di Girolamo Di Noto
1998, Nalchik, capitale della Repubblica autonoma della Kabardino-Balkaria, Russia.
La vita di una famiglia di origini ebraiche viene sconvolta dal rapimento del secondogenito David e della fidanzata Léja. La famiglia non ha i soldi necessari per pagare il riscatto. I genitori, d’accordo con il resto della comunità ebraica, invece di recarsi alla polizia, cercano in qualche modo di procurarsi il denaro. I soldi raccolti bastano a soddisfare metà della richiesta. La soluzione sembrerebbe venire dal matrimonio d’interesse imposto alla sorella maggiore di David, la ventiquattrenne Ilana con il figlio di una ricca famiglia del posto, ma la ragazza, ribelle e assetata di vita, caparbia a non lasciarsi imprigionare dentro le regole ferree di una comunità chiusa, si rifiuta di accettare.
Presentato a Cannes nel 2017, nella sezione Un certain regard, dove ha ottenuto il premio della critica, il film è uno degli esordi più preziosi degli ultimi anni. Il ventiseienne Balagóv, autore anche della sceneggiatura e del montaggio, allievo della scuola di cinema fondata da Sokurov, si è subito imposto con una sorprendente maturità stilistica, con un realismo che a tratti ricorda i fratelli Dardenne e il rumeno Mungiu, raccontando una storia privata, complicata, piena di tensione inserita in un contesto storico alquanto delicato.
Siamo nel 1998, l’anno prima dello scoppio della seconda guerra cecena (la prima era finita nel 1996), la guerra non è poi così distante da queste comunità chiuse, quella kabardina, musulmana, in maggioranza e quella ebraica, in minoranza, in perenne stato d’allerta, in cui cominciano a covare atti di intolleranza e la convivenza appare forzata.
In questa terra di confine, in questo mondo chiuso e isolato emerge prorompente lo spirito libero di Ilana che cerca di liberarsi dalle etichette della sua comunità e che ha l’attitudine ribelle anche nel vestire: lavora come meccanico insieme al padre, indossa una salopette di jeans, un maglione consumato, un cappello messo alla rovescia; difende la sua libertà, lei ebrea ortodossa innamorata di un cabardo e per questo è in conflitto con la madre, donna rigida, intransigente che non accetta la sua storia con il ragazzo musulmano sottolineando che lui “non è della nostra tribù”.
Tesnotá in russo vuol dire ristrettezza, strettoia e anche il titolo internazionale Closeness è un termine polisemico che rimanda all’idea di vicinanza, ma anche alla costrizione derivante da un rapporto troppo soffocante e iper protettivo. La protagonista (interpretata da una superlativa e sorprendente Darya Zhovnar, al debutto come attrice), si trova a vivere in una condizione di ristrettezza opprimente che tronca gli slanci della sua età giovane. Refrattaria ai vincoli familiari, la ragazza opporrà la sua indipendenza agli steccati della tradizione eretti dalla mamma e anche quando sceglierà di sacrificarsi lo farà di testa sua concedendosi solo per conservare la sua libertà.
Il regista sa alternare momenti frenetici (la tensione dovuta al rapimento, i rapporti conflittuali tra madre e figlia) a situazioni contemplative (silenzi, attese, primi piani) e la sua straordinaria abilità si nota nel modo in cui riesce a documentare la dolorosa umanità dei suoi personaggi e come è capace a saper filmare l’intimità attraverso soprattutto gli abbracci, vero leitmotiv del film. Abbracci tra Ilana e il fratello che testimoniano un rapporto sincero, di complicità, di contatto rassicurante con il padre, con il quale ha un rapporto più tenero e comprensivo, abbracci che diventano morse da cui è impossibile o quasi districarsi, quelli con la mamma, filmati con un’intensità dolorosa da lasciare spiazzati.
Balagóv, attraverso questo dramma familiare, privato riesce anche a raccontare le questioni fondamentali di oggi (intolleranza, terrorismo, guerra), ma lo fa con inserti brevi ma efficaci: l’unico momento in cui esplicitamente si fa riferimento alla guerra cecena è un pugno allo stomaco: quando mostra un video in cui i guerriglieri ceceni tagliano la gola ad alcuni prigionieri russi. Inserisce nel film immagini di repertorio sul conflitto ceceno, ma non va oltre; così come non viene seguito il dramma di David: il giallo del rapimento è appena accennato.
A lui interessano le dinamiche che seguono al rapimento, le conseguenze sulla comunità e sull’ individuo. E così veniamo a scoprire che la comunità ebraica è talmente isolata da evitare ogni contatto con la polizia, che è formata da persone che si affidano alla Torah ma che poi sono poco disposti alla proposta del rabbino di partecipare ad una colletta, o c’è chi si approfitta della situazione per speculare sul dolore degli altri. Ma è la ragazza il vero cuore pulsante della storia: dalla sua scelta dipenderà il destino del fratello, dalla sua caparbia voglia di vivere… la sua crescita.
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