case da ricostruire e da mattoni da sistemare: quegli stessi mattoni che nascondono la verità più ovvia, più banale e più corrotta che si possa immaginare. Il finale di Chinatown in cui non c’era speranza ma una visione totalmente pessimistica sul futuro, cede il passo qui alla possibilità di un ideale di giustizia, quasi una parodia del finale de Il terzo uomo, e cioè “se non puoi batterli, unisciti a loro”. Ma Marlowe in realtà non si unisce a loro. Semplicemente li cancella e con loro, la sua storia… in un lungo addio.

Marlowe e Mrs Wade - The long goodbye | re-movies
Marlowe e Mrs. Wade

Una serie di lunghi addii

Il lungo addio è il titolo del film ma anche il titolo della canzone che in molte variazioni costituisce l’ossatura della colonna sonora. Lo score funziona da filo conduttore quasi ossessivo delle vicende narrate in cui i funerali sono come feste e le feste sono come funerali. Il film stesso consiste di una serie di diversi lunghi addii, di diversa natura. Intanto il gatto abbandona Marlowe: l’addio del gatto e la ricerca dello stesso sono il leit motiv del film. L’addio è quello che danno le onde alla spiaggia prima di ritirarsi nel mare davanti la casa di Wade a Malibu; l’ascensore che sale e scende e determina i passaggi a sequenze narrative diverse, come raccordo nel film. Ma il film è anche il lungo addio ai tempi dell’innocenza, all’ingenuità dell’infanzia, intesa come abbandono di una fiducia nella realtà e un ingresso nell’amara consapevolezza del male del mondo. Il lungo addio è anche e soprattutto un addio alla Hollywood degli anni d’oro e a quelli che ne erano i simboli più iconici. L’America in cui Philip Marlowe è stato catapultato viene eliminata con un colpo di pistola. La canzone in chiusura di film “Hooray for Hollywood…” vede Marlowe allontanarsi tra due filari di alberi, sempre più piccolo, sempre più lontano. Un puntino indistinto che si perde in un ultimo lungo addio.

Il lungo addio - scena finale | re-movies
Scena finale de Il lungo addio

2 risposte a "Il lungo addio, di Robert Altman (1973)"

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