di Girolamo Di Noto

Quando si fa fatica ad etichettare un’opera spesso è perché è caratterizzata da un’originalità che la rende unica. Giungla d’asfalto, uno dei migliori noir di John Huston, prototipo dei film di rapina che influenzerà molto cinema a venire tra cui il bellissimo e teso Rapina a mano armata di Stanley Kubrick, non è solo la storia di un colpo grosso organizzato in una gioielleria da una banda di scalmanati, ma è anche soprattutto un’amara parabola sull’avidità umana, una malinconica elegia dei perdenti, schiacciati da un mondo, la “giungla d’asfalto”, corrotto e spietato, un ritratto cupo, pessimista di una galleria di personaggi che si può racchiudere in una celebre frase detta da uno dei protagonisti: “Il delitto è solo una versione sinistra della lotta per la vita”.

Tratto dal romanzo di William R. Burnett, efficace scrittore della brulicante e nervosa vita e malavita urbana americana, che ha tra l’altro firmato un’altra storia di grande spessore, Piccolo Cesare – portato alla ribalta dal regista Mervyn LeRoy – , Giungla d’asfalto sfugge alle convenzioni del genere perché non dà troppa importanza al colpo, ma si sofferma soprattutto sui personaggi che, attraverso gesti, scene brevi ed incisive, ricche di sfumature, sono ben delineati e incarnano perfettamente quel sottile confine che divide coraggio e viltà.

Personaggi ambigui, disillusi, patetici, sordidi, dal cuore di pietra, ma capaci di mostrare un bagliore di romanticismo, antieroi segnati da un passato oscuro o da rimuovere che grava in maniera ineluttabile sulla loro vita. Ognuno di loro persegue un oggetto del desiderio, lotta per degli obiettivi che li porterà all’autodistruzione: c’è chi come “il professore” Erwin Riedenschneider (Sam Jaffe), mente criminale del gruppo, detto Doc, ha studiato in carcere un piano per impadronirsi di una partita di gioielli; c’è chi combatte per la moglie malata a casa; chi come lo scassinatore Louis Ciavelli (Anthony Caruso), appena reso padre dalla compagna, sogna una vita felice con meno sacrifici; chi lo fa “per una bella rossa “; chi come l’avvocato losco Emmerich (Louis Calhern) vorrebbe avere tutto per sé.

Ognuno si rende figura essenziale per raccontare la condizione disumana di un mondo perverso, ognuno fa parte di un manipolo di uomini portatore di una lotta insensata col mondo, alla ricerca di un altrove da raggiungere destinato a fallire. Tra i personaggi, oltre al Doc di Sam Jaffe, premiato a Venezia con la Coppa Volpi come migliore attore, spicca quello di Dix Handley, interpretato dallo straordinario Sterling Hayden, gigante buono e spietato, che combatte disperato contro un destino segnato.

Dix è un sicario romantico, “una spalla” abile con le pistole, cinico, un duro, di quelli che sa come sparare senza perdere la testa; vittima delle circostanze più che delinquente, Dix è un personaggio antieroico che incarna più di tutti la sconfitta, il ritratto cupo di un uomo vinto senza possibilità di redenzione. C’è una frase significativa che dirà ad un certo punto del film che inquadra la sua condizione e la sua illusoria possibilità di salvezza: “Quando tornerò, la prima cosa che farò è immergermi in un ruscello e togliermi la terra sporca della città”. Il desiderio del ritorno nella fattoria del padre, la fuga dalla città vista come giungla caotica, sporca, nera come l’asfalto, caratterizzeranno questo personaggio, anche lui imbrigliato in un luogo in cui non c’è più spazio per i sogni, luogo di degrado, saturo di violenza.

Giungla d’asfalto, grazie ad un bianco e nero nitido e tagliente, ottenuto dalla fotografia sontuosa di Harold Rosson, è anche un film, come si evince dal titolo, sulla città, sulla metropoli vista come luogo di perdizione e fascinazione, di violenza e corruzione, che Huston ben descriverà anni più tardi con un altro capolavoro, Città amara.

In apertura del film c’è un’auto della polizia che si aggira in una città deserta, forse alla ricerca di quei brandelli di umanità che sembra siano andati perduti. È nella città che si prepara il colpo, si studia il piano, avviene il reclutamento, l’esecuzione, la fuga, la spartizione del bottino, la voglia di scomparire, l’agguato del destino. È nella città che le basse pulsioni che abitano i protagonisti emergono: la tensione dell’azione, gli sguardi feroci, i colpi di pistola partiti accidentalmente. È in questa giungla d’asfalto che si svilisce la lotta alla ricerca dell’utile, che finisce per far regredire l’uomo a bestia.

Significativa è la figura dell’avvocato che conduce un doppio gioco: è un corrotto, con la moglie ignara delle sue attività losche, è colui che si offre di rivendere la refurtiva, ma il suo scopo è quello di truffare tutti. Huston è straordinario nel raccontare le storie di questi personaggi in modo diretto, cogliendoli nel loro essere imprigionati in un mondo stritolato da conflitti, tradimenti, dove nessuno può fidarsi di nessuno.

Personaggi a tutto tondo in cui emergono anche due figure di donne Doll Conovan (Jean Hagen), amante infelice di Dix e Angela Phinley, interpretata dalla quasi esordiente Marilyn Monroe che, pur avendo solo due scene, lascia comunque il segno. Giungla d’asfalto resta ancora oggi un bellissimo film, pieno di suspense scaturita dal progressivo clima di tragedia che pian piano si diffonde. In un panorama di devastante miseria morale, Huston mostra un’umanità avvolta nel buio, che si muove in luoghi che non sono altro che specchio del loro stato d’animo. Lontana è la fattoria per Dix, la frontiera non è più all’orizzonte come nei vecchi film western. C’è solo la giungla d’asfalto, nera, a cui nessuno può sfuggire perché il nero è ormai dentro, intriso nel loro animo.

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