di Bruno Ciccaglione

Il movimento della corsa, fianco a fianco o l’uno verso l’altro dei due protagonisti, sembra quello più caratteristico di tutto il film e infatti nel finale Paul Thomas Anderson rimonta, in modo forse un po’ didascalico, le scene in cui i due hanno corso nei vari momenti della storia. C’è tutta l’energia giovanile del ragazzo brufoloso Gary (Cooper Hoffman) e quella più matura ma non meno determinata di Alana (Alana Haim), in questo correre al massimo della velocità possibile e soprattutto c’è tutta la spensieratezza di un’epoca, l’inizio degli anni `70, che è forse la vera protagonista di Licorice Pizza.

Il titolo dell’ultimo film di Paul Thomas Anderson deriva dal curioso nome di una catena di negozi di dischi degli anni ’70, con sede in California, che giocava appunto sull’aspetto degli LP in vinile, simbolo di una epoca che superava la brevità dei 45 giri per esplorare maggiori profondità di contenuti: nell’aspetto i 33 giri erano grandi come una pizza, ma nella forma ricordavano le spirali di liquerizia. Questo titolo verrà scelto per il film solo a lavoro avviato, proprio per la sua capacità di evocare in Anderson il periodo dell’infanzia.

Il film rappresenta il ritorno del regista nella San Fenando Valley della contea di Los Angeles, dove aveva trascorso i suoi anni di bambino e in cui aveva già ambientato scene o intere parti di altri suoi film (Boogie nights, Magnolia, Ubriaco d’amore). È evidente, infatti, il tono nostalgico e compiaciuto del racconto. La vicenda, ispirata dalle vicende adolescenziali del suo amico Gary Goetzman (che diventerà poi un attore e un produttore di successo), mette al centro del contesto della Valley la storia di due giovani che, dopo un percorso divertente, paradossale, accidentato, insolito per molti aspetti, capiscono di amarsi.

A dominare il film è la leggerezza dei primi anni settanta e anche se in molti hanno usato l’espressione di commedia drammatica, qui il dramma davvero non c’è. Neppure il momento di consapevolezza di ciò che avviene nel mondo (con lo shock petrolifero che si abbatte sulla quotidianità, le code ai distributori e la crisi economica che ne consegue), turba davvero i personaggi del film e anzi, la mancanza di benzina è piuttosto lo spunto per la messa in scena delle scene più divertenti e paradossali del film (lo sfogo del produttore Jon Peters dopo essere rimasto a piedi, la scena della discesa a retromarcia con il camion).

L’approccio sentimentale di Anderson è probabilmente alla base anche della scelta dei due attori protagonisti, entrambi al debutto cinematografico, ma a cui si sente legato. Cooper Hoffman è il giovane figlio di Philip Seymour, che aveva lavorato in ciascuno dei film di Anderson, prima di morire. Con Alana Haim, leader della band pop-rock Haim, Anderson aveva già lavorato curando i videoclip musicali del gruppo. I due si rivelano entrambi straordinari, non solo particolarmente adatti ai ruoli loro assegnati, ma proprio capaci di dare con le rispettive fisicità spessore e interesse ai personaggi.

L’approccio da commedia sfugge programmaticamente ad una interpretazione sociologica della storia, tanto che alla fine, nonostante la consueta abilità registica di Anderson, si resta forse delusi da un film che oltre alla sua nostalgica evocazione di un passato che palesemente non tornerà più, sembra offrire pochi spunti per una profondità maggiore. Vedremo se alla cerimonia degli Oscar il film raccoglierà premi importanti (è candidato come miglior film, per la migliore regia e per la migliore sceneggiatura).

Se si volesse leggere la vicenda di Gary in chiave sociologica, infatti (una carriera nel mondo dello spettacolo sin dall’infanzia, che ne attiva il precoce desiderio di mettersi in affari), si dovrebbe dedurre che il film sia una specie di celebrazione dello spirito imprenditoriale dell’America di allora, il che suonerebbe insolito per il regista de Il petroliere. In realtà quel che Anderson vuole celebrare è quell’America perduta, in cui un ragazzino di 15 anni poteva farsi l’idea che tutto fosse possibile. E questo perfino in situazioni in cui la famiglia si rivela sostanzialmente incapace di offrire prospettive ai giovani (in entrambi i due modelli opposti che riguardano i due protagonisti, quello della famiglia ebraica religiosa, piena di tabù e un po’ opprimente di Alana e quello di sostanziale assenza della madre di Gary).

La cosa più bella del film resta probabilmente il personaggio di Alana, magnificamente interpretato da Alana Haim. Come capiamo benissimo sin dalla la scena iniziale, in cui Alana lavora come assistente di un fotografo impegnato nella realizzazione delle foto di fine anno agli studenti del liceo di Gary, anche nella magica atmosfera della San Fernando Valley, il ruolo che spetta ad una donna è per lo più decorativo (emblematica la normalità con cui Alana sopporta le pacche sul fondoschiena del suo datore di lavoro del momento).
Alana cerca innanzitutto un suo posto nel mondo: è intelligente e ironica, oltre che ribelle (in famiglia, ma anche in generale verso l’autorità, come si vede bene nella scena dell’arresto di Gary, che si risolve in modo un po’ inverosimile e comunque anche qui con una fuga di corsa insieme dei due giovani). Per questo, anche se i modelli sociali l’hanno suggestionata con l’immaginario propagandato dal cinema, non si trova a suo agio nella parte della donna oggetto: memorabile l’incontro con la star di Hollywood Jack Holden (un esilarante Sean Penn), così preso dal suo successo, da non avere per lei altro interesse che quello per il trofeo da esibire, cosa che Alana coglie perfettamente.

Anche la sua decisione di impegnarsi in politica, come volontaria nel comitato elettorale di un giovane candidato progressista, risponde soprattutto al suo bisogno di dimostrare prima di tutto a se stessa di meritare un ruolo di valore. Anche se Gary, nella ingenuità delle sue strategie di marketing, non esita a usare il suo corpo per promuovere la sua attività facendola stare in bikini durante la cerimonia di inaugurazione della sua ditta di materassi ad acqua, forse il motivo per cui Alana è sin da subito colpita da questo ragazzo molto più piccolo di lei, è nel fatto che almeno con lui, lei può giocare un ruolo alla pari e anzi, spesso è lei a tirare via le castagne dal fuoco.

La forte differenza di età tra i due protagonisti, con Alana di oltre dieci anni più grande di Gary, se ha suscitato negli USA una serie di critiche di tipo moralistico (sarebbe cioè inopportuna, la storia d’amore tra una donna adulta e un adolescente), appare in questo senso essenziale per connotare almeno su questo versante la più evidente riflessione sociologica del film. Solo con Gary, Alana non vede deluse le sue aspettative di un riconoscimento di sé. È proprio il fatto che la coppia sia assortita in modo un po’ strambo, d’altra parte, a rendere credibile tutta la vicenda con le reciproche esitazioni e indecisioni, prima del finale in cui i due giovani abbandoneranno le diffidenze reciproche, finalmente pronti ad amarsi.
Sul futuro della coppia Paul Thomas Anderson non fa scommesse, né ci esorta a farne. Il suo sguardo è rivolto al passato, a un’epoca che egli non esita a rappresentare come un po’ miracolosa, ma che però è finita.
