‘Eva contro Eva’ (1950), di Joseph L. Mankiewicz

di Roberta Lamonica

 

“Allacciate le cinture! C’è aria di burrasca!”

(Margo Channing)

‘Eva contro Eva’ è un film del 1950, diretto da J. L. Mankiewicz, cineasta colto e raffinato -come si evince anche dalla sceneggiatura estremamente curata ed elegante- fratello del celebratissimo H. Mankiewicz, co-sceneggiatore, fra l’altro, di ‘Citizen Kane’, di O. Welles.

Ispirato al racconto ‘The wisdom of Eve’, di Mary Orr, il film fu candidato a 14 premi Oscar (record eguagliato solo da ‘Titanic’ nel 1998 e ‘La La Land’ nel 2016) e ne vinse 6, tra cui miglior film, miglior sceneggiatura e miglior regia. L’eccellente prova di tutto il cast, dalla divina Bette Davis alla strepitosa Thelma Ritter (seppur liquidata troppo presto,  ed è un peccato considerata pure la caratura del personaggio da lei interpretato ), la brillante sceneggiatura, dal ritmo sempre sostenuto e con battute ormai entrate nella storia del cinema, oltre la caratterizzazione accuratissima dei personaggi, fanno di questa pellicola un appuntamento irrinunciabile per ogni amante della settima arte.

Eva contro Eva racconta l’ascesa all’Olimpo dello showbiz americano della giovanissima Eva Harrington (A. Baxter) che, da fan adorante della divina Margo Channing (B. Davis), arriva ad essere stella incontrastata di una nuova generazione di attrici, disposte a tutto pur di ottenere il successo a Broadway, ma con lo sguardo volto a Hollywood, vero movente di un’ambizione tanto sfrenata. La vicenda si sviluppa a ritroso nel tempo, e si muovono le prime carte a giochi ormai ultimati, quando Eva riceve un ambitissimo premio per i suoi successi teatrali di fronte a una platea plaudente nella quale si distingue una piccola compagine che resta, invece, seduta a un tavolino, palesemente indifferente. Il voice over di Addison DeWitt (G. Sanders, unico del cast ad aggiudicarsi l’Oscar per la miglior interpretazione), critico teatrale, cinico e senza scrupoli, introduce il flashback del racconto di ciò che ha portato Eva al successo e che coinvolge, guarda caso, proprio le persone sedute a quel tavolo, di cui egli stesso fa parte.

Una storia semplice, un tema archetipico. Quasi una fiaba. Eva/Cenerentola, con fare sottomesso e implorante,  avvolta da un  impermeabile liso e con in testa un cappellino ridicolo, entra nelle grazie di Karen Richards, fata madrina, moglie di Lloyd, rampante commediografo di successo a Broadway. Karen avvia l’incantesimo e la presenta alla Regina, Margo Channing, che resta folgorata dal candore e dall’innocenza della giovane ammiratrice. Ma non sfugge allo spettatore l’entrata in scena di questa Cenerentola che esce dal buio, lentamente, sinistramente spettrale, al modo di Grimilde, la strega di Biancaneve.

La supposta Grimilde della storia ha, tuttavia, le fattezze di Margo Channing che con le labbra sottili, gli occhi fuori dalle orbite, il naso affilato e le sopracciglia disegnate, completamente avvolta, come sempre del resto, dal fumo di una sigaretta, col viso impiastricciato da una densa crema antirughe, sta infatti chiedendo allo specchio, inalberandosi per un’imperfezione del viso che prima non c’era, chi sia la più bella del reame, proprio nell’istante in cui irrompe nel camerino la fresca ed abbagliante Eva, sua antitesi e contraltare anche estetico. Il twist per lo spettatore si attua, però, quando si scopre che Grimilde/Margo è il personaggio positivo, mentre la giovane e ingenua Biancaneve/Cenerentola/Eva, con il suo volto dolce, candido ed innocente, è una iena senza scrupoli, incapace di provare alcun sentimento di affetto e riconoscenza.

Bette Davis, qui nel ruolo della vita, grazie all’impareggiabile interpretazione, assurge ad emblema cinematografico stesso del declino di una diva, come, parimenti, lo è la grande Gloria Swanson nel capolavoro coevo di Billy Wilder, ‘Viale del Tramonto’, trattante, mutatis mutandis, le medesime tematiche: qui l’attrice accusa al punto il passaggio dal cinema muto al sonoro da precipitare negli abissi della follia; Mankiewicz, invece, sprovvisto della crudeltà e della ferocia cinica di Wilder, permette alla sua diva, travolta dall’avanzata del cinema hollywoodiano sul teatro e i suoi protagonisti, di rifugiarsi in una confortante e consolatoria condizione di accettazione del ruolo di moglie amata dal suo principe azzurro Bill Sampson, giovane e integro regista teatrale (G. Merrill, per 10 anni marito della Davis anche nella vita reale).

Ed è su questo che il flashback lascia il posto al presente della narrazione in cui una Eva, stanca e irritata come la ‘vecchia’ diva che ha scalzato, torna nel suo appartamento dove sorprende una giovane ammiratrice, Pheobe, che mette in atto le stesse dinamiche comportamentali di Eva nei confronti di Margo solo un anno prima. Addison, amante e ‘padrone’ di Eva anche, in virtù del suo potere di vita e di morte sul successo di un’attrice, riconosce in lei l’inizio di un nuovo ciclo mentre la giovane opportunista e calcolatrice si specchia e la sua immagine viene riflessa all’infinito. La nascita di una nuova stella, forse…

Solo tre anni prima ne ‘La Signora di Shangai’, un’altra approfittatrice senza scrupoli, Elsa Darringer muore.

Entrambe prima dei titoli di coda, avvolte dalla loro immagine riflessa nello specchio all’infinito. Plausibile – dato anche l’artificio narrativo del flashback e delle voci fuori campo che garantiscono la pluralità dei punti di vista- pensare che Mankiewicz abbia attinto con garbo e intelligenza e abbia voluto omaggiare il grande Orson Welles anche con questa scena finale.

Ma Eva contro Eva è anche riflessione meta teatrale sui diversi mestieri del teatro e la loro difficile convivenza, la distinzione dei ruoli: chi scrive, chi dirige, chi recita e, soprattutto chi produce. Interessante il personaggio del produttore incompetente e bonario, Max Fabian, che durante la cena a casa di Margo viene intrattenuto da una svampita starlette, presentata dal sempre perfido e ignobile Addison DeWitt, una Marylin Monroe che, pur se in poche scene, riesce a catalizzare l’attenzione e ad attrarre su di sé lo sguardo dello spettatore in maniera quasi ipnotica. Profetico si rivelerà ciò che, nel film, le viene risposto ad una sua banale battuta…

Film, questo, che è anche una critica, seppur mai gridata e mai eccessivamente problematizzata, a un sistema, quello hollywoodiano, incapace di lasciare spazio ad artisti provenienti da altre esperienze e ambiti e che si nutre e vive di inciuci, commistioni, falsità e si appoggia in modo esagerato sull’approvazione della stampa, qui rappresentata egregiamente dal critico DeWitt, capace con la sua penna di affossare un’artista ed esaltarne un’altra.

Superlativa, come già scritto (ma vale la pena di ribadirlo), l’interpretazione di B. Davis, perfetta nel rendere con naturalezza ed efficacia le bizze della diva e, al contempo, le fragilità della donna, il tormento della gelosia e l’intelligente rassegnazione rispetto al cambiamento dei tempi e dei gusti. Complessa e multisfaccettata anche la prova di A.Baxter che, pur risultando inautentica fin da subito, riesce in un escalation di crudeltà e cieco arrivismo così credibili da valerle la nomination all’Oscar come miglior attrice protagonista. Anche la Davis venne nominata, come pure Gloria Swanson per ‘Sunset Boulevard’, ma l’Academy preferì premiare l’interpretazione più lirica e pacificante di Judy Holliday per ‘Nata Ieri’.

La recitazione sfrontata e sempre naturale, lo sguardo fiero e superbo, l’arte e il fuoco cuciti addosso come una seconda pelle di B. Davis richiamano alla mente le parole che Martin Jurow dedicò ad Anna Magnani: “ … vi dirò ch’ella è una grande personalità artistica dei nostri giorni: l’unico paragone che potrei stabilire è quello con Bette Davis”.

La rivalità e l’antagonismo tra Margo ed Eva sullo schermo (ma anche tra Bette e Joan Crawford nella realtà) ci riporta all’antagonismo tra due dive nostrane: Giulietta Masina e Anna Magnani. Le due attrici girarono insieme il film ‘Nella città, l’inferno’, per la regia di Renato Castellani.  La Masina racconta: “Mentre giravamo, L’Europeo pubblicò un articolo intitolato ‘Magnani e Masina sul set, la vecchia e la nuova generazione insieme’. Apriti cielo! Successe il finimondo. Anna s’infuriò come una belva. Mi accusava di aver ispirato quell’articolo. Non mi rivolgeva più la parola. Il set divenne un inferno». Tredici anni separavano anagraficamente le due attrici, troppi per Anna Magnani che sembrava molto sensibile alla questione dell’‘età’.

Due anni dopo l’uscita de ‘Nella città l’inferno’, Anna Magnani rifiutò di interpretare ‘La ciociara’ (Vittorio De Sica, 1960) per non dovere recitare il ruolo della madre di Sofia Loren (a cui in origine sarebbe spettato il ruolo di Rosetta), ribadendo ancora una volta di non essere intenzionata a cedere il testimone alla nuova generazione.

Bette-Joan, Anna-Giulietta, Eva-Margo, Biancaneve-Grimilde, Alma- Elisabet, Sarah – Abigail. Il mondo del cinema è pieno di coppie di antagoniste che si muovono sul filo sottile dello scarto tra finzione e realtà. Maschere di cinismo, arrivismo, invidie, gelosie, ripicche e orrende manipolazioni che permeano ambienti e situazioni e che non sono molto dissimili da ciò che la vita ci presenta costantemente.

Ecco perché ci sentiamo molto più vicini, e partecipi, alla caduta dei personaggi ‘Grandi’, tramontati loro malgrado,  apprezzandone la coerenza e l’intelligente consapevolezza di quanto hanno dato e che non potrà, purtroppo, essere di nuovo elargito, rispetto alla mediocrità, anche di successo, che dilaga nei tempi odierni e che tende a rendere marcescente tutto ciò che tocca.

credits: ringrazio per la preziosa collaborazione Davide Pagliari.

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