Puerto Escondido, di Gabriele Salvatores (1992)

di Federico Bardanzellu

«Vedi, qui entrano in campo due scuole di pensiero diverse. Da una parte ci stanno quelli che pensano che si possano cambiare le cose con la volontà. Dall’altra parte invece ci stanno quelli che pensano che tutto accade!». Questa frase, che racchiude in sé tutto il significato della pellicola, è pronunciata da Fabrizio Bentivoglio in Puerto Escondido, in risposta ad un Diego Abatantuono che gli consigliava di farsi curare una pustola infetta sulla guancia.

È evidente che il regista faccia parte della seconda scuola di pensiero. Quella secondo cui tutto “accade”, senza che nessuno possa incidere nel corso della vita umana. In primis, perché diversamente non avrebbe inserito quella frase tra i dialoghi del film. Secondo, perché tutta la vicenda narrata è un susseguirsi di eventi imprevedibili che cambiano la vita dei protagonisti a prescindere dalla propria volontà.

Puerto Escondido è stato girato nel 1992, ed è uscito nelle sale subito dopo il conseguimento da parte di Renato Salvatores dell’Oscar per il miglior film straniero con Mediterraneo. È il sesto film del regista napoletano. Il quarto ed ultimo di quella che alcuni critici hanno discutibilmente definito la “tetralogia della fuga”. Gli altri tre che lo hanno preceduto sarebbero Marrakech Express, Turné e – appunto – Mediterraneo. A nostro parere la “fuga”, secondo la visione del regista, non sarebbe altro che un aspetto della vita che – come tutti gli altri –  “accade”, senza che l’essere umano possa minimamente interferirvi con la sua volontà.

Trama

Mario Tozzi (Diego Abatantuono), dirigente di una banca milanese, si ritrova ad essere testimone oculare di un omicidio presso l’ufficio passaporti della questura. È il primo esempio, nel film, di un evento che “accade” e cambia radicalmente la vita di chi lo subisce, senza che questi possa assolutamente volerlo o evitarlo. L’assassino è il commissario Alfredo Viola (Renato Carpentieri). Risalito a Mario tramite il passaporto, cerca di ucciderlo a colpi di pistola, riuscendo solo a ferirlo. Sopravvissuto per un oscuro disegno del destino, Mario decide quindi di fuggire per far perdere le proprie tracce. La destinazione è Puerto Escondido, un minuscolo villaggio sul Pacifico, nel Messico meridionale. La “fuga” dal proprio mondo, quindi, è conseguenza di un evento imprevisto e non la reazione più o meno voluta del protagonista al proprio modus vivendi.

A Puerto Escondido Mario conosce una coppia di italiani composta da Alex (Claudio Bisio) e Anita (Valeria Golino), che vivono di espedienti. In particolare, lo spaccio di cocaina acquistata direttamente dai contadini negli altipiani dell’interno. Mario (essendogli stata bloccata la carta di credito) si trova così a fare anch’egli il pusher e, addirittura, l’impresario di un gallo da combattimento. Finché ritrova il commissario Viola, anch’egli “folgorato” da un evento imprevisto che gli ha cambiato la vita. Giunto in Messico per arrestare/uccidere Mario, si è innamorato perdutamente della proprietaria di un ristorante locale ed ha abbandonato tutto per vivere accanto a lei a Puerto Escondido.

L’ex commissario accoglie Mario come un amico, riconoscendolo come causa indiretta della sua felicità. Per aiutarlo, però, è anche lui coinvolto in una rapina e tutto il gruppo finisce arrestato dalla polizia e poi addirittura in ospedale. Coerente con la tematica del film, l’arresto è dovuto ad un evento assolutamente imprevisto. Il gallo da combattimento di Mario, apparentemente morto dopo un sanguinoso match, riprende tranquillamente i sensi e attira l’attenzione della polizia sugli improvvisati rapinatori. Prima dell’arresto, però, a Mario riesce una breve effimera fuga, durante la quale si nutre con il fungo allucinogeno peyote che gli dà visioni fuori dalla realtà. Il film termina con altre situazioni paradossali, forse imposte dalla produzione a scopi commerciali, che nulla aggiungono al significato del film.

Soggetto, sceneggiatura e cast

Il soggetto del film deriva dal libro omonimo di Pino Cacucci, dato alle stampe nel 1990. Il tema dello scrittore rimane però sullo sfondo della pellicola cinematografica. L’autore infatti voleva trasmettere il messaggio che in queste terre, dove la vita è priva dei fronzoli e delle futilità del consumismo, ogni singolo momento viene vissuto appieno. Soprattutto, tornano centrali e preziosi i legami con le persone. Salvatores, nel redigere la sceneggiatura, insieme a Enzo Monteleone e allo stesso Abatantuono, integra abbondantemente tali concetti. Ad Abatantuono, probabilmente, va la paternità dei momenti più comici e paradossali della pellicola. A sottolineare le differenze tra le due trame va detto che, nel libro, Mario è un bolognese che vuole autonomamente cambiare la sua vita normale. Prima di arrivare a Puerto Escondido, infatti, tenta di farlo all’Isola d’Elba, Barcellona, Città del Messico e Veracruz.

Per il cast, Salvatores si è per gran parte affidato agli attori che hanno collaborato con lui nei precedenti film, soprattutto nel più recente Mediterraneo. Oltre a Diego Abatantuono e a Claudio Bisio, interpretano parti minori anche il citato Fabrizio Bentivoglio, Ugo Conti e Antonio Catania. Abatantuono prosegue nella sua evoluzione di attore a tutto tondo, abbandonando ormai del tutto il suo cabarettistico personaggio d’esordio. Con questa interpretazione vincerà il suo unico Nastro d’Argento come miglior attore protagonista che l’anno prima, con Mediterraneo, aveva solo sfiorato. Ottima anche l’interpretazione dell’altro “salvatoriano” Claudio Bisio.

Stupenda Valeria Golino, sia come interprete che come “presenza” sullo schermo. Recita in questo film nel periodo in cui si era già trasferita ad Hollywood e si nota la crescita da lei acquisita con tale esperienza. Inaspettata la personalità della presenza di Renato Carpentieri, che già aveva recitato in teatro per la regia di Salvatores. Anche a Carpentieri andrà il Nastro d’Argento 1993, come migliore attore non protagonista. Le musiche del film, scelte da Federico De Robertis, con la collaborazione dell’ex PFM Mauro Pagani, sono prettamente latinoamericane e variano dal latin rock di Oyo Come Va alle cubano-rivoluzionarie Guantanamera e Hasta siempre Comandante (Che Guevara).

Reazioni di pubblico, critica e cultura di massa

Puerto Escondido fu campione d’incassi della stagione 1992-93 ma ricevette una critica alquanto tiepida. Accanto al positivo commento di Giovanni Grazzini troviamo Fabio Ferzetti del Messaggero che lo giudica «Economico, addomesticato, poco credibile».  Più morbida, ma sempre non completamente favorevole, Lietta Tornabuoni su La Stampa, mentre il parere di Valerio Caprara (Il Mattino) risulta assolutamente negativo.

Nella cultura popolare, al contrario, il film diventò un vero e proprio oggetto di cult. Ne beneficiò la stessa località messicana che negli ultimi trent’anni è divenuta residenza di una numerosissima comunità italiana, attratta e avvinta proprio dalle immagini del film di Salvatores. Nel linguaggio comune dei suoi nuovi abitanti e delle stesse agenzie turistiche, ormai la cittadina ha perso addirittura il nome Escondido per essere conosciuta semplicemente come “Puerto”.


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