10 anni senza Monicelli. La risata amara che non cercava la consolazione.

di A. C.

Mario Monicelli ci lasciava 10 anni fa all’età di 95 anni.

Romano di nascita ma toscano di adozione, feroce, graffiante, cinico, tra gli autori più rappresentativi della “Commedia all’italiana” di cui fu l’ufficiale iniziatore con I soliti ignoti, film che pose le basi di quel periodo artistico che traspose in chiave tragicomica vizi e malcostumi della società italiana raccontando le vicende di un gruppo di ladruncoli destinati al fallimento a causa della loro cialtroneria.

Un ciclo produttivo, il suo, coerente con i canoni delle epoche e che trattò diversi registri e tematiche con grande lucidità: da un inizio di derivazione neorealista in cui spiccano La grande guerra, un resoconto dell’antieroismo italiano durante la prima guerra mondiale incarnato da due soldati lassisti, e I compagni, dedicato alle prime rivendicazioni sindacali nella Torino operaia di fine ‘800; la follia sperimentale de L’armata Brancaleone, esilarante parabola farsesca del medioevo italiano, introduttiva di un linguaggio ex novo e intrisa della stessa satira sul malcostume popolare; il rinnovamento culturale del ’68 e l’emancipazione femminile de La ragazza con la pistola, il clima di tensione politica degli Anni di Piombo con Vogliamo i colonnelli, satira fantapolitica ispirata agli eventi del “golpe Borghese”; l’eredità del suo mentore Germi con Amici miei, commedia dolceamara sulle giornate dedite all’immatura goliardia di un gruppo di inseparabili amici, che nei momenti di compagnia trovano conforto alle proprie miserie; e la tragedia pura de Un borghese piccolo piccolo, considerato una delle pietre tombali del movimento cinematografico e probabilmente l’esternazione più sincera del cinismo di Monicelli.

Questi solo alcuni dei lavori di un regista tra i più importanti del cinema italiano, acuto osservatore della società circostante e irrimediabilmente pessimista verso passato, presente e futuro. Ma una ferocia, la sua, di cui oggi si sente la mancanza, perché nella sua accezione caustica sapeva mettere spalle al muro un’intera società.

“Mai avere la speranza. La speranza è una trappola, una cosa infame inventata da chi comanda.”

Così, probabilmente per affermare la propria libertà dal cancro in fase terminale che lo aveva colpito, la sera del 29 novembre 2010, all’età di 95 anni Monicelli si toglie la vita saltando dalla finestra della stanza dell’ospedale in cui era ricoverato. Il salto finale di un uomo lucidissimo che amava dire che in fondo “solo gli stronzi muoiono”.

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