Pugilato, sul set qualcuno lo ama

di Federico Bardanzellu.

La locandina di “Lassù qualcuno mi ama” di Robert Wise (1956).

Se c’è uno sport su cui il cinema si è soffermato particolarmente, quello è il pugilato. Non soltanto facendo uscire pellicole commerciali. Quali le serie Rocky 1-5, il suo sequel Rocky Balboa e poi Creed 1-2. Ma anche girando film di particolare valore artistico, basati sulle storie vere dei grandi della boxe.

Un periodo particolarmente felice per il pugilato, tanto da guadagnarsi l’attenzione di grandi registi è stato il quinquennio 1946-1951. Vi combatterono alcuni tra i più forti pesi medi della storia del ring. La vita di tre Campioni del Mondo di quel breve periodo ha dato spunto per la creazione di opere indimenticabili. Tre storie differenti di altrettanti fuoriclasse che si sono succeduti uno dopo l’altro sul trono dei medi.

In: ‘Lassù qualcuno mi ama’ (1956) la storia di Rocky Graziano

Nel 1956 uscì sugli schermi Lassù qualcuno mi ama, per la regia di Robert Wise. È un film in bianco e nero basato sull’autobiografia di Rocky Graziano (scritta con l’aiuto di un coautore). Il pugile fu interpretato da un grande Paul Newman, scritturato al posto del premorto James Dean. La parte della compagna del pugile fu affidata all’attrice italiana Anna Maria Pierangeli (che lo era stata dello stesso Dean, prima della sua scomparsa). Nel cast anche un esordiente Steve McQuinn. Il film fu basato soltanto sull’autobiografia del pugile. Il regista, infatti ha puntato sul pathos anziché sul realismo della vicenda. Ha voluto realizzare un monumento all’uomo della strada americano che riesce a scalare la vetta con il sacrificio. In pratica, rappresenta al 100% il realizzarsi del sogno americano. La vicenda è commovente e le emozioni sono forti.

Il protagonista cresce in una famiglia di immigrati italiani ai margini della società. Il padre lo picchia spesso e volentieri e lui preferisce vivere in mezzo alla strada dove si unisce alle bande criminali. Viene imprigionato ma anche in carcere è un ribelle. Si arruola nell’esercito americano (sono gli anni della II Guerra Mondiale) e poi scappa. Viene ripreso e costretto a scontare una pena aggiuntiva. Avendo bisogno di soldi, scopre di avere un talento naturale per il pugilato. Inizia ad avere successo sul ring. Conosce Norma (Anna Maria Pierangeli) e la sposa. Finché combatte per il titolo mondiale dei medi. Il suo avversario, però, non è uno qualunque. Stiamo parlando di Tony Zale (Court Shepard nel film), uno dei più grandi pesi medi di tutti i tempi. Graziano lo incontrò il 27 settembre 1946 e finì KO alla sesta ripresa.

A questo punto, tutto sembra crollare addosso al pugile sconfitto. Rocky (perché Graziano e non quello interpretato da Stallone era il vero “Rocky”) è ricattato da un losco figuro legato alla mafia. Si rifiuta di denunciarlo e per questo gli viene sospesa la licenza. Quando tutto sembra perduto, succede qualcosa di inaspettato che giustifica il titolo del film. Zale accetta di combattere nuovamente con il suo avversario. I due grandi pugili salgono sul ring e se le danno di santa ragione. Ma, stavolta, è Rocky a mandare al tappeto il suo avversario e a conquistare la corona mondiale dei medi. Per inciso, il match combattuto realmente il 16 luglio 1947 è collocato dalle riviste specializzate al secondo posto nella lista dei 100 più grandi combattimenti di tutti i tempi. Dietro soltanto al mondiale dei massimi Ali-Frazier, che però fu combattuto nel 1975, cioè 28 anni dopo.

La magnetica interpretazione di Paul Newman mostra tutte le sfaccettature dell’attore plasmato dall’Actor Studio. Brava anche la Pierangeli, un’attrice precocemente scomparsa che avrebbe meritato di più sul grande schermo. Due Oscar (miglior fotografia e miglior scenografia) furono il giusto premio a questo capolavoro della storia del cinema. Tony Zale si sarebbe ripreso il titolo nel terzo incontro. Poi, ormai anziano, fu costretto a cederlo al francese Marcel Cerdan che, nel settembre 1948, salì sul podio più alto della categoria dei medi.

Edith e Marcel, di Claude Lelouche (1983)

Alla vita del franco-marocchino Marcel Cerdan e al suo rapporto con la divina cantante Edith Piaf è dedicato il film di Claude Lelouch Edith e Marcel del 1983. Vi recita Marcel Cerdan jr nella parte di suo padre ed Évelyne Bouix nella parte di Edith Piaf. L’attrice era già presente nel cast di Bolero dello stesso Lelouch e ne I miserabili di Robert Hossein. Stavolta la sceneggiatura, dello stesso Lelouche e di altri due suoi collaboratori, è originale. Il film è a colori con straordinari effetti cromatici. Le musiche sono dirette da Francis Lai.

Il film inizia con le immagini di Marcel Cerdan sul ring portato in trionfo dai suoi fans, dopo aver appena conquistato il titolo mondiale. A bordo ring c’è anche un’Edith Piaf raggiante. Poi è inquadrata la cantante sul palcoscenico. La sua figura si staglia nel buio completo. La voce della chanteuse è quella della sorprendente Évelyne Bouix. Sia Edith che Marcel sono all’apice delle rispettive glorie. Il loro incontro dà vita a un’appassionata storia d’amore che durerà soltanto due brevi anni. La loro vicenda – nel film – si incrocia con un’altra storia d’amore di alcuni anni prima. Quella tra un prigioniero e la sua madrina di guerra. Le madrine di guerra avevano il compito di scrivere a quei soldati che non ricevevano alcuna corrispondenza, affinché non cadessero in depressione. La corrispondente, Margot, appartiene a una famiglia borghese e assomiglia molto a Edith. Infatti è anch’essa interpretata da Évelyne Bouix.

La storia d’amore tra i due eroi nazionali francesi è invece ambientata tra voli aerei transatlantici e suite d’albergo a New York. Il pugilato è sullo sfondo. Oltre alle immagini dei festeggiamenti sul ring per la conquista del titolo mondiale da parte di Cerdan (batte Zale), si ha appena contezza di quello in cui lo perde per mano di Jake LaMotta.

Tornato Marcel a Parigi, Edith gli chiede di raggiungerla a New York, anticipando il volo fissato per combattere la rivincita con LaMotta. Lui parte ma l’aereo precipita sul cielo delle Azzorre. Contemporaneamente lei sogna di stare con lui, ma quando si sveglia le danno la triste notizia. Mentre Edith si dispera il regista fa intonare la canzone “Hymne à l’amour” dedicata dalla Piaf proprio a Cerdan. Il film termina con il finale della canzone cantata sul palcoscenico. Grandissima l’interpretazione della Bouix, che fa del suo meglio per ricordare la Piaf.

Jake LaMotta in ‘Toro Scatenato’ di Martin Scorsese (1980)

A Cerdan, come detto, subentrò Jake LaMotta. A lui Martin Scorsese ha dedicato Toro scatenato (1980). Il regista italoamericano, formatosi alla grande scuola del neorealismo italiano non lascia spazio al sentimentalismo o all’ottimismo del “sogno americano”. Il film, infatti, è puntigliosamente tratto dall’autobiografia del pugile, senza alcun “volo pindarico”. Per ragioni di autenticità temporale è girato in bianco e nero. Questo anche per ragioni di coerenza con i filmati e le foto degli incontri dell’epoca. Unica eccezione, le riprese a colori sbiaditi del matrimonio di LaMotta e sua moglie Vikki. Quella era realmente, infatti, la più avanzata tecnologia in possesso del fotografo delle nozze. Si disse anche che l’uso del bianco e nero fosse voluto per differenziare il film da altri sul pugilato, specialmente la serie di Rocky. Ma non ci pare particolarmente credibile.

Jake LaMotta fu interpretato da Robert De Niro. L’avvenente moglie Vikky da Cathy Moriarty, mentre il furbo fratello del pugile fu reso da Joe Pesci. Il “realismo” di Scorsese ebbe conseguenze sulla forma fisica del protagonista cinematografico. Toro scatenato fu infatti girato in due parti. Prima venne data la precedenza alle scene (cronologicamente posteriori) di un LaMotta ingrassato ed invecchiato. De Niro fu perciò costretto per alcuni mesi ad aumentare di circa 30 chili. Poi fu girata la parte principale del film, incluse le scene di combattimento. L’attore, quindi, dovette subire un dimagrimento ed una ricostruzione muscolare che gli dessero il fisico di un pugile.

Il pathos della vicenda, in realtà, esiste lo stesso ma deriva dal realismo delle inquadrature. Scorsese infatti non amava le modalità di ripresa degli altri film sul pugilato. Questi erano usi a mostrare il combattimento come veniva visto dagli spettatori. Ciò rendeva un’impressione molto meno cruenta dei match al pubblico cinematografico. Scorsese volle che le cineprese stessero sul ring, per mostrare la violenza di ogni singolo pugno e la crudezza dello sport. In tale modo il cinespettatore avrebbe assistito con estremo realismo a ciò che accadeva ai boxeur, percependone il dolore, la rabbia e la forza dei loro colpi. Tentò inoltre di far percepire i vari stati mentali di LaMotta durante i combattimenti. Ogni singolo match, quindi, fu presentato in modo diverso dagli altri. Oggi Toro scatenato è considerato un capolavoro della storia del cinema.

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