di Laura Pozzi

Effetto notte, tredicesimo lungometraggio realizzato da François Truffaut e premio Oscar come miglior film straniero nel 1974 è indubbiamente uno dei titoli più incisivi del regista francese, nonchè uno dei film più amati e celebrati della storia del cinema. Girato dopo un lungo periodo di crisi culminato con il clamoroso e immeritato insuccesso di Mica scema la ragazza!, Truffaut decide di compiere un “viaggio al termine della notte”, solcando gli abissi della sua anima inquieta per risorgere dalle tenebre con la ferma intenzione di riconciliarsi con il pubblico, attraverso una dichiarazione d’amore romantica e suadente, ma anche tenacemente spregiudicata per un giovane turco come lui. Effetto notte è un dono prezioso, un invito regale impossibile da declinare per chiunque consideri la settima arte molto più di una geniale invenzione di fine Ottocento. Truffaut accarezza il suo sogno cinefilo e invita lo spettatore attraverso la grazia e l’eleganza che lo contraddistinguono a prendervi parte e possibilmente a prendere le distanze da una vita spesso indifferente e disarmonica. Il cinema è l’unico mondo capace di ossigenarlo, stupirlo, renderlo eternamente giovane e innamorato. Sia che si tratti di donne, di libri, o teatro l’ incondizionata gratitudine avvolge e permea ogni sua opera, anche la più dolorosa. Con Effetto notte compie un prodigioso salto in avanti non limitandosi a confezionare un film nel film, ma condividendo la sua gratitudine direttamente con lo spettatore che in genere beneficia del prodotto finale senza conoscere le intricate dinamiche interne celate dietro la lavorazione di un film.

Lo schermo non si frappone più tra pubblico e storia, lo script filosofeggia il “qui e ora” divenendo arteria principale per accedere e osservare da vicino il suo straordinario funzionamento. “In fase di lavorazione accadono sempre cose sbalorditive, buffe, curiose, interessanti, ma di cui il pubblico non godrà perché avvengono al di fuori della macchina da presa.” Truffaut vuole appunto colmare la lacuna rendendo partecipe e protagonista chi adombrato dal buio della sala resta vigile grazie alla piacevolezza dello sguardo. Un ruolo, quello di spettatore vestito per anni e da lui ampiamente conosciuto. “Il nostro film migliore è forse quello in cui riusciamo a esprimere, più o meno volontariamente, sia le nostre idee sulla vita che le nostre idee sul cinema”. Da questo assunto nasce Effetto notte, unicum imprescindibile nella sua carriera artistica e opera tra le più suggestive e autobiografiche. Truffaut si ritaglia il ruolo di Ferrand regista chiamato a dirigere presso gli studios della Victorine (già frequentati durante il montaggio delle Due inglesi) Vi presento Pamela, melodramma con al centro un parricidio interpretato da Alphonse (Jean-Pierre Léaud), Julie Baker (Jacqueline Bisset), Alexandre (Jean- Pierre Aumont) e Séverine (Valentina Cortese). Intorno a loro gravita un microcosmo variegato di tecnici, produttori operatori, fonici, segretarie e persino mogli gelose che lavorano a maglia. Un affresco umano vitale e pulsante, che tra un “ciak” e l’atro intreccia finzione e realtà. Truffaut compone, nel suo primo film corale una sinfonia cinematografica melodiosa e raffinata, ma non sempre facile da coordinare. La vita vera se ne sbatte di sogni e lanterne magiche e torna prepotentemente in scena all’interno di un set, scelto dal regista come roccaforte per cullare al meglio il suo “doppio sogno”.

Guidato e benedetto ancora una volta dai suoi padri spirituali (Hawks, Bergman, Rossellini, Dreyer, Bresson, Bunuel e l’amato/odiato Godard) che fanno capolino dai libri, spuntano per la strada (come nel caso della via intitolata a Jean Vigo) o sono vittime come Orson Welles di furti d’onore (le foto rubate di Citizen Kane nel sogno bambino di Ferrand) il maestro francese cesella minuziosamente ogni singola inquadratura per cogliere in modo più autentico l’aspetto umano del cinema e simboleggiarlo attraverso la verità delle immagini. Immagini che in virtù della componente metacinematografica danno vita ad un film “famelico” che si nutre di se stesso posticipando temporaneamente l’idea della “Fine”. E’ interessante notare come dietro un’atmosfera viva e pungente, ben sottolineata dai capricci e vuoti amorosi di Jean-Pierre Léaud/Antoine Doinel (che qui prende il nome di suo figlio Alphonse in Domicile conjugal) si celi l’ombra minacciosa della morte non solamente fisica come quella di Alexandre (che resta bazinaniamente fuori campo), ma anche emotiva (la fragilità nervosa di Julie) o indiretta (il male incurabile del figlio di Séverine). Una morte indissolubilmente legata alla vita e nel caso di Truffaut legata alla sua “ragione di vita” ovvero il cinema. La nuit américaine viene realizzato in un momento cruciale per la settima arte e in particolar modo per gli esponenti della Nouvelle Vague.

Il film segnerà infatti la rottura definitiva tra Truffaut e Godard che lo accuserà apertamente con uno scambio di lettere al vetriolo di essere un bugiardo e di aver sovvertito la politica degli autori. Indubbiamente nella pellicola serpeggia una nostalgia canaglia verso la scomparsa di un cinema che Truffaut non ha mai smesso di amare pur restando fedele alle innovazioni cinematografiche del suo movimento. Non a caso la dedica sui titoli di testa è per le sorelle Gish e per tutto quel cinema, quello di Chaplin, Ford, Hitchcock e Renoir solo per citarne alcuni, che non ha potuto vivere in prima persona. E’un cuore infranto il suo, ma anche terribilmente passionale. Se quel cinema è destinato a scomparire è doveroso quindi celebrarlo e provare a riviverlo. Di qui la scelta degli studios Victorine, costruiti dagli americani nel 1921 e del famoso effetto notte del titolo tecnica ormai superata nel 1973 che consiste nel ricreare una scena notturna girata in pieno giorno, grazie all’ausilio di filtri colorati davanti la macchina da presa.

“La lavorazione di un film somiglia al percorso di una diligenza nel Far West: all’inizio uno spera di fare un bel viaggio, poi comincia a domandarsi se arriverà a destinazione” confessa Ferrand all’inizio della storia. Di certo Vi presento Pamela resta un enigma, un miraggio, un film che nonostante tutto avremmo voluto vedere, ma che Truffaut lascia in sospeso, in balia della nostra immaginazione. Tuttavia solo una mente unica e geniale poteva affidare a ognuno di noi il compito di finirlo, montarlo e musicarlo per renderlo eternamente nostro.
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