di Andrea Lilli _
Il 23 settembre 1973 moriva a Santiago Pablo Neruda, poeta e politico cileno che ha meritato tra gli altri due grandi premi: il Nobel (1971) e Il postino (1994), film ispirato al periodo dell’esilio del “poeta dell’amore e del popolo” nelle isole di Capri ed Ischia.
Il regista de Il postino è formalmente Michael Radford, scelto da Massimo Troisi quando concepì il film. La direzione delle riprese, le inquadrature, i ciak, i tagli sono in effetti del cineasta inglese, ma lui stesso ha voluto aggiungere la paternità di Massimo nei titoli di testa, perché Il postino è nella sostanza di ciascun fotogramma una creazione di Troisi, l’ultima, realizzata ad ogni costo.

Dopo aver letto il romanzo Il postino di Neruda (Ardiente paciencia, 1986) del cileno Antonio Skármeta, Troisi entusiasta ne compra i diritti impegnando la propria casa di produzione Esterno Mediterraneo Film. Imbastisce la sceneggiatura, si immedesima nel ruolo principale, inizia le riprese nel luglio del 1993. È però subito costretto a sospendere il progetto: deve sostituire la vecchia valvola artificiale del suo cuore malato. L’operazione non risolve il problema: ha un primo infarto, cui segue la lunga convalescenza, al termine della quale dovrebbe sottoporsi a un trapianto cardiaco. E invece preferisce riacchiappare e realizzare il suo sogno, quello che forse sa essere l’ultimo possibile.
Viene girato in tre mesi, da marzo ai primi giorni di giugno 1994, con grande fatica da parte di Troisi, che pur recitando poche ore al giorno non riesce a nascondere lo sforzo in molte sequenze, struggenti per la magrezza del fisico, per la fatica dei movimenti, per le smorfie involontarie del viso scavato, in cui continua però a risplendere l’inconfondibile sorriso. Una corsa contro il tempo, vinta in extremis, che fa di questo il capolavoro e il testamento di Massimo, nato a San Giorgio a Cremano, scomparso 41enne per infarto il 4 giugno 1994.
Quando siete partito, pensavo che vi eravate portato tutte le cose belle con voi. Adesso lo so, ho capito che avete lasciato qualcosa.
[il postino al poeta]
Abbiamo tutti una collezione di film del cuore, quelli che – non importa con quanti premi e incassi – ci hanno colpito e affondato (commosso profondamente), perché li abbiamo incontrati in momenti particolari, perché li abbiamo visti con persone speciali, perché hanno una bellezza tutta loro, perché hanno lampi di poesia pura. Tra questi ci sono gli indimenticabili: i film tatuati nel pericardio, che nemmeno quel ladrone di Alzheimer riuscirà a portarci via, ormai sono dentro, incisi e cicatrizzati. Sono storie che hai visto sullo schermo e pure hai vissuto davvero, tali e quali. Sì, nella vita reale capita di trovarsi in situazioni incredibilmente simili a quelle di un film amato, tanto da chiedersi se certe scelte personali siano state suggerite dalla sua visione, o se viceversa quel regista fosse uno spione, un veggente intrufolatosi chissà come nel teatro di casa tua.
Qui siamo nel 1952 e il postino, ausiliario e provvisorio, si chiama Mario Ruoppolo. Il padre è un taciturno pescatore rassegnato alle “tristi reti”, principale mezzo di sostentamento in questa piccola isola del Sud. Mario al contrario è estroverso e curioso del mondo; non sopportando la barca e l’umidità, coglie al volo la prima occasione di mestiere alternativo, per quanto mal pagato. Viene assunto a causa del sovraccarico di lavoro conseguente all’arrivo del poeta in esilio Pablo Neruda (Philippe Noiret), comunista ostile alla dittatura cilena. Tra il letterato candidato al Nobel e l’incolto Mario nasce una bella amicizia, rinsaldata dall’imbarazzo sentimentale del giovane postino, innamorato perso di Beatrice (Maria Grazia Cucinotta), cameriera nell’osteria del paese. La ragazza, controllata a vista dall’arcigna zia (Linda Moretti), viene conquistata dal timido Mario grazie pure al fascino dei versi di Neruda, che da amico e complice viene promosso al grado di testimone di nozze, poco prima di tornare in Cile.
Il grande poeta in giro per il mondo si ricorderà mai dell’umile postino rimasto nell’isoletta? Il dubbio serpeggia fino alla fine della storia, differente da quella del romanzo.
Pochi altri personaggi si muovono sul set: il capufficio di Mario (Renato Scarpa), il boss democristiano Di Cosimo (Mariano Rigillo), la moglie di Neruda e il prete. Ah, e ovviamente Pablito, il figlio di Mario e Beatrice. Gli attori fanno egregiamente il proprio dovere, anche l’esordiente Cucinotta, ma l’attenzione viene egemonizzata dall’umanità devastante di Troisi, quasi insopportabile a vedersi per quanto è amaro e ingiusto il suo destino.
Se il cast è ridotto, lo scenario naturale è quello ampio, blu grigio e verde delle isole di Procida e di Salina; di questa possiamo ammirare la spiaggia di Pollara ancora integra, prima del crollo parziale della celebre parete. Le musiche sono di Luis Bacalov, il solo su cinque candidature all’Oscar a ritirare la statuetta dorata (molti anni dopo, una causa di plagio intentata da Sergio Endrigo ed eredi, trascinata fino in Cassazione, porterà i contendenti a patteggiare un accordo).
Il postino conquistò critica e pubblico, fu un trionfo internazionale e ancora resta tra le pellicole italiane più vendute. Per la cronaca spicciola, stabilì il nuovo record assoluto di incassi, in tutto il mondo, per un film italiano.
Quando la spieghi, una poesia diventa banale. È l’esperienza diretta delle emozioni che può svelare la poesia ad un animo disposto a comprenderla.
[il poeta al postino]
Catalogo sonoro delle cose belle dell’isola:
- Onde piccole
- Onde grandi
- Vento di scogliera
- Vento di cespugli
- Reti tristi di mio padre
- Campana dell’Addolorata, con prete
- Cielo stellato dell’isola
- Cuore di Pablito