di Roberta Lamonica
‘La vita è sogno, soltanto sogno, il sogno di un sogno”
(E.A.Poe)
Tratto dall’omonimo romanzo di J. Lindsay, nel 1975 Peter Weir gira Picnic ad Hanging Rock e fa conoscere il cinema australiano a tutto il mondo.
Nell’esclusivo collegio femminile Appleyard si festeggia il giorno di S. Valentino con una gita a Hanging Rock. Quattro studentesse, con in testa Miranda e Irma, partiranno per un’escursione alla sommità della roccia. Una tornerà indietro terrorizzata, una verrà ritrovata in stato di shock due giorni dopo e altre due, insieme all’insegnante che era andata anch’ella in esplorazione sulla roccia, non faranno più ritorno.
L’Australia dell’Outback e degli aborigeni, quella dei tanti documentari che catturano l’immaginario collettivo per l’esotismo e l’idea di Altrove che portano in sé è quasi completamente assente da questo capolavoro di Peter Weir e manifesto paradigmatico della sua idea di cinema.
Weir è interessato a rappresentare lo scontro inevitabile tra la popolazione australiana di origine britannica e il mondo naturale, che qui prende la forma di una roccia immutabile e magnetica e che risulta inesplorabile nonostante le conoscenze scientifiche sembrino poterne svelare i più oscuri segreti. E paradossalmente il regista australiano sceglie di rappresentare il lato selvaggio, istintuale, naturale – convenzionalmente associato a gruppi etnici autoctoni – proprio in un gruppo di raffinate e colte signorine bianche di estrazione borghese.
Nelle movenze molli e lente delle ragazze che sembrano levitare, sospese nello spazio e nel tempo, si ravvisa un elemento erotico tanto più ‘carico’ quanto più il regista lo soffonde di onirismo. L’incoscienza vera o presunta del risveglio, l’idea di amore saffico implicita in più di un rapporto di amicizia, gli abiti che vengono lasciati a brandelli sui rami, il loro essere leggeri e avvolgenti, le calze sfilate in modo malizioso, i corsetti che inspiegabilmente non sono dove dovrebbero essere, rivendicano in modo prepotente il ruolo fondamentale del femminile come principio vitale e forza generatrice.
L’Inghilterra vittoriana, la sua ‘decency’, il ruolo marginale e accessorio della donna in una società in cui l’elemento maschile deve dominare su quello femminile visto come caos e portatore di scompiglio, vengono espressamente criticati attraverso i suoi elementi più rappresentativi: la direttrice, la polizia, le famiglie delle studentesse.
Il compromesso tra gruppi sociali differenti, rappresentato da Michael e Albert, sarà reso possibile solo dal ruolo centrale assunto dall’elemento femminile, appunto.
Miranda è emblema di questo recuperato ruolo centrale della donna ed emblematica è la risposta che ‘l’angelo di Botticelli’, come la definisce la sua insegnante di francese, dà sul perché non indossi il suo orologio di diamanti, simbolo della sua appartenenza al ‘gruppo sociale’ di riferimento: ‘Non lo porto più. Ne detesto il tic tac sopra al cuore’. E, non a caso, poco prima della scomparsa delle ragazze, gli orologi di Miss Mc Craw e del custode si fermeranno inspiegabilmente. Il cuore e l’orologio, simbolo di progresso e di organizzazione secondo i ritmi della civiltà occidentale, non possono coesistere; uno dei due deve avere il sopravvento sull’altro.
Miranda obbedisce a un richiamo antico e si incammina insieme alle tre compagne verso il suo destino, ascoltando il battito del suo cuore, il richiamo del suo istinto pre-razionale. La stessa professoressa Mc Graw, insegnante di matematica che sparirà con le ragazze, diventa una sorta di ierofante pitagorica, sacerdotessa la cui saggezza matematica è espressione non di una razionalità umana, ma della conoscenza delle leggi che regolano il cosmo. “C’è un tempo e un luogo giusto perché qualsiasi cosa abbia principio e fine”.
Miranda e la sua bellezza evanescente ed enigmatica vengono esaltate dalla fotografia di Russell Boyd, fatta di immagini soffuse, che creano un’atmosfera rarefatta e suggestiva e dalla colonna sonora potente ed evocativa di Bruce Smeaton. Il tema ricorrente del flauto di Pan ricorda allo spettatore che Miranda è uno spirito silvano, ninfa mitologica associata al femminino sacro espressione dello sconosciuto, del mistero della natura selvaggia e detentore dei segreti della vita. Il compositore rumeno Gheorghe Zamfir in Picnic con la qualità delicata, eterea e intensamente minacciosa della musica, evidenzia la natura misteriosa e antica della formazione rocciosa e il potere seducente che ha su coloro che entrano in contatto con essa.
I giovani Albert e Michael la vedranno muoversi leggiadra tra gli alberi nel bosco al ralenti, con un’andatura distratta e sospesa, vicino a un torrente, proprio come una divinità dei boschi.
Nel 1853 Il pittore francese Charles François Jalabert dipingeva il quadro ‘Ninfe che ascoltano Orfeo che canta’. Osservando questo dipinto non si può non trovare delle somiglianze con certe scene del film di Peter Weir. Un po’ fata, un po’ strega, sicuramente musa di ispirazione preraffaellita, Miranda si ricongiunge al suo elemento naturale e, in combinazione con l’energia e le forze della terra, al ‘serpente velenoso’, cosi spesso menzionato durante la gita e anticamente considerato come entità positiva associata alla vita stessa.
Si recita Shakespeare in ‘Picnic ad Hanging Rock’, si parla di sogni e la protagonista si chiama Miranda.
“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta).
Ecco, Miranda e le altre tre donne scomparse scelgono di finire la loro breve vita terrena attraversando la fenditura che le ‘inizia’ a una dimensione ontologica altra, misterica, trascendente. Chi non abbandona la dimensione fisica, corporea dell’esistenza non può attraversare la fenditura e ne è rigettato violentemente, come accade a Edith, Albert, Mike, Irma e, in modo decisamente più definitivo, a Miss Appleyard.
Pervaso da un’atmosfera languida e piena di afoso torpore, quasi resa tangibile dall’ipnotica, disturbante colonna sonora, il mistero di Hanging Rock rimane irrisolto e fa assurgere il film di Weir all’Olimpo di quei capolavori senza tempo che indulgono nell’incerto reame che si trova tra sogno e realtà, “un sogno dentro a un sogno”, come recita la poesia di Edgar Allan Poe, citata dalla divina Miranda.
Rieccomi! Hai visto anche altri film di Peter Weir?
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Sì😊. Diversi altri
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Il testimone, l’attimo fuggente, Green Card, The Truman Show, Master &Commander
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E quale ti è piaciuto di più?
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Bah… posso dirti quello che mi è piaciuto meno: Master & Comnander… ma per la storia che non è nelle mie corde.
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Questo film invece ti piacerebbe moltissimo, ne sono certo: https://wwayne.wordpress.com/2019/04/06/combattere-per-un-ideale/. Grazie per la risposta! 🙂
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L’ho vistooo!!! Bellissimo! Trovo il tuo blog molto molto elegante 🤩
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Anch’io ti stimo molto come blogger, e infatti sono da tempo un tuo regolare lettore, commentatore e follower. Inoltre, oggi ti ho riempito di likes a tutto spiano, e te li sei proprio meritati! 🙂 Spero di risentirti presto, sul mio blog o sul tuo! 🙂
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You made my day! A presto😘
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