Annette, di Leos Carax (FR 2021)

di Laura Pozzi

Tutto nasce, ruota e deflagra intorno a quella corsa elettrizzante e allucinata, plasmata sul corpo nervoso e febbrile di un giovanissimo Denis Lavant che al ritmo martellante della fulminante Modern Love di David Bowie si contorce, si agita e compie autentiche acrobazie amorose. Per chi  nel lontano 1988 (in realtà in Francia il film uscì due anni prima) ebbe la fortuna e il privilegio anagrafico di vivere quella scena all’interno di una sala cinematografica, sa di aver inconsciamente firmato un patto di mauvais sang con un “profeta” delle immagini: Leos Carax. Usciti da quella visione la percezione del cinema, del tempo e dello spazio non fu più la stessa e nella mente cinefila di molti spettatori- tra cui la sottoscritta- si fece largo una sola ed unica certezza: quella di amare incondizionatamente quell’enfant prodige/terrible per il resto della vita. Il fotogramma appena citato si riferisce ovviamente a Rosso sangue (titolo originale Mauvais Sang da Una stagione all’inferno di Rimbaud) e la scena “incriminata” è una delle più catartiche e dirompenti del cinema moderno.

Carax con Annette torna alla regia nove anni dopo Holy Motors  e ventuno dopo il nichilista Pola X film letteralmente massacrato dalla critica e avvolto da un maledettismo di fondo (su tutto la drammatica sorte toccata ai due protagonisti Guillame Depardieu e Katerina Golubeva, morti rispettivamente nel 2008 e nel 2011), che ne fa a tutt’oggi uno dei film più dimenticati e meno compresi di fine millennio. Dopo quel clamoroso flop, succeduto ad un altro “psicodramma” produttivo come il titanico Gli amanti del Pont Neuf, molti credevano che l’oblio fosse vicino e invece il quasi sessantunenne Leos (li compirà il 22 novembre), dimostra ancora una volta come il cinema non possa fare a meno del suo talento, dei suoi eccessi visionari, delle smodate megalomanie, ma soprattutto delle sue emozioni in movimento, della  purezza virginale di immagini “piene di grazia”. Carax ha avuto l’onere, quattro mesi fa, di aprire e calcare per primo il tappeto rosso di un festival di Cannes ancora incredulo per la mancata edizione 2020, ma voglioso di ripartire insieme a quel figliol prodigo sregolato e ribelle premiato con un prestigioso Prix de la mise en scène.

La storia di Annette è peculiare: descritto come un musical sontuoso e magniloquente basato sull’ambizioso progetto di Ron e Russell Mael i fondatori degli Sparks (che avevano scritto un soggetto comprendente originariamente la bellezza di circa 150 canzoni), la storia racconta la travolgente e tragica passione tra Henry un comico narciso, irriverente, un distruttore irrimediabilmente vicino al declino e Ann celestiale e salvifica creatura lirica all’apice del successo. Il loro sogno d’amore sembra sfiorare la perfezione con l’arrivo di Annette, una bambina “di legno” dal prodigioso talento canoro, ma portatrice di un’oscura maledizione. La piccola, una marionetta di legno, ossessionata dalle ambizioni di un padre fallito, cannibalizzata da uno star system avido e malato troverà nel finale la sua rivincita “in carne ed ossa” grazie ad un vibrante confronto/scontro con un genitore sopravvissuto, ma sconfitto. Nel 2016 il progetto viene proposto a Carax, che da vero pioniere accetta di girare il suo primo film in lingua inglese e d’imbarcarsi in una nuova folle ed eccentrica avventura. Il cast subisce innumerevoli cambi: per il ruolo di Henry si pensa a Joaquin Phoenix, mentre per Ann si alternano i nomi più disparati da Rooney Mara, a Michelle Williams fino a Rihanna. Dopo rinunce e progetti lasciati a metà la scelta finale ricade su Adam Driver e Marion Cotillard.

Parlare di un film denso e perturbante come Annette non è impresa facile, ma del resto con Carax ci si deve spesso reinventare, lasciando da parte qualsiasi reticenza, per abbandonarsi ad una visione tentacolare impossibile da cogliere nella sua complessa e distorta creatività. Una vita (e una visione aggiungiamo noi) non basta titolava un vecchio film di Claude Lelouch e ciò vale anche per l’intera filmografia di un autore che pur avendo girato solo sei film in quasi quarant’anni di carriera continua la sua folle corsa danzante, per risultare imprendibile, ma diabolicamente fatale. Con Carax si attua un vertiginoso rimescolamento dei sensi dove l’immagine non è solo qualcosa da vedere, ma da ascoltare, mentre la musica seduce lo sguardo proiettandolo oltre lo schermo verso un infinito costellato di frammenti di cinema puro. Del resto è lui stesso a coinvolgere il pubblico in prima persona, catapultandolo inizialmnete all’interno di uno strepitoso piano sequenza e invitandolo a trattenere il respiro per tutta la durata dell’opera. Che attenzione non è da sottovalutare: ben 140 minuti di sublime delirio dove la poetica del regista fluisce senza sosta, immergendoci in una tempesta di emozioni e stati d’animo spesso contrastanti. Questo perchè tra rimandi cinematografici, autocitazioni, surplus drammaturgici e interruzioni più o meno lecite si nasconde il dramma di un cuore spezzato. Annette parla di un amore travagliato, sfortunato, destinato alla resa, ma anche di un rapporto padre figlia di non facile risoluzione. Il film è dedicato a Nastya la figlia di Carax nata dall’unione con Katerina Gobuleva nel 2005. La tragica fine della donna nonchè sua ultima musa morta suicida sei anni dopo è un evento difficile se non impossibile da metabolizzare, ecco perchè la presenza di Nastya nell’incipit diventa fondamentale. Carax con la complicità della primogenita adagia e lenisce le emozioni ferite su una storia “affamata” d’amore che freme e scalpita per iniziare. E per regalarci ancora una volta un amore dannatamente modern.

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