Les Mépris, di Jean-Luc Godard (1963)

di Roberta Lamonica.

Les Mépris (1963), di Jean-Luc Godard. Tratto dal romanzo ‘Il Disprezzo’ di Alberto Moravia. Con Michel Piccoli, Brigitte Bardot, Fritz Lang (nella parte di se stesso), Jack Palance, Giorgia Moll. Musica di Georges Delerue.

Nella versione originale di ‘Les Mépris’ si possono sentire i più originali titoli di testa della storia del cinema moderno: la voce di Godard stesso che presenta il film accompagnata dagli archi del motivo di Delerue. Un carrello e un primo piano su un operatore e sulla lente della mdp. È cinema: una lente che ci guarda, guarda lo spettatore e guarda l’intimità multicolore di Paul e Camille. Camilla è nuda, di spalle, in penombra… bellissima. Il nostro occhio indugia voyeuristicamente su quel corpo che Paul ama ‘totalmente, teneramente, tragicamente’.

Paul e sua moglie Camille (B.Bardot) sono francesi ma temporaneamente abitano in Italia dove Paul sta lavorando come sceneggiatore a un film sull’Odissea diretto da Fritz Lang e prodotto da un ricco americano, Mr Prokosch. Prokosch vuole che il film sia un prodotto di successo, sceglie il grande regista tedesco perché tedesco è colui che ha scoperto Troia e legge citazioni su libriccini tascabili. Quando sente parlare di cultura stacca un assegno e la sua testosteronica presenza riempie lo schermo, lo domina e lo pretende. Paul sacrificherà sull’altare del successo ciò che ha di più bello in un gioco sottile e ambiguo, rivelatore della sua aridità e come uomo e come artista.

Nell’abbacinante calura dell’estate italiana, Paul si aggira confuso e disorientato. Il bisogno del rispetto del rigore classico dell’opera omerica lo fa sprofondare in una crisi che (s)travolgerà tutta la sua vita e da cui prenderà il via una serie di riflessioni sul valore della ‘inviolabilità’ dell’opera d’arte.

Paul (M. Piccoli) è figura centrale nell’analisi critica del film.

Intellettuale autocompiaciuto e integralista, si può identificare con l’eroe viandante, perso in terre non sue, costretto a decifrare idiomi non suoi, scisso fra il nostos e la spinta verso la conoscenza dell’ignoto. E nel fare ciò diventa straniero, alieno.

Uno del temi principali del film è certamente quello dell’ospitalità dello straniero, centrale anche nel poema omerico. Alcinoo, Nausicaa, Circe: tutti a vario titolo accolgono lo straniero con tutti gli onori nel poema omerico. Far varcare la soglia diventa simbolo di apertura e accoglienza; di predisposizione alla comunicazione. Anche nel film di Godard le soglie si varcano ma l’ospite viene lasciato fuori, la sua alterità negata e rifiutata. E i protagonisti de ‘Les Mépris’ sono travolti a vario titolo da quell’incomunicabilità che è conseguenza del ‘rifiuto’ dello straniero e cifra espressiva del mondo moderno e del film.

Si è a lungo parlato della mutilazione del film a opera della produzione che, tra l’altro, ha effettuato un’operazione di doppiaggio che azzera le intenzioni comunicative di Godard.

La gravità dei tagli operati a ‘Les Mépris’ da Carlo Ponti è ravvisabile soprattutto nella perdita che il doppiaggio causa alla trasmissione del senso di straniamento di quel personaggio-cardine che è Paul.

La versione originale del film è caratterizzata dallo switch fra italiano, francese, tedesco e inglese che Francesca Vannini (Georgia Moll) prontamente decodifica e traduce. È in questo modo che si ha la sensazione del Viaggio e dell’Altrove anche all’interno degli studi di Cinecittà decadenti e in disfacimento. La perdita del fulgore mimetico dei teatri di posa, porta con sé nuova verosimiglianza grazie a questa piccola Babele che necessita di un medium linguistico di cui Francesca diventa sacerdotessa.

Ma altro tema fondamentale del film è ila crisi del rapporto coniugale tra Ulisse/ Paul e Penelope/Camille.

Le difficoltà relazionali tra Paul e Camille sono la riproposizione nella sfera intima delle difficoltà che l’artista ha a comunicare con il proprio pubblico e di quelle che l’Uomo ha a trovare un proprio posto nel mondo moderno. Paul ha bisogno di tornare a Itaca (Camille/l’Arte) ma al tempo stesso è affascinato dall’idea di vedere i nuovi orizzonti (l’industria cinematografica/il successo commerciale) a cui lui aspira e che brama.

Ma Camille (Itaca/Penelope) è priva di sovrastrutture legate a una visione del mondo classica e intellettuale. È onesta: è terra e concretezza. È per questo che volta le spalle al suo matrimonio. La lunga sequenza nell’appartamento vede lei e Paul separati, occupare un ambiente che sembra claustrofobico, seppur ancora in costruzione, dato che ognuno è già estraneo e straniato rispetto alla vita in comune. Le voci rimbombano nell’appartamento semi vuoto ma la richiesta di ascolto da parte di Camille è continua. La presenza centrale della statua in quell’appartamento così ‘impersonale’ rimanda alla presenza decorativa di Camille, al suo ruolo subalterno e al suo non riconoscimento (altro tema centrale nell’Odissea).

Non sfugge la critica sottile a Carlo Ponti che aveva insistito per scene di nudo della Bardot che potessero attirare un pubblico più ampio e popolare.

A creare ulteriore stridore con questo vuoto etico e comunicativo è l’uso vitale e sfacciato del colore. La scelta del Cinemascope si rivela felice per esaltare la tragica bellezza di colori che non portano significato ma lo costruiscono di volta in volta.

Puri i colori degli interni, i rossi, i gialli, i verdi che tanto ricordano i colori assoluti del Mediterraneo assolato, di Capri, di Villa Malaparte. Sono i colori pieni (anche su quelli Ponti intervenne) colori così affondati nella cultura e iconografia mediterranea e insieme così moderni, che rimandano a certa pittura contemporanea come quella di Rothko che coglie l’alchimia magica di colori che lascia puri per non soffocare la possibile espansione del loro significato.

‘Les Mépris’ è il più psicologico dei film di Godard, ed è quello narrativamente più lineare. Ma nel film, alla storia del fallimento dell’amore tra Paul e Camille si sovrappone la storia del ‘making of’ di un film, un’ amara riflessione etica ed estetica sul cinema e infine un ‘documentario’ su F. Lang, imperturbabile rappresentante della cultura classica cui Paul aspira, disincantato osservatore dei cambiamenti dei tempi e venerato come Padre dai giovani cineasti contemporanei.

In definitiva, questo film è in prima istanza un grande omaggio alla bellezza della settima arte, di cui B.B. è icona meravigliosa. Le sceneggiature sono oggetto di continui rimaneggiamenti, i personaggi possono cambiare, lasciarsi, persino morire, ma il Cinema è lì eterno, come le statue classiche che ruotano sullo sfondo azzurro a ribadire la loro immutabilità e come dimostra l’ultima splendida inquadratura sull’immensità del mare.

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