Auguri Ken! – Il regista socialista del neorealismo britannico

di Mauro Valentini

Una vita dedicata alla narrazione delle tante, troppe storie di ingiustizia sociale e sempre con uno sguardo obiettivo. Una macchina da presa che scruta l’anima dei suoi protagonisti e ne restituisce più che le azioni le paure, le speranze e l’orgoglio degli ultimi della società. Questo è stato ed è Ken Loach, regista britannico che compie proprio in questi giorni 83 anni.

Fin dagli inizi della sua carriera, che passa prima dalla televisione per di approdare al cinema, inventa quello che verrà chiamato docu-drama stile narrativo che avrà poi moltissimi esempi nel mondo, ed è proprio il racconto nella fiction della realtà il suo punto di vista artistico, linea visiva e visionaria che lo accompagnerà dal primo film: Poor Cow del 1967 all’ultimo: Sorry, We missed you presentato a Cannes 2019.

E come nei primi, anche in questo ultimo film, i personaggi sono sempre persone comuni, che inciampano nelle disgrazie sociali e lavorative, ossessionate da un unico scopo che non è mai quello economico, ma che riguarda una sfera più alta: quella della dignità.

«Quando ero giovane la vita era fatta di tappe, dopo lo studio si cercava un lavoro, poi si metteva su famiglia. Oggi purtroppo, non è più così, è subentrata l’insicurezza, i contratti sono sempre più precari, le persone devono lottare per sopravvivere

Ed è proprio questa sorta di neo-neorealismo all’inglese (che tanto ricorda nei temi il nostro famoso e neorealismo all’italiana figlio del dopoguerra) a farne un autore riconoscibile e riconosciuto. Per Ken Loach, siamo da decenni in un nuovo dopoguerra, una guerra economica meno riconoscibile e perciò più pericolosa.

E questa “guerra” diventa il racconto narrativo del regista, dal suo primo successo internazionale, che fu Riff Raff del 1991, dove narrò con semplicità e comica schiettezza la perdita di tanti posti di lavoro e un nuovo e diffuso precariato spietato negli anni della“new economy” formato Tatcher. Da lì in poi sarà un crescendo di storie che in un certo senso guarderanno sempre allo stesso tema ma da prospettive diverse. Difficile citare i suoi film tra i tanti, chi scrive però ne ha almeno tre nel cuore: My name in Joe del 1998, storia di un allenatore di calcio che cerca di salvare dalla strada e dalla droga i ragazzini dei sobborghi di Glasgow; poi lo scanzonato Il mio amico Eric, commedia amara con Eric Cantona nella parte di se stesso, presenza oscura e rassicurante come il Bogart di Woody Allen in Provaci ancora Sam e poi La parte degli Angeli, anch’esso ambientato in Scozia, dove un esperto di Whisky che lavora per i servizi sociali cerca una disperata e comica via per recuperare ragazzi sbandati, dandogli una chance proprio attraverso la conoscenza. Un film, questo, che ha vinseanche il premio speciale della Giuria proprio al Festival di Cannes. 

«I miei sono solo dei film. Non faccio politica. Tutto quello che voglio quando scrivo una sceneggiatura è che gli spettatori escano dal cinema ponendosi alcune domande, in preda a un senso di rabbia che potrebbe guidarli a condividere il problema.»

E il vecchio Ken ci è sempre riuscito. E speriamo abbia ancora voglia di farlo.

Auguri Maestro.

 

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