di A. C.
Per la prima volta Moretti abbandona l’alter ego di Michele Apicella, e pone totalmente sé stesso, volto e nome, in una pellicola di carattere autobiografico e con le fattezze di un documentario. ‘Caro diario’ doveva essere un cortometraggio, in realtà, sulla passione di Moretti per le sue uscite in Vespa a Roma, ma la leggerezza e l ‘irresponsabilità’ del materiale girato-nelle parole dello stesso regista- lo hanno spinto a scrivere tutto il resto del film.
Il film si divide in tre episodi: un giro panoramico in vespa per i quartieri di Roma, un viaggio di evasione alle isole Eolie con l’amico Gerardo (Renato Carpentieri) e la sua vera odissea personale tra disparate ed imprecise consulenze mediche, iniziata con un prurito e terminata con la diagnosi di un linfoma (tutto attestato dall’esposizione in scena delle vere ricette mediche a lui prescritte).
Lo stesso Moretti ha dichiarato che tutto il film avrebbe potuto intitolarsi come il secondo capitolo: Isole. Isole sono i quartieri di Roma, con le diverse tipologie umane che in essi vivono; isole sono le Eolie, ognuna gelosa della propria diversità e specificità; isole, infine, sono i medici, ognuno rinchiuso nella certezza della propria specializzazione.
I tre episodi sono rigorosamente accompagnati dalle riflessioni proprie del regista, scritte su diario, riguardo diverse tematiche sociali: critica cinematografica, stereotipi cittadini, malasanità e l’alienazione culturale per via della televisione.
Considerabile come un vero e proprio “Zibaldone” morettiano, il film resta tuttora una delle maggiori opere del regista. Pur certamente autoreferenziale, come nella prassi di Moretti, la pellicola non scade nel fastidioso solipsismo e offre uno sguardo critico ma al tempo stesso sottile su argomenti di un certo peso.
La descrizione della malattia, ad esempio, ha un tono semplice, frutto della raccolta di ricette e diagnosi sbagliate fatte nell’anno in cui Moretti ha dovuto combattere con un tumore. È un invito a non avere soggezione dei medici, a non aver paura di rivendicare il proprio ruolo centrale come paziente in una malattia e a ‘non inventarsi niente’ perché il materiale per descrivere efficacemente certi eventi della vita è tutto lì, nelle esperienze individuali e nel ricordo di dettagli e parole.
Scene memorabili come quella della tappa a Ostia in ricordo di Pasolini o i camei di Carlo Mazzacurati e Jennifer Beals, ormai impresse nell’immaginario collettivo del pubblico italiano.
Calzante la chiusura canora con “Inevitabilmente”, cantata da Fiorella Mannoia.
Tra i risultati più virtuosi del cinema morettiano, e certamente della produzione italiana del periodo.
Grazie!
"Mi piace""Mi piace"