Incontri ravvicinati del terzo tipo, di Steven Spielberg (1977)

di Lorenzo Luccarini

“Quanti anni hai?”
“Otto.”
“Vuoi arrivare a nove”
“Sì.”
“Allora vieni a vedere Pinocchio domani sera.”

Roy Neary al figlio
Locandina

TRAMA

Dopo un primo avvistamento di UFO e la raccolta delle prove tangibili dell’ esistenza degli alieni, il governo degli Stati Uniti decide di tentare una forma di contatto e comunicazione contatto con i ‘visitatori’. Sotto la guida dell’ ufologo francese Claude Lacombe (Francois Truffaut), gli scienziati americani predispongono una piattaforma presso la Torre del Diavolo, un’isolata montagna del Wyoming e fanno evacuare la popolazione per ragioni di sicurezza, senza dare spiegazioni. Mentre questo progetto segretissimo (che prende il nome evocativo di Mayflower) sì sviluppa, gli Ufo appaiono di nuovo in una zona dell’Indiana. Alla giovane Jillian Guiler sparisce il figlio Barry, rapito dagli extraterrestri, mentre il tecnico elettronico Roy Neary, che manifesta reazioni strane e incomprensibili, viene lasciato dalla moglie Ronnie e i tre figli. I due saliranno sulla Torre del Diavolo e assisteranno al mirabolante “rendez-vous” di suoni e luci…

La Torre del Diavolo, in Incontri ravvicinati del terzo tipo

Incontri ravvicinati del terzo tipo: un’analisi

Spielberg, con i suoi vecchi film (Duel, Lo Squalo e questo, in particolare) parla ancora all’umanità, come a pochi altri film del passato riesce ancora, e a come pochissimi registi in attività riesce. Il segreto credo sia nel fatto che i generi per lui, l’avventura, la suspense, il dramma, la fantascienza, con i quali si è cimentato sempre con inesauribile fantasia e talento, non sono altro che differenti prospettive e ottiche, per focalizzare quelle categorie che per eccellenza riassumono l’esperienza umana: il mistero, il tempo, lo spazio, l’ignoto. Tanti altri film fanno il percorso inverso e oggi li scopriamo infatti datati, incapaci di sopravvivere ai cambiamenti sociali, tecnologici, culturali. E più passa il tempo, più ci si rende conto che la necessità sincera di una visione, che riflette tante volte quella infantile di molti autori, da Spielberg per esempio a Truffaut o da Comencini ad Allen e Fellini, (ma se ne potrebbero citare all’infinito), è una sorta di conservante fenomenale. Non è un caso che Spielberg regali una parte quasi da protagonista a Truffaut, in Incontri ravvicinati del terzo tipo, maestro di un cinema che ha messo i bambini e gli adulti rimasti bambini al centro delle trame dei suoi racconti. Qui addirittura fa la parte di uno scienziato che organizza un incontro con gli extraterrestri.

Incontri ravvicinati del terzo tipo | re-movies
Francois Truffaut in una scena del film

Il risultato è che è assai improbabile trovare un film come questo, in cui non c’è un personaggio negativo, e il film non è neanche per un istante manicheo. E a proposito di visione, il risultato è inoltre che il mistero è rivelato sempre nella forma di un bagliore. Tutto il mistero è raccontato con la luce, la bacchetta magica di ogni film. Spielberg trasforma le paure legate all’ignoto, nell’occasione straordinaria di un incontro destinato a farci sentire meno soli nell’Universo. È qualcosa di veramente commovente il dialogo con le note musicali tra gli alieni e gli umani, che diventa poi la colonna sonora del film, un tema che nessuno ha più dimenticato. Arthur C. Clark aveva scritto: “Esistono solo due possibilità: che siamo soli nell’universo o che non lo siamo. Entrambi le possibilità sono terrificanti”. Con la magia degli occhi di un bambino, di un adulto che è come se lo fosse ancora, il personaggio interpretato da Richard Dreyfuss e dello scienziato Lacombe, interpretato da Truffuat ( in un omaggio meraviglioso per chi ama il cinema), scopriamo la terza possibilità non contemplata da Clark: che il fatto di non essere soli può produrre una specie di sollievo, e la speranza di poter continuare a credere nell’impossibile e coltivare ancora la visione. L’avvistamento degli extraterrestri è in questo senso l’apoteosi della visione.

Il piccolo Barry in una scena del film

Incontri ravvicinati del terzo tipo e Duel, ovvero come costruire la suspance, secondo Spielberg

In Duel in fondo c’è lo stesso tema, trattato però con la suspence e con meno meraviglia. Sappiamo che qualcuno con un camion vuole uccidere il protagonista. Ma non lo vediamo mai. La paura è tutta lì. Sapessimo che faccia ha! Invece nella sequenza forse più bella del film, quando il protagonista si trova nella stazione di servizio e c’è il camion dell’ assassino parcheggiato fuori della stazione, senza l’autista, al bar tra tutti gli avventori deduciamo ci sia anche l’assassino. È l’unico momento in tutto il film che il protagonista è prossimo a scoprirlo. Del suo assassino egli ha visto fino a quel momento solo gli stivali, ma tutti gli avventori del bar hanno gli stivali. Potrebbe essere ognuno di loro. La suspence è dettata esclusivamente dai tempi di un montaggio perfetto di immagini di dettagli.

Duel, di Seven Spielberg. Dettagli

È strano questo assassino che sembrerebbe solo intenzionato a terrorizzarlo, perché non è la morte del protagonista che gli interessa, ma solo la paura sua. Lo stesso gioco che mette in opera Spielberg con lo spettatore. Alla fine non sapremo mai chi sia il conducente del camion, nemmeno quando muore (forse) precipitando in un burrone; e forse il rimanere con questo mistero, ha contribuito all’immortalità di un film così. In Incontri ravvicinati del terzo tipo gli alieni, al contrario, ci sono mostrati nel finale. La suspence termina con la rivelazione di extraterrestri tutti simili a bambini e con la restituzioni da parte degli alieni, di essere umani scomparsi nel passato e restituiti all’umanità con quell’incontro, all’età esatta in cui scomparvero. Piloti di aerei inghiottiti dal triangolo delle Bermude e vascelli naufragati e mai ritrovati. Tutti i misteri insoluti della storia, custoditi nell’astronave madre degli alieni. Che a questo punto non andrebbero più chiamati così. Il mistero dei misteri, quasi fosse grande come quello di Dio. Che non chiamiamo di certo alieno. A un certo punto del film Dreyfuss fa menzione di Pinocchio, vorrebbe che i suoi figli ne vedessero il film. Beh, delle cose ci sono della favola, sono presenti in questa pellicola non fatta di classica fantascienza. Intanto che, se si è dei sognatori, è difficile essere creduti, un po’ come accade proprio a Dreyfuss, un uomo che è rimasto un ragazzino, che nella sua casa spiega le materie della scuola dei figli con i giocattoli. E accade a Pinocchio le poche volte che dice la verità. Nel finale del film, Dreyfuss si lascia inghiottire, come è successo a Pinocchio dalla balena, dall’astronave degli extraterrestri. Forse è il modo per sopravvivere al tempo e continuare a credere nell’impossibile, perché probabilmente c’è da scommetterci, sulla Terra, dopo un incontro ravvicinato di questo tipo, l’uomo sarà per sempre orfano del suo bisogno di visione.

Gli alieni di Incontri ravvicinati del terzo tipo

2 risposte a "Incontri ravvicinati del terzo tipo, di Steven Spielberg (1977)"

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