Coffee and Cigarettes (Usa/2003), di Jim Jarmusch

di Girolamo Di Noto

“La vita non ha una trama, perché dovrebbero averla i film?”

Ci sono film che semplicemente rimangono impressi nella mente dello spettatore da subito, lasciano un marchio perenne, un ricordo indelebile: così è per Coffee and Cigarettes, un film che raccoglie undici cortometraggi girati tra il 1986 e il 2003, che presentano in comune (tranne negli episodi 9 e 10 in cui si beve tè) personaggi che si siedono a un tavolino, fumando e bevendo caffè. Il regista è Jim Jarmusch, esponente di rilievo del cinema indipendente americano, una delle personalità più eclettiche nel panorama artistico contemporaneo. Cresciuto nell’Ohio, ma newyorchese d’adozione, Jarmusch è stato regista, sceneggiatore, attore, compositore, produttore, ma soprattutto è, come Kaurismaki, che sembra il regista più affine a lui nell’animo, il cantore degli sradicati di tutti i tempi, vagabondi inquieti, malinconici, anime ammaccate alla ricerca di un’identità, desiderosi di ribadire la loro voglia di essere vivi.

“Preferirei fare un film su un ragazzo che porta in giro il suo cane piuttosto che sull’imperatore della Cina”. In questa affermazione si può concentrare tutta l’essenza poetica, minimalista di Jarmusch. Il suo è un cinema delle piccole cose: attento alle sfumature della vita di tutti i giorni, racconta storie bizzarre, malinconiche. I suoi film non sono tanto interessati alla semplice linearità della narrazione quanto ai suoi personaggi, sempre outsiders rispetto alla normalità, marginali come lo spazio nel quale agiscono.

Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia nel 2003, Coffee and Cigarettes raccoglie spaccati di esistenze, uomini e donne soli, storie di vita in bianco e nero, scampoli di incontri umani e attorno a questa, come direbbe Capossela, “accolita di rancorosi” a scandire il tempo non sono gli orologi, ma il caffè e le sigarette. Tintinnano cucchiaini, si fuma, si sorseggia, si cercano mani amiche, saltan fuori schizzi di pensiero improvvisi e soprattutto si dà vita a dialoghi stralunati, a un succedersi di frasi per passare il tempo, per ingannare l’attesa.

Esemplare e ricco di nonsense il primo episodio, Strange to Meet You con un giovanissimo Roberto Benigni e Steven Wright che intavolano una conversazione senza capo né coda, bevendo una quantità enorme di caffè, parlando di ghiaccioli alla caffeina, del caffè che accelera i sogni e “Non ci ho capito niente Steven, ma sono d’accordo con te”, fino a scambiarsi i posti e addirittura i propri appuntamenti. Impossibile immaginare questo episodio senza questi due attori. Jarmusch non parte mai da una trama, ma i personaggi nascono per primi e attorno ad essi si sviluppano le storie. Personaggi che hanno in comune il fatto di essere amici del regista e tra questi vanno ricordati oltre a Benigni anche lo stralunato Bill Murray e soprattutto i due mostri sacri della musica, Iggy Pop e Tom Waits che sono protagonisti del terzo episodio, Somewhere in California, che vinse la Palma d’oro a Cannes come miglior cortometraggio nel 1993.

In questo episodio i due musicisti danno vita a dialoghi paradossali, dicono tutto e il contrario di tutto e tra silenzi e sguardi di sottecchi, in un ambiente fumoso e raccolto, conversano di cose che apparentemente possono sembrare banali, ma che riflettendo, hanno anche qualcosa di profondo e pensato. Mi viene in mente, ad esempio, la battuta che dice Tom Waits, giustificando il suo ritardo all’appuntamento con Iggy Pop, immaginandosi medico chirurgo coinvolto in una serie di incidenti: “Ho dovuto praticare una tracheotomia con una penna biro… Puoi immaginare… Una faticaccia!”. Ecco, l’accostamento tra musica e medicina non è poi così banale, a pensarci bene, e in un certo senso nella frase si può anche leggere la metafora della creazione artistica che non può avvenire senza che ci sia il dolore. Del resto il verbo incidere ha una doppia valenza: si incidono dischi, si registrano, si incidono corpi, si operano.

I due, come nel teatro di Beckett, dicono battute, “si passano la palla”, dando vita ad una conversazione che assume connotati grotteschi e che si innesta in una malinconia di fondo. Esilarante è anche la riflessione sul vizio del fumo e ‘sull’ultima sigaretta’ di sveviana memoria.

Iggy Pop: “Che pena mi fanno quei coglioni che si affumicano il cervello e i bronchi. Non hanno forza di volontà.”

Tom Waits: “Sempre col ciuccio! Sai cosa? Il bello è che quando si smette è che… è che avendo smesso, posso anche fumarne una. Perché ho smesso.”

E di lì riprendono a fumare contrapponendosi alla generazione degli anni Quaranta, quella di Gianni e Pinotto, in cui la combinazione era torta e caffè.

Anche negli altri episodi si discute di tutto e di nulla: Elvis Presley, filosofia, musica, Tesla, lontane parentele, sberleffi al mito contemporaneo della celebrità. Attraverso inquadrature dall’alto, piani fissi e un ritmo lento si snodano dialoghi stralunati e ironici, frammenti di vita accompagnati da una colonna sonora di tutto rispetto caratterizzata da brani di Tom Waits, Iggy Pop, The Stooges, Funkadelic.

Nelle conversazioni si risolvono tutte le scene: i dialoghi non conducono mai all’azione e hanno continuamente bisogno di trovare un motivo, un pretesto per proseguire. Le frasi dei personaggi sono quelle con cui mediamente si descrive la propria vita, con cui si ammantano di importanza le poche cose insignificanti che riempiono la nostra giornata. Jarmusch pone uno sguardo attento e curioso sulla realtà frammentata dei suoi personaggi, ed è soprattutto dall’incontro che ebbe con il regista Nicholas Ray che apprende che un “lungometraggio è una successione ininterrotta di tante piccole storie”. Ogni scena è un film a sé e il regista, pur scarnificando i mezzi espressivi del cinema riesce comunque a restituirci la vita nella sua pienezza. La sua tendenza è sempre stata quella di muoversi in direzione dell’immobilità, del silenzio, eppure, anche in questo processo di riduzione, Jarmusch è riuscito a darci una delle testimonianze più alte sulla condizione umana e una delle esperienze decisive sulle molteplici possibilità che il cinema può offrire.

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