“La matriarca”, liberata da Pasquale Festa Campanile

di Greta Boschetto

La matriarca è un film del 1968 diretto da Pasquale Festa Campanile con Catherine Spaak, Jean-Louis Trintignant, Nora Ricci, Gigi Proietti, Luigi Pistilli, Frank Wolff, Gabriele Tinti e Vittorio Caprioli.

Per parlare di questa pellicola in odor di femminismo e liberazione sessuale, non si può omettere una parentesi sul suo autore: Pasquale Festa Campanile vanta una lunga filmografia a tematica sessuale, trattata da diverse angolazioni e varie sfaccettature, partendo con più convinzione, rispetto ai primi film, proprio con La matriarca del 1968, passando da Scacco alla regina e Dove vai tutta nuda? entrambi del 1969, arrivando negli anni ‘70 con titoli come Il merlo maschio, La sculacciata e Conviene far bene l’amore.

Gli anni Sessanta e Settanta sono, più di altri decenni, indissolubilmente legati con la situazione sociale e storica del periodo e sono da sempre considerati la vera età dell’oro del cinema italiano, in cui anche la cinematografia del regista si riempie di elementi di cambiamento e di echi rivoluzionari dell’epoca.

Definire La matriarca come una semplice commedia sexy o una scusa per “spogliare” la giovane ninfetta Catherine Spaak, che tra l’altro proprio in questo film da “moglie” si trasforma in una donna cosciente del proprio corpo, sarebbe una lettura superficiale e riduttiva.

Il personaggio principale è Mimì (appunto Catherine Spaak), giovane e ricca donna rimasta vedova all’inizio della storia, non particolarmente triste a causa del lutto e già dal funerale del marito è chiaro che il loro non era un matrimonio basato sull’amore. Mimì viene informata dal socio del marito (Gigi Proietti) di aver ereditato anche uno stabile della quale lei non conosceva l’esistenza e scopre così la doppia vita del marito: l’appartamento non era altro che una garçonièrre dove il marito dava sfogo alle sue fantasie, spesso con venature BDSM o più genericamente kinky.

La delusione di Mimì non deriva minimamente dal tradimento del marito ma soprattutto dal fatto di non essere mai stata coinvolta nei suoi giochi, relegandola al ruolo di moglie con la quale intrattenere una vita sentimentale e sessuale preconfezionata e tendente al noioso.

Nel bellissimo “ritiro sessuale” segreto del marito (un modaiolo appartamento che mischia l’art déco al retro-futurismo in uno stile tipico proprio della fine degli anni ‘60, dove ogni oggetto sembra posizionato e progettato per essere il più esteticamente gradevole possibile) Mimì scopre di non aver mai sperimentato, di non aver mai ascoltato i suoi impulsi e le sue voglie, di essere rimasta indietro, in una vita borghese che non la rendeva felice e libera di essere se stessa, di capire chi realmente lei è: inizia così una serie di esperimenti sessuali, acquisendo più fiducia e sempre più strumenti per capire cosa davvero le piace e cosa no.

Il percorso di Mimì, che ora sembra lontano nel tempo e con le pecche che può avere un film che parla di liberazione femminile narrato dal punto di vista di un uomo (per quando attento), presenta una piccola rivoluzione femminista sessantottina in cui dimostra che anche alle donne piace il sesso, aggiunge un tassello alla decostruzione simbolica delle dinamiche di genere (come avviene in altri film di quegli anni, ad esempio Femina Ridens di Piero Schivazappa del 1969) e rifiuta il doppio standard di valutazione che inquadra diversamente un uomo o una donna che praticano sesso casuale (e non sono forse ancora adesso, purtroppo, delle istanze che vengono portate avanti anche dal femminismo degli anni 2000?)

Quasi nessuno degli uomini che entra in contatto con la nuova Mimì sa come rapportarsi a lei in maniera sana: la insultano, le danno della puttana se lei li rifiuta, ne hanno paura o pensano che sia completamente impazzita, “usanze” patriarcali ancora oggi non passate di moda.

In generale, i personaggi femminili che appaiono nei film di Pasquale Festa Campanile sono spesso esempi di femminilità attiva che in qualche modo vogliono rovesciare la dinamica di potere tradizionale: anche ne La matriarca, appunto, Mimì smette di subire la sua vita dominata dal maschio e finalmente sceglie, esplora, commette errori e addirittura studia dal saggio “Psychopatia Sexualis”, uno tra i primi libri che smise di inserire l’omosessualità tra i disturbi psichiatrici, spesso osteggiato negli ambienti clericali sia per il giudizio sull’omosessualità, sia per la classificazione del desiderio di martirio e umiliazione della carne di natura religiosa come manifestazioni di masochismo represso.

Alla fine della commedia (perché di questo si tratta, il tutto è trattato sempre in maniera leggera e divertente) Mimì, oltre a innamorarsi davvero, sceglie il suo kink preferito e finalmente ha al suo fianco un uomo (Tritignant) con cui condividere e divertirsi, senza sentirsi giudicata, ed è proprio questa la potenza del film: normalizzare quello che agli occhi dei perbenisti viene visto come un eccesso (chi decide cosa è troppo se non chi lo pratica?) e liberare la figura femminile, rendendola consapevole del proprio corpo, del proprio gusto e della propria forza.

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