- di Andrea Lilli –
Sicuramente Ken Loach non crede a Babbo Natale, quel fattorino allegrone che guidando la slitta porta pacchi in tutte le case, infaticabile, puntuale e sorridente.
E nemmeno crede al buon Angelo Custode, che senza troppo sforzo appare al momento giusto e assiste a domicilio le persone in difficoltà rimaste sole: malati, anziani, disabili, poveri.
Figlio di operai, Ken Loach da più di cinquant’anni fa film straordinariamente empatici sul mondo del lavoro, tenendo in gran conto l’etica e la dignità di ogni tipo di lavoratore. I suoi film, messi insieme, compongono una grande storia sociale che denuncia, indigna e commuove senza piagnistei. Ma di babbi natale e angeli custodi non si è mai occupato: non ci crede, oppure gli sembra appartengano ad una categoria privilegiata che non ha proprio bisogno di lui. Posto fisso, straordinari riconosciuti, festività retribuite eccetera… Santa Claus e serafini vari non temono il futuro, possono chiedere un mutuo, programmare weekend e vacanze coi familiari, e ogni giorno prima di cena trovano sempre un po’ di tempo libero. Stanno bene come stanno. Magari sono pure conservatori e votano Boris Johnson.
Il contrario della maggior parte dei fattorini e delle badanti normali, di persone come Ricky e Abby Turner, di Newcastle, Inghilterra. I protagonisti di questo film. Vittime di un sistema economico di prestazione dei servizi incontrollato, schiavi di fatto come ce ne sono in tutto il mondo, in ogni città del pianeta in cui arrivi la disciplina spietata di una multinazionale globale, Amazon, per esempio, che in nome del massimo profitto distrugga le economie locali. Uomini e donne che non lavorano per vivere: vivono per lavorare. Sono questi, i soggetti di Ken Loach. Coloro per cui vale la pena di girare all’età di 83 anni un’altra storia, una nuova denuncia, seguente e complementare a quella di Io, Daniel Blake – Palma d’oro a Cannes 2016.
Ricky si mette dunque a fare il corriere, Abby è assistente domiciliare. Nessuno dei due può permettersi di non lavorare: vogliono accantonare una somma sufficiente a chiedere un mutuo per l’acquisto di una casa. Questo bisogno fondamentale – una casa propria – è il loro sogno. Ma intanto in quella in affitto non ci stanno mai, se non per addormentarsi sfiniti, costretti come sono ad orari e ritmi frenetici. I due figli adolescenti devono cavarsela da soli. Dell’assenza del padre risente di più Seb, il maggiore, che è un ragazzo a rischio, diserta la scuola e in famiglia si chiude alla comunicazione, nei pochi momenti comuni. A sedici anni non capisce perché deve rispettare le regole di una società stressante, che costringe lui ai riti scolastici e i genitori a dannarsi per troppo tempo, senza alcuna sicurezza che tanti sacrifici abbiano esito positivo. Per mettersi alla prova e crescere gli basta sfidare la scuola, il padre, i poliziotti e graffitare le pareti della città esercitando la sua vena artistica.
Liza Jane, la sorellina undicenne, lotta più degli altri contro lo sfaldamento della solidarietà familiare e sembra vedere acutamente il panorama domestico in decadenza. È lei a correre come una staffetta verso il padre, la madre, il fratello, cercando disperatamente di riunirli. È sorprendente come il regista e lo sceneggiatore Paul Laverty siano riusciti a far recitare con spontanea partecipazione emotiva questi due ragazzi, presi al volo dalle scuole di Newcastle.
Ma Ricky è troppo assorbito dal suo obiettivo, dal ruolo autoimposto di padre di famiglia necessario e sufficiente a garantire ai suoi cari un futuro economico migliore, mentre col suo comportamento stakanovista paradossalmente nuoce più di tutti alla famiglia stessa. Nessuno sembra riuscire a frenarlo, a farlo riflettere meglio. Orgoglioso e testardo, prosegue la corsa verso l’autodistruzione programmata da un sistema commerciale tanto più tecnologicamente evoluto, rappresentato dal computer/lettore ottico portatile che porta con sé e che regola ogni dettaglio della consegna delle merci, quanto più disumano.
Sorry we missed you, ovvero Spiacenti per la tua assenza, è la formula convenzionale usata nel biglietto che Ricky lascia nel caso di Destinatario assente, prima di riportare il pacco in deposito.
Sorry we missed you, ovvero Ci dispiace, ci manchi Ricky, vogliono fargli capire Abby, Seb e Liza Jane.
Sorry we missed you, ovvero Dolente se non ci stai, al nostro gioco, ma peggio per te, gli dice Maloney, il capo del deposito di smistamento e distribuzione pacchi, fedele esecutore del lettore ottico, sbirro del nuovo padrone, la variabile indipendente a cui tutti devono obbedire e che rischia di avvelenare la convivenza umana: l’Algoritmo.
In sala dal 2 gennaio