di Federico Bardanzellu

Pensavo fosse amore… invece era un calesse è stato il quinto ed ultimo lungometraggio diretto formalmente dal comico napoletano. Lo hanno preceduto Ricomincio da tre, Scusate il ritardo, Non ci resta che piangere e Le vie del Signore sono finite. Ad essi si aggiunge il mediometraggio per la TV Morto Troisi, viva Troisi!
Inoltre, come attore, Troisi ha recitato con Lodovico Gasparini (No grazie, il caffè mi rende nervoso), Renzo Arbore (F.F.S.S. cioè che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?), Cinzia Torrini (Hotel Colonial), tre volte con Ettore Scola (Splendor, Che ora è, Il viaggio di Capitan Fracassa). Infine, il suo ultimo film: Il postino di Michael Radford.
Abbiamo fatto questo excursus sulle apparizioni di Massimo Troisi sul grande schermo per evidenziare che Pensavo fosse amore è un film con un taglio diverso da tutti gli altri da lui diretti. I canoni della commedia all’italiana, infatti, gli vanno decisamente stretti. Tanto da poter affermare che per Troisi l’esperienza sotto la guida di Scola, che ha immediatamente preceduto Pensavo fosse amore, sia stata determinante per la concezione di questo suo film. Purtroppo, è rimasto l’unico a poterlo testimoniare, per la prematura scomparsa del regista.

Pensavo fosse amore…, un film ‘psicanalitico’
Non è, va detto subito, un film comico. Lo si potrebbe definire un film “psicologico” se tale definizione non fosse stata troppo abusata per il genere poliziesco. Più esattamente lo definiremmo un film “psicanalitico”, senza voler offendere Sigmund Freud o Cesare Musatti.
Per questo anche chi scrive, quando vide il film in prima visione, rimase di stucco. Non riuscivo a ridere. Solo col tempo, rivedendolo in TV ho saputo apprezzarlo e adesso lo ritengo – forse – il miglior film di Troisi. Superiore anche al primo Ricomincio da tre, e solo una spanna al di sotto de Il postino, non diretto da lui e tratto da un soggetto letterario (Il postino di Neruda di Antonio Skármeta).
Perché un film “psicologico”, se non addirittura “psicanalitico”? Perché in questo film Troisi abbandona le vesti della macchietta o del moderno Pulcinella per inscenare l’immaturità dei giovani degli anni Ottanta del ventesimo secolo. Il protagonista del film è incapace di intrattenere una qualsiasi relazione che non sia puramente superficiale. Il rapporto con la sua lei è visto come un puro divertimento. In questo, la sua partner appare più matura. In fondo, però, meno forte nelle sue convinzioni.
Nel titolo spicca la parola “calesse” in opposizione all’amore. In una successiva intervista Troisi affermò che l’espressione gli era venuta per caso e che non avesse alcun senso. Forse Troisi la estrasse dal cilindro della sua immaginazione senza volerlo, ma la parola si attaglia esattamente al significato del film. Il calesse era il mezzo di trasporto con il quale, in epoca meno tecnologica dell’attuale, si andava in gita di piacere o per una scampagnata. Proprio ciò che il protagonista del film intende per un rapporto di coppia.

La trama
I protagonisti, Tommaso e Cecilia, interpretati da Troisi e Francesca Neri, sono troppo diversi per un rapporto duraturo. Sono attratti l’un l’altro ma si lasciano ripetutamente per poi tornare insieme. Lui per la sua immaturità. Vero Peter Pan degli anni Ottanta, scappa regolarmente quando il rapporto diventa più impegnativo. Lei si dispera quando capisce che tra i due non potrà mai esserci qualcosa di più che una semplice relazione superficiale. D’altra parte Tommaso – nonostante consideri il rapporto con Cecilia, appunto, “un calesse” – non riesce a sopportare che lei, una volta allontanata, abbia altre relazioni. Puntualmente riesce a riconquistarla. Nelle ultime sequenze del film, i due fissano finalmente le nozze. Lui però non trova il coraggio di presentarsi in chiesa e la lascia in bianco sull’altare. Le fa avere un biglietto con cui le dà appuntamento in un bar. Cecilia attraversa tutta la città vestita da sposa e infine lo trova seduto a un tavolino. Lo scambio di frasi del finale lascia aperta l’ipotesi che lei, ormai rassegnata, non escluda di intrecciare con Tommaso anche un semplice rapporto superficiale. Ma non nasconde il suo scetticismo.
La sintesi non rende giustizia alla profondità psicologica della pellicola. Per questo andrebbe visto e analizzato più di una volta. Il valore aggiunto che ha saputo trasformare una trama apparentemente brillante in qualcosa di addirittura “psicanalitico”, oltre alla regia, è stata la straordinaria capacità espressiva e recitativa degli attori.

Il cast
Massimo Troisi abbandona le forzature che caratterizzano la sua comicità, per interpretare un personaggio più universale. In questo film non interpreta il disoccupato napoletano che vive di espedienti, ma un giovane degli anni Ottanta con un’attività che gli permette di divertirsi senza particolari problemi. La sua recitazione non è più nell’estremo gergo campano dei primi film e la mimica è meno accentuata. Anche l’abbigliamento che indossa non è più quello del guaglione dei quartieri popolari del centro di Napoli. Non ce n’è bisogno per caratterizzare il nuovo personaggio, nel quale Troisi riesce comunque a calarsi perfettamente.
Francesca Neri offre un’eccezionale interpretazione di Cecilia. Misurata e contenuta, il suo physique du rôle non si abbandona al lato erotico della situazione, come potrebbe ben sostenere. Si cala anche lei perfettamente nel personaggio, che non ha assolutamente nulla del napoletano. La scena in cui lei, vestita da sposa, si avvia a piedi per le affollate vie di Napoli per raggiungere Tommaso all’altro capo della città, può essere annoverata tra quelle dell’immaginario collettivo del cinema italiano. È stata l’interpretazione che ha definitivamente lanciato Francesca Neri nel panorama delle grandi attrici italiane. Ampiamente meritato il Nastro d’argento 1992 che ha vinto come miglior attrice protagonista (primo di altri due trionfi).
Angelo Orlando interpreta Amedeo, amico e confidente di Tommaso. È l’unica macchietta napoletana del film, ma offerta anch’essa con la dovuta misura e senza strafare. Orlando vincerà il David di Donatello come miglior attore non protagonista. Volutamente non napoletano è l’attore che interpreta Enea, il rivale in amore di Tommaso: Marco Messeri. Pur essendo un personaggio “buffo”, Enea è un vincente e riesce a sedurre Cecilia. Forse la sua comicità è funzionale nel lusingare l’orgoglio di Tommaso che – come detto – riesce a riconquistare la sua compagna.
Due parole vanno spese, infine, per Nuccia Fumo che interpreta la parte di una veggente cui si rivolge Tommaso. L’anziana attrice sarà riproposta nella stessa parte da Carlo Verdone nel film Sono pazzo di Iris Blond del 1996.

Recupero della napoletanità nella scenografia e nelle musiche di Pensavo fosse amore…
Forse per compensare l’assenza di napoletanità della trama, la scenografia del film si concede a scorci di grande suggestione del capoluogo campano. La principale location del film è situata in Piazzetta Marinari sull’Isolotto a ridosso del Castel dell’Ovo, nel quartiere San Ferdinando. Un istmo artificiale collega il castello col rione Santa Lucia. La Napoli che più verace di così non si può. Suggestiva, come detto, è anche la ripresa dei vicoli affollati, lungo il percorso di Cecilia diretta all’appuntamento con Tommaso. Il bar della scena finale è però in realtà lo storico “Bar Meridiana” di Via del Campo Marzio, in Roma.
Napoletanità pura soprattutto nella colonna sonora, con le musiche di Pino Daniele. In particolare, Daniele ha scritto appositamente per il film la canzone Quando, che viene trasmessa in sottofondo ai titoli di testa, a quelli di coda e in molte scene del film. Per tale performance Pino Daniele si aggiudicherà il Nastro d’argento e il Globo d’oro per le migliori musiche da film.
- Il film è su YouTube

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