di Bruno Ciccaglione

La proprietà non è più un furto di Elio Petri è una storia di ribellione contro la proprietà ed il denaro. Una ribellione nevrotica, confusa, senza speranza di successo, che non farà scatenare alcuna rivoluzione, eppure a suo modo è una ribellione eroica. Provocatorio, grottesco, ironico, il film di Petri è il primo da protagonista per Flavio Bucci, il quale interpreta un cassiere di banca che ha sviluppato una vera allergia per le banconote e che conduce una specie di guerra personale contro un viscido e disgustoso antagonista, interpretato da un perfetto Ugo Tognazzi: il Macellaio, un borghese ricchissimo che incarna tutti i peggiori tratti di un potere che domina incontrastato la società.

Dopo aver raccontato la nevrosi del potere (Indagine su un cittadino…) e quella del lavoro (La classe operaia…), Petri si occupa della nevrosi forse più complessa, quella che per lui comprende tutte le altre: quella del denaro. Lo fa con un film dall’atmosfera livida e surreale – straordinarie la fotografia di Luigi Kuveiller e le scenografie di Gianni Polidori – con la consueta sferzante ironia, costruita assieme al fidato complice Ugo Pirro che scrive con lui la sceneggiatura.

Come spesso accade nei film di Petri e Pirro, i dialoghi sono densi di significato, pungenti, provocatori e ricchi di sottile intelligenza. La vicenda è semplice, ma è raccontata con la solita maestria e spettacolarità e con continue rotture della narrazione convenzionale, riflessioni, autoanalisi da parte dei personaggi. Ciascuno di loro, ad esempio, a cominciare dal protagonista Total (un nome che è tutto un programma, per un cassiere di banca pronto alla rivolta), si rivolge al pubblico in uno spazio buio che ricorda la scena di un teatro e racconta se stesso e il proprio modo di essere e di pensare.

Gli attori forniscono tutti delle prove eccezionali. Flavio Bucci, prima della notorietà che gli darà il Ligabue televisivo, irrompe sulla scena con tutta la sua bravura grazie a un personaggio che offre spunti straordinari: Total si è costruito un’ideologia tutta sua, i suoi miti sono Marx e Mandrake (il mago dei fumetti creato da Lee Falk negli anni ’30), ha sviluppato un’allergia chiaramente psicosomatica per il denaro che per lavoro maneggia continuamente, coltiva in sé “l’odio di classe” tentando di non farlo scadere in egoismo – nel qual caso ai suoi occhi sarebbe“reso innocuo”. La sua progressiva uscita dalla legalità e le sue stesse stravaganti gesta criminali hanno una base ideologica, che sconcerta i criminali “comuni” le cui strade Total incrocia.

Ugo Tognazzi, il suo antagonista, è il macellaio, il disgustoso e ricchissimo borghese che si è fatto da sé avendo come unico scopo nella vita quello di arricchire ad ogni costo. Impegnato in innumerevoli attività più o meno legali, che spaziano dalle bilance truccate della macelleria alle truffe alle assicurazioni, alla speculazione edilizia, fino ad arrivare all’alta finanza, è il nemico di classe per eccellenza. La sua attività di macellaio è la metafora perfetta del potere del denaro, lo strumento più capace di plasmare tutte le relazioni umane: “Io me sporco le mani perché l’altri se scordino quello che sono: assassini! Sì, assassini. Assassini! E nun me volete paga’ pe’ questa essenziale, grande, fondamentale funzione, che è quella di uccidere per voi?”

Daria Nicolodi, il cui monologo sull’essere “’na cosa” resta uno dei gioielli di questo film e della sua carriera, è Anita, una donna pienamente nella proprietà del suo padrone/datore di lavoro, il Macellaio, e in quanto sua proprietà oggetto da violare per Total, nella sua guerra personale. Anita è perfettamente consapevole della sua condizione e si è adattata: si sente come una persona a stipendio, quando soddisfa i piaceri sessuali che il Macellaio brutalmente le impone o quando lo aiuta nelle sue truffe. È abituata ad ubbidire. Anche per lei è uno shock il modo in cui Total la prende eroticamente, imponendole l’inazione e la immobilità (quasi a impedirle che quella sia anche per lei una piacevole rottura della monotona sessualità imposta dal suo padrone), totalmente opposto da come la vuole il Macellaio (fintamente partecipe, perversa e animalesca).

In generale l’erotismo di questo film è un erotismo totalmente subordinato alle dinamiche del potere, così come ogni altra passione. Petri racconta ancora una volta un mondo basato sulla proprietà, sul denaro, il nostro mondo insomma, in cui l’ipocrisia è la regola e in cui è solo il denaro a discriminare che cosa sia legale e che cosa no. Non a caso la polizia scheda i criminali in base alle loro tendenze religiose e sessuali (tutte perversioni, se l’unico Dio e l’unica legge sono il denaro). Il brigadiere di pubblica sicurezza (Orazio Orlando), il tutore dell’ordine imposto dal potere, sa benissimo che quest’ordine non porta alcuna armonia nella società e come dice nel suo monologo, si consola “nell’egoismo dei miei privilegi”, godendo soprattutto nell’arrestare arbitrariamente le persone.

Forse gli unici che non vivono nell’ipocrisia, banalmente, ma in modo più sottile di quanto si potrebbe pensare, sono appunto i criminali, quelli che vivono apertamente da fuorilegge e in particolare i ladri. Non a caso è a loro che Total guarda con un misto di ammirazione e di eccitazione nel suo abbandonare la sua povera vita piccolo borghese. La figura di Albertone (uno straordinario Mario Scaccia), scassinatore sopraffino e ladro che disdegna la violenza, è uno dei modelli di Total (che lo insulta dandogli dell’impiegato, per la sua mancanza di coscienza di classe, ma da cui è affascinato). Anche se è poi proprio per colpa della strampalata logica rivoluzionaria di Total che Albertone farà una brutta fine.

Il mondo criminale replica in forma palese ed esplicita le regole del denaro e del potere della società legale (memorabile la figura della ricettatrice Mafalda, Cecilia Polizzi, che in fondo è il corrispettivo di una banca nel mondo criminale). Imperdibile, quasi alla fine del film, il discorso di Paco – un esilarante Gigi Proietti – che al funerale di Albertone, davanti a un pubblico fatto tutto dai ladri di Roma, fa un paradossale ma rivelatore discorso sulla funzione sociale dei ladri in una società basata sulla proprietà, che mette il dito nella piaga proprio dell’ipocrisia della società rispetto a ciò che è legale e ciò che non lo è.

In effetti il film si chiude mostrando il lato più feroce e senza scrupoli del ricco Macellaio. La sconfitta di Total era forse già iscritta nella forma di ribellione che egli aveva scelto. Total cercava di trovarsi un ruolo, ma senza riuscirci. “Non sei ladro, non sei onesto… Ma che sei?“, gli dice a un certo punto il padre – l’immancabile Salvo Randone, al solito sublime e surreale – in una delle disquisizioni sui dilemmi dell’essere fuorilegge. Che cos’è dunque chi non accetta di porsi la domanda in questi termini, chi cerca di inventarsi un modo altro di stare al mondo? Che cos’è chi ha la coscienza di accorgersi di avere la malattia dell’avere? Per Petri è un eroe, sconfitto certo, ma solo perché ha rifiutato di credere che il denaro sia il giusto premio per chi se l’è meritato.

- Il film è visibile su Raiplay