Accattone, di Pier Paolo Pasolini (1961)

di Bruno Ciccaglione

Franco Citti, sul set di Accattone

È difficile affrontare l’opera di Pasolini con spirito critico, perché di lui, il più eretico e contraddittorio degli intellettuali italiani (egli stesso dichiarava che caratteristico della sua opera fosse il “definire le cose per opposizione”, si pensi alla sua espressione “straziante bellezza”), si è voluto fare un santino, un “profeta”, costruendo un conformismo pasoliniano postumo che consente a molti di dichiararsi pasoliniani, chiudendo così ogni discussione critica seria – e laddove necessario anche severa – sulla sua opera e sul suo pensiero e preferendo un Pasolini pop, che fa comodo a tutti i “pasoliniani da Facebook”.

Quando arriva alla regia del suo primo film, Accattone, presentato fuori concorso a Venezia nel 1961, Pasolini è già un poeta ed uno scrittore conosciuto (sono già usciti i romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta ed i libri di poesie La meglio gioventù e Le ceneri di Gramsci), ha già una significativa carriera come sceneggiatore: ha collaborato, tra gli altri, con Mario Soldati, con Fellini per le Notti di Cabiria, con Mauro Bolognini per La donna del fiume e Il bell’Antonio, con Florestano Vancini per La lunga notte del 43. Eppure si porta già dietro lo stigma del maledetto: dalla espulsione dal PCI in Friuli, a seguito del primo di una lunga serie di processi e scandali (da cui sarà, manco a dirlo, sempre assolto), fino agli attacchi sistematici sia alla sua produzione artistica – per tutte le sue opere sia letterarie che cinematografiche dovrà difendersi in tribunale dalle accuse di violazione del vecchio codice penale fascista e nelle occasioni pubbliche dalle aggressioni squadriste – sia la sua vita personale (con accuse che andranno dalla pedofilia fino alla rapina a mano armata – sic!).

Come regista Pasolini farà scelte formali molto diverse nella sua carriera (anche come scrittore cambierà più volte tecnica e linguaggi), sempre testardamente sfidando il mondo borghese e se stesso: arriverà addirittura ad una famosa “Abiura della trilogia della vita”, rinnegando i suoi tre film sulla sessualità, il cui grande successo commerciale lo aveva indotto a interrogarsi sul suo cinema in modo ancora più radicale. Non sempre, possiamo oggi dirlo laicamente, i suoi film furono all’altezza dell’audacia del suo pensiero e delle sue idee, anche se alcuni suoi film sono indubbiamente da considerare dei capolavori. Accattone è certamente tra questi.

Se l’ambientazione è quella delle periferie romane dei romanzi Ragazzi di Vita e Una vita violenta, a dominare il film non è l’affabulazione dello scrittore, ma una costruzione delle immagini che deve molto alla pittura di Masaccio, al cinema di Ejzenstein e Dreyer, alla musica sacra di Bach: cinema puro, insomma. I papponi, i ladri, i balordi vari dalla battuta pronta che si fanno un vanto di non aver mai lavorato: ecco i protagonisti di Accattone emergere dal grigiore di miseria e ignoranza di una umanità che non ha neppure una classe sociale cui appartenere. Lo scandalo più indigeribile per i borghesi dell’epoca sarà appunto il fatto che questa umanità sia rappresentata prendendo a prestito l’iconografia delle rappresentazioni sacre della pittura, che la musica di Bach sia “corrotta” dall’accompagnare questi personaggi non decorosi e moralmente condannabili.

“Daje va’, damo soddisfazione ar popolo!”

Pasolini vede e mostra qualcosa di “miracoloso” in questa umanità laida esclusa – o autoesclusasi – dallo sviluppo neocapitalista. Questi sottoproletari sono ancora del tipo che, quando si trova di fronte un ricco ed elegante figlio di papà della borghesia alla moda, lo trova ridicolo e lo prende in giro, non ha complessi di inferiorità, non lo percepisce come il modello cui deve ossessivamente conformarsi. Qui insomma, anche se il personaggio di Accattone non si avvicina per niente al Tommasino di Una vita violenta, che riscatta la sua condizione con una presa di coscienza politica, siamo ancora in una fase storica precedente a quello che Pasolini poi chiamerà il “genocidio culturale” che uniformerà i diversi modi di essere uomini e donne nella società neocapitalista.

È la presenza ancora viva di forme di vita “altre” da quella borghese ad affascinare Pasolini, pur nella millenaria indolenza con cui i personaggi perpetuano i tratti arcaici della loro vita. Con la guida sapiente di Sergio Citti (che sarà al suo fianco per tutta la vita), Pasolini ed il suo amico e giovane aiuto regista Bernardo Bertolucci attraversano i quartieri del Pigneto o di Testaccio (luoghi oggi diventati centro delle culture alternative e vitali della città, allora in miseria), facendo centinaia di fotografie che saranno la base su cui costruiranno le immagini “sacre” del film. Metteranno in scena Franco Citti (Accattone) ed i suoi amici – tutti attori rigorosamente non professionisti – con un approccio che, come bene spiega Serafino Murri nel suo volume per la Castoro edizioni, rende “quasi impossibile distinguere lo spirito della trasfigurazione poetica da quello dell’inchiesta sociologica”.

Bernardo Bertolucci e Pier Paolo Pasolini sul set di Accattone

Rivisto oggi, Accattone, se da un lato appare forse meno dirompente dal punto di vista formale (si colgono molto meno quelle sgrammaticature formali, volute, che avevano spaventato Fellini facendolo recedere dall’intento di produrre il film, realizzato in seguito con Alfredo Bini), dall’altro mantiene tutta la sua forza nel mostrare una umanità che non c’è più. Addirittura scopriamo, soprattutto nella prima parte, nei dialoghi dei borgatari ricchi di “perle di saggezza” e di racconti di vite all’insegna di una millenaria e cinica sufficienza, un Pasolini chiaramente divertito e che sa divertire.

In Accattone Pasolini trova dunque il perfetto equilibrio tra la sua sensibilità poetica e la sua ideologia, come non sempre riuscirà a fare nei film successivi: il film segna una nuova fase della sua vita sempre sotto i riflettori, che gli darà sempre, avvinghiati in modo inseparabile, il successo e la persecuzione, l’amore incondizionato e l’odio più incontrollato. Più che riproporre in modo acritico e speso deformante gli scritti di analisi delle Lettere Luterane o degli Scritti corsari (che a ben vedere Pasolini radicava marxisticamente ben dentro un contesto produttivo neocapitalita oggi completamente diverso), sarebbe il tempo di tornare al Pasolini più affascinante, ma anche più difficile: il Pasolini artista e quindi, per dirla con Lenin (la figura cui esplicitamente Pasolini si ispirò per il suo Cristo nel Vangelo secondo Matteo), “Studiare, studiare e studiare!”.

  • Il film è disponibile su Youtube

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