Io sono Tony Scott, ovvero come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz, di Franco Maresco (Italia, 2010)

di Bruno Ciccaglione

Camuffato da documentario biografico su un grande musicista del passato, il primo film di Franco Maresco dopo la rottura con il suo ex complice Daniele Ciprì, Io sono Tony Scott, ovvero come l’Italia fece fuori il più grande clarinettista del jazz (2010) è in realtà un sofferto “autoritratto trasposto” (come scriverà Bruno Roberti), nel quale il regista palermitano offre un punto di vista sul mondo, che aveva già pervaso le opere del duo Ciprì-Maresco (prima in televisione e poi al cinema) e che svilupperà poi nei film successivi: il disagio di essere una ‘creatura del passato’ in un mondo sempre più oscenamente rappresentato da Bonolis.

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Ciprì e Maresco erano stati i guastatori della televisione (Cinico TV) e del cinema italiano (addirittura si deve alle polemiche sul film Totò che visse due volte l’abolizione della censura preventiva sui film in uscita) e dopo la fine del sodalizio, i percorsi intrapresi dai due hanno meglio chiarito quale fosse il contributo di ciascuno alle controverse opere precedenti. Dopo la fase che facendo il verso alla “tv verità” li aveva resi molto popolari e seguiti, subito prima di Blob ogni sera su Rai3 (1990), con i film Lo zio di Brooklyn e Totò che visse due volte avevano indubbiamente sciolto l’equivoco di una presunta comicità del loro lavoro e mostrato tutta la forza dirompente del loro progetto artistico. Il rigore estetico delle loro immagini – un bianco e nero totalmente costruito, il cielo nero, paesaggi lunari con la Sicilia e le sue periferie urbane a diventare quel che la Monument Valley era stata per John Ford (uno dei miti e dei punti di riferimento dei due registi siciliani) – si sposava con la sovraesposizione con cui veniva mostrata una umanità deforme, che emblematicamente si presenta sia con i tratti arcaici di chi è stato escluso dai processi di sviluppo capitalistico, sia come l’ultima depositaria di una umanità ormai in via di estinzione (con tutto quanto di volgare e sublime l’umanità sa regalare). Chiarissimo, nel cinema di Ciprì e Maresco, l’intento polemico e di contrapposizione violenta all’establishment culturale e politico, l’affermazione della propria alterità all’interno del mondo del cinema.

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Se dopo la rottura Ciprì sceglie dunque di rientrare nei ranghi del cinema “normale”, Maresco preferisce non rinunciare alla irriducibilità del suo cinema ai meccanismi convenzionali dello “spettacolo cinematografico”, faticando a ritagliarsi uno spazio nell’era del digitale, dell’inflazione assoluta delle immagini che le svuota di significato e di durata, affrontando difficoltà produttive che assorbono risorse ed energie necessariamente sottratte al lavoro artistico. Se a questo si unisce la grande conoscenza e l’amore per il jazz di Maresco – Ciprì&Maresco hanno lavorato con Steve Lacy, realizzando con lui anche un film dedicato a Duke Ellington e girato a Palermo (Steve plays Duke), e realizzato vari lavori su Duke Ellington, Louis Armstrong o Miles Davis – si capisce per quale motivo una figura come Tony Scott fosse per il regista enormemente attraente. Tony Scott era di origine siciliana (si chiamava in realtà Anthony Sciacca), aveva suonato il suo clarinetto al fianco di un gigante come Charlie Parker, era stato per anni il principale collaboratore artistico di Billy Holyday, aveva scoperto Bill Evans, dopo i suoi viaggi in oriente aveva “inventato la new age” (con l’album Music for Zen Meditation, 1964). Poi, alla fine degli anni ’60, rimasto tra i pochi sopravvissuti di una generazione di musicisti che avevano avuto successo negli anni precedenti, ebbe la sciagurata idea di trasferirsi in Italia e nel giro di pochi anni, il declino della sua carriera fu assoluto. Per campare finirà costretto a comparsate da Bonolis o in un film di Chiambretti, a suonare in improbabili feste di piazza, a reclamare attenzioni in contesti da dimenticare. Ascesa e caduta di un gigante, insomma, come pretesto per raccontare le grandi trasformazioni del mondo sui due lati dell’oceano e per offrire l’ennesimo graffiante atto di accusa verso la società italiana, la sua sciatteria, il suo cinismo volgare. È fin troppo chiaro che Maresco si riconosce, in questo artista intrattabile, controverso, maniacale, ma capace sempre però fino all’ultimo di grandi lampi creativi, creatura di un altro tempo.

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Maresco ricorda: “Ho conosciuto Tony intervistandolo per un progetto più ampio, un film sui siculo-americani (nel jazz, ndr) cui mi dedicavo da tempo e che è poi naufragato per problemi legati ai finanziamenti e che ci ha costretto a indirizzarci verso progetti più immediati. Poi nel 2007, quando Tony è morto e poco prima che io e Ciprì ci separassimo, ho pensato di tornare su quei materiali e sull’intervista fatta per quel film, e solo in quel momento è partito tutto”. Percorrendo tutta la sua carriera tra interviste, materiali di repertorio e materiali originali, Maresco pur mostrando anche il lato oscuro della personalità dell’artista che racconta, riesce forse a restituire una dignità postuma a quell’uomo anziano preso in giro senza ritegno da Bonolis e considerato un millantatore da Chiambretti, attraverso un documentario che i cultori del jazz non esitano a considerare tra i più belli su questa musica. A consentire questo esito è il fatto che Maresco, in questa esplorazione della vita e dell’opera di Tony Scott, oltre ad essere un culture di jazz, scopre il tratto essenziale della vicenda del musicista protagonista del film: la difesa strenua della propria integrità artistica, del proprio senso di libertà, anche se questo comporta dover pagare un duro prezzo.

FRANCO MARESCO :GIULIA MUIR

Il film si chiude col racconto delle ultime ore di vita di Tony Scott, nel ricordo delle figlie, che ne ricordano la irriducibilità artistica, fino alla fine. La prima delle due figlie, per cercare di scuoterlo dallo stato di semi incoscienza, decide di cantargli Lush Life. Il classico di Billy Strayhorn era una canzone così importante, da essere diventata una ossessione per Scott: per anni aveva costretto le figlie a cantarla ogni giorno, come lasciapassare per la cena e per andare a letto; in età avanzata incise addirittura un album contenente solo versioni diverse di questo standard. E ancora una volta Lush Life scosse il vecchio morente, per una volta tirandogli fuori un complimento per la figlia: “Not bad!” (niente male!”). Poco più tardi, prima di spirare, alla presenza dell’altra figlia, pronuncia le sue ultime parole sollevando il dito indice: “I’m the number one jazz clarinettist in the world!”, sono il clarinettista jazz numero uno al mondo.

N.B. Il film è disponibile online sul sito della Rai.

Tony Scott

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