‘Il grande freddo’ e ‘Compagni di scuola’: generazioni a confronto.

di Federico Bardanzellu

Da ciò che vediamo ne Il grande freddo (Lawrence Kasdan, 1983) e in Compagni di scuola (Carlo Verdone, 1988), negli anni Ottanta le giovani generazioni in Italia e degli Stati Uniti risultavano agli antipodi; ma in realtà, fortunatamente, non fu così.

Generazioni

Nel periodo a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, le giovani generazioni si presero la scena del mondo reale. Fecero sentire il loro peso contestando le ideologie che le avevano precedute e proposero una loro cultura, nuovi modelli di vita. Da allora in poi, il mondo non fu più come prima. Il cinema ha ampiamente trattato quel periodo e il fenomeno della contestazione giovanile degli anni Sessanta. Si è anche impegnato, però, a raccontare come si trasformarono, alcuni anni più tardi, le persone che avevano incarnato quel movimento generazionale. In particolare, il cinema statunitense ha prodotto, nel 1983, Il grande freddo (The Big Chill), per la regia di Lawrence Kasdan (Miami, 1949). Cinque anni dopo, a modo suo, Carlo Verdone (Roma, 1950) ha risposto con Compagni di scuola. In entrambi i casi un gruppo di ex adolescenti della fine degli anni Sessanta si ritrova riunito e, dopo alcuni anni, non può non emergere quello che è stato il loro vissuto. Mettiamo a confronto le due pellicole.

Il grande freddo: Kennedy, Martin Luther King e la musica soul

Ne Il grande freddo, il gruppo di amici si rivede in occasione del funerale di uno di loro – forse il leader – morto suicida per motivi inespressi o comunque incomprensibili. Dopo la cerimonia, per favorire la sosta nel weekend di molti giunti da lontano, uno di loro mette a disposizione di tutti la propria villa.

È un fine settimana di introspezioni interiori nel quale si conferma che l’amicizia quasi fraterna tra i protagonisti è rimasta intatta. Forse addirittura cementata dagli anni. Nell’ultima notte, tre coppie fanno sesso. La padrona di casa consente addirittura che il marito lo faccia con la sua migliore amica, per darle quel figlio che quest’ultima intendeva allevare da sola. Un reduce del Vietnam ritrova la propria potenza sessuale con l’ultima amante del defunto.

Il filo conduttore dell’intera vicenda è la colonna sonora. Con il susseguirsi di tracce musicali indimenticabili (Aretha Franklin, Temptation, Marvin Gaye, Smokey Robinson, Procol Harum, ecc.) il regista fa intendere che la musica, per le generazioni americane di quei tempi, era essenziale. La spina dorsale che regge il percorso interiore di quei ragazzi e lo sviluppo delle loro azioni. Per non parlare della sua qualità intrinseca.

Compagni di scuola: la cattiveria di un universo di falliti, bottegai e arrivisti democristiani

Tra i Compagni di scuola di Verdone, l’introspezione dei protagonisti è pari a zero. Non c’è poi vera amicizia ma, anzi, un’estrema cattiveria e il gusto di farsi sgambetti, pur essendo passati vent’anni. Un compagno – con la complicità di un altro – si finge cerebralmente leso e ridotto sulla sedia a rotelle a seguito di un incidente stradale, per godere (?) della reazione degli altri. Quando il personaggio rappresentato da Verdone se ne accorge, lo manda davvero all’ospedale con un altro scherzo criminale.

Un macellaio ignorante accusa il più spiantato di tutti di averlo derubato. Quest’ultimo, dopo essere stato coinvolto nel gioco del poker, è costretto a chiedere l’elemosina con il piattino per pagare i debiti di gioco. Un arrivista democristiano prende gusto a sedurre (usandole anche violenza, come pare) l’amica extraconiugale di Carlo Verdone, che pure gli aveva dato fiducia. Alla fine risulta che anche la padrona di casa, dopo aver ostentato ricchezza invitando il gruppo nella sua villa al mare, aveva invece ingannato tutti, dimostrandosi sul lastrico.

Il film di Carlo Verdone non ha un filo conduttore musicale come Il grande freddo. I protagonisti si mettono ad ascoltare due o tre dischi di un vecchio juke-box e poco altro. Eppure tra gli anni Sessanta e i Settanta, in Italia, si ascoltava una musica favolosa. Si iniziò con i primi cantautori della scuola genovese (De André, Paoli, Bindi ecc.). Si proseguì con i cantautori romani (Venditti, De Gregori, …), a cui – a quanto pare – il romano Verdone è rimasto impermeabile. Poi con gli emiliani e il jazz-rock campano (Bennato, Napoli Centrale, Tony Esposito). Non si mancava, infine, di ascoltare la musica anglosassone e d’oltreoceano, sia alla radio che ai concerti (Jethro Tull, Genesis, Santana, ecc.).

Ma sono veramente così cattive, ignoranti ed egoiste, le generazioni italiane degli anni Sessanta?

In sostanza, il paragone tra la gioventù descritta da Carlo Verdone e quella dei (quasi) coetanei americani è eticamente e culturalmente disarmante e per noi disastroso. Fortunatamente non era così nella realtà. È in realtà l’orizzonte culturale di Carlo Verdone ad essere limitato, pur essendo figlio di un professore universitario di Storia del cinema.

Così come è fortemente limitato quello del suo vero ex compagno di scuola Christian De Sica, che nel film recita la parte dello spiantato costretto ad umiliarsi. Pur essendo figlio del regista che ha reso grande il cinema neorealista italiano, De Sica jr. ha preferito far soldi con i “cinepanettoni” prodotti da Silvio Berlusconi. Entrambi hanno fatto il liceo in una scuola religiosa e non hanno mai partecipato al “vissuto” laico e culturale della loro generazione.

Verdone, poi, non è nuovo a remake riduttivi di grandi capolavori d’oltre oceano. Con Il bambino e il poliziotto (1989) subito dopo ha tentato apertamente di rifare il verso a Il monello (1921), capolavoro assoluto di Charlie Chaplin. Evidentemente non è stato in grado di affiancare un poetico vagabondo al bambino/monello e non ha saputo trovare altro che un poliziotto ‘tenero’. Una figura che, tra l’altro, gli era anche estranea. Probabilmente, anche in Compagni di scuola gli era estranea tutta quella cattiveria tra amici che ha sceneggiato e diretto dietro la cinepresa. Ma non ha saputo far di meglio.


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